2016

Claudio Gentile: «Non alleno da 10 anni, ma il potere lo marco sempre ad uomo»

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Esce ‘E sono stato Gentile’, la rocciosa autobiografia di colui che fece vedere i sorci verdi a Zico e Maradona: la nostra intervista

Lo fissi in volto e – incredibilmente – ti ricorda un po’ il Sylvester Stallone/Rocky Balboa dell’ultimo periodo. L’allenatore avanti con l’età che non si piega al succedersi negativo degli eventi in una pellicola splendida come ‘Creed’. Non so, sarà per gli occhi sottili, le mani scattanti o la mascella che non indietreggia di un millimetro, ma Claudio Gentile (62 primavere portate splendidamente) è innanzitutto questo: un uomo che gioca sempre d’anticipo. E mette tutti quanti in affanno (la stampa, gli avversari, gli ipocriti) con una parlantina-tornado scagliata verso quell’untuoso luogo comune che impera nel football odierno. ‘Under Pressure’, avrebbero sintetizzato i Queen di Freddie Mercury inquadrando perfettamente il personaggio in questione. E la canzone in esame, manco farlo apposta, fu una delle più trasmesse dalle radio in quell’incredibile estate del 1982.

Gentile, d’altronde, è nella Storia che conta dall’indimenticabile notte di Madrid, ma ha atteso i suoi bravi 34 anni prima di raccogliere tutti i suoi ricordi in ‘E sono stato Gentile’, l’autobiografia scritta assieme al giornalista Alberto Cerruti in distribuizione da una settimana per la casa editrice Rizzoli«E dentro c’è praticamente tutto, – attacca lui che ha passato la vita in un altro settore del campo – dall’infanzia in Libia fino alla Juventus passando per gli anni comaschi e il Varese. I tanti trionfi e le sconfitte (che servono sempre anche quelle). Senza dimenticare i due periodi con la Nazionale azzurra. Il primo, positivo, con la gloria del Mundial spagnolo. Ed il secondo, negativo, a causa di alcuni comportamenti esterni che ancora oggi mi fanno soffrire.». E mentre me lo dice, stringe il pugno come se cercasse ancora un pezzo di stoffa a cui (astutamente) aggrapparsi. Perché il bello del suo calcio era anche questo: le magliette larghe e sudate erano appigli per l’anima, non cartellonistica in poliestere ad uso e consumo degli sponsor.

Claudio Gentile – colui che annullò un Maradona ventenne e uno Zico nel pieno della sua carriera – non allena più da circa dieci anni. Il campione del mondo ’82 che la FIFA ha definito “one of the hardest players ever” (“uno tra i più cazzuti giocatori di sempre”) è in causa civile da tempo con la FIGC e lungi da noi schierarci per una fazione o per l’altra. Il nostro compito, d’altronde, è solo quello di riportare correttamente i fatti. Però una cosa la vogliamo aggiungere lo stesso: “Gento”, con la sua irruenza, ci ha sempre fatto sentire oltremodo orgogliosi d’essere nati italiani. E questo calore nel petto – che scatena nei suoi tifosi – state pur certi che non glielo ruberà mai nessuno.

Partiamo da un anno basilare nella tua vicenda umana e sportiva: nell’estate del 2004, da CT, vinci prima l’Europeo Under-21 in Germania (3-0 alla Serbia in finale) e successivamente il bronzo olimpico ad Atene. Torni in Italia e cosa succede?
«Mi suona un campanello d’allarme nel cervello perché nonostante non vincessimo una medaglia alle Olimpiadi dal lontano 1936 (l’oro di Vittorio Pozzo a Berlino, Ndr) non ricevo né il premio in denaro (si parla di una cifra vicina ai 40mila euro, Ndr) né l’elogio professionale da parte delle autorità. E quest’ultima è la cosa che ancora mi brucia di più: ero diventato ‘Cavaliere’ nel ’78 dopo il quarto posto ai Mondiali di Argentina e ‘Cavaliere Ufficiale’ dopo il trionfo in Spagna. Il titolo successivo sarebbe stato quello di ‘Commandatore’, e invece niente…».

C’è una spiegazione razionale a tutto ciò?
«Eccome se c’è. In pratica, prima dell’Europeo Under-21, ricevo un consiglio inderogabile: ‘Gentile, in Germania al posto di Gilardino porti quest’altro giocatore…’. Ovviamente mi sono rifiutato (Alberto, tra l’altro, era il nostro capocannoniere) e me l’hanno fatta pagare cara, carissima. Prima nel 2004 con l’onorificenza negata e, ancor di più, nel 2006.»

Difatti nel 2006 eri in ballo per ben due panchine prestigiose: quella della Juventus che stava entrando nel vortice di Calciopoli e quella dell’Italia che aveva appena vinto il Mondiale e dovuto affrontare le dimissioni di Lippi.
«Esatto. Con Carraro non ho mai avuto problemi, ma fu Guido Rossi – quell’estate – a comunicarmi che non rientravo più nei progetti della Federazione. Io avevo immediatamente contattato la FIGC a giugno perché la Juve faceva pressing per avere la mia firma sul contratto e mi sembrava giusto renderlo noto a chi di dovere. Dalla Germania mi dissero di star fermo, di pazientare ancora un po’. Poi, dopo la vittoria mondiale, annunciarono il nome di Donadoni e a me levarono pure la panca dell’Under-21! Allla Juve, per di più, avevano già fatto giustamente le loro scelte e così, all’improvviso, mi ritrovai senza lavoro. Un vero outsider…».

A parte le parentesi brevi di Cesare Maldini e Zoff, erano anni ormai che in Federazione andavano di moda i “tecnici da club”. In fondo, da Sacchi in poi, sulla panchina azzurra si sono seduti Trapattoni, Lippi, Donadoni, ancora Lippi, Prandelli e Conte. L’andazzo, in definitiva, era quello…
«Sì, ma io credo che il motivo principale della mia esclusione sia sempre stata collegata a quel famoso giocatore che non convocai al posto di Gilardino…».

Il nome puoi farmelo?
«No. E non lo farò mai né a te nè a nessun altro giornalista di questa Terra. Non sono mica un traditore: sono una persona corretta, io…».

Comprendo perfettamente i tuoi motivi. Senti, Mister Ranieri (che tra l’altro si chiama come te) sta facendo sfracelli in Inghilterra col suo Leicester. Non sarebbe il caso anche per Gentile di iniziare a valutare la carta dell’estero? Forse altrove esiste più meritocrazia…
«Ok, ma mi spieghi perché io non posso allenare nel mio Paese? Cosa sono diventato? Un appestato, forse? Uno che è stato in galera? Vedilo anche come un esempio, il mio. L’esempio di insegnare ai giovani che prendere scorciatoie non equivale mai a lottare per ciò che è giusto.».

Ti avrebbe confortato sfogarti con Enzo Bearzot (il Vecio è scomparso il 21 dicembre 2010, Ndr) in questi ultimi anni? Magari lui avrebbe trovato, come sempre, le parole adatte…
«Hai fatto bene a citarlo perché Bearzot lo disse a chiare lettere in quell’estate del 2006: ‘Per il dopo-Lippi io prenderei Gentile nel ruolo di CT: è lui la persona ideale, è maturato molto come allenatore in questi anni.’. Parole che porterò per sempre con me assieme ad altri centinaia di ricordi collegati a quel grande condottiero con la pipa.»

Cos’è successo di preciso a Sion nel 2014?
«Col presidente Constantin era già tutto fatto, ma all’ultimo si è creata una situazione insostenibile: in pratica il club elvetico mi impedì di affidarmi al mio staff abituale, un po’ come è successo a Garcia nel suo ultimo anno a Roma. Per me il contratto c’era, ma non prevedeva l’assunzione del mio preparatore atletico, del mio allenatore dei portieri e via dicendo. Mi avrebbero fornito tutto loro e così grazie tante, ma ho declinato l’offerta.».

Guerriero eri e guerriero resti. Ma, giusto per alleggerire i toni, come andò esattamente quella volta della casacca strappata a Zico durante la leggendaria Italia-Brasile al Sarrià?
«Il Galinho se la lacerò da solo! Sai, c’era un caldo bestiale quel giorno a Barcellona e i brasiliani giocavano con queste magliette a nido d’ape molto fragili al tatto… (sorride). Io afferrai Zico, lui mi diede una secca manata per liberarsi dalla mia stretta e – straaap! – la sua maglietta ebbe la peggio.»

Narra la leggenda che quella maglia (un cimelio in tutti i sensi) l’abbia posseduta per anni l’Avvocato Agnelli…
«No, l’Avvocato aveva un’altra casacca di Zico, ma quella incriminata col dieci strappato ce l’ho ancora io a casa mia. (interviene Alberto Cerruti de ‘La Gazzetta dello Sport’ seduto di fianco a noi: «Claudio, però a me non l’hai mai fatta vedere…». Gentile di rimando: «Eppure ti assicuro che ce l’ho nella mia abitazione comasca. Al sicuro, ovviamente.». Il mistero prosegue… Ndr)».

Con Zico maglia a brandelli. Con Maradona, invece, colletto slabbrato: altro “grip”, altro regalo?
«Alt, io a Diego falli violenti non ne ho mai fatti! Fu lui al massimo a finire espulso in quel Mondiale per una brutta reazione sul brasiliano Batista (calcio nello stomaco, Ndr). Per non dire dei suoi compagni di squadra Passarella, Tarantini, Gallego: quest’ultimo aveva un’unghia talmente lunga che sui calci d’angolo erano sempre provocazioni e graffi d’ogni tipo. Eppure, niente da fare: i sudamericani – e non solo loro –  hanno decretato da anni che il più cattivo di tutti sia sempre stato l’hombre Gentile… (sospira)».

Che poi le regole erano uguali per tutti, no? Se quello era un calcio più “garantista” per i difensori, vuol dire che anche i nostri avversari menavano come fabbri…
«Hai mai intervistato Altobelli in vita tua?».

Purtroppo non ancora.
«E allora, alla prima occasione che ti capita, fattelo raccontare da Spillo in persona del cazzotto a tradimento che gli rifilò Passarella durante Italia-Argentina… E per tornare sull’argomento Zico-Maradona, quello che ne uscì da vero signore fu senz’ombra di dubbio il primo. Il campione brasiliano ha sempre dato la colpa ai suoi compagni per la sconfitta di quel Brasile atomico. “Se non mi passate subito la palla quando ho mezzo metro libero, sono completamente estraniato dal gioco: Gentile mi anticipa sempre!”. La spiegazione del Galinho, in parole povere, fu questa. Diego, invece, si è sempre nascosto dietro delle scuse. Come d’altronde ha sempre fatto in vita sua.».

Sbaglio o è da un po’ che non vediamo tuoi eredi in giro? Il nome più scontato che si fa in questi casi è sempre quello di Barzagli…
«Andrea è cresciuto nella mia Under-21 quindi lo considero figlio mio, però il problema è sempre lo stesso: il calcio è cambiato e le marcature ferree non esistono più da decenni. E quando dico che è cambiato, in quest’evoluzione mi ci metto dentro anch’io come tecnico visto che la mia Under – giocando a zona – faceva caterve di gol prima con Maccarone e poi con Gilardino. Però effettivamente nelle aree di rigore odierne c’è ancora qualcosa che non mi convince…»

Cosa esattamente?
«Non vedo mai il difensore di riferimento! (ridacchia) In compenso noto troppi gol di testa o di piede senza che l’attaccante venga disturbato in alcuna maniera. Quando faccio queste osservazioni tecniche mi sento sempre ripetere dagli esperti che oggi ci sono le ‘gabbie’. (allarga le braccia con fare sconsolato, Ndr) Seh, le gabbie! Ma qui stiamo parlando di uomini che sanno come muoversi, mica di animali…».

Il triplice fischio è nell’aria, Gento.
«E allora ti aggiungo solo un’ultima cosa che mi sta tremendamente a cuore. In Francia e Germania tanti ex campioni del passato sono valorizzati nelle loro rispettive Federazioni. Qua in Italia, invece, abbiamo solo Cabrini nella Nazionale femminile ed Oriali in qualità di team manager degli Azzurri. Poi il deserto.».

Vuoi forse dire che…?
«Che noi di Spagna ’82 siamo sempre stati indigesti al potere? Beh, lo sai come la penso. E comunque la risposta finale la lascio volentieri ai tuoi lettori…».

‘E sono stato Gentile’, la brillante autobiografia di Claudio Gentile scritta con Alberto Cerruti, è attualmente disponibile in libreria.

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