2015
Fare la rivoluzione con Eriberto e Marazzina
Il Chievo Verona del 2001-02, una squadra magica e irripetibile
C’era una volta, non molto tempo fa, un signore che vendeva pandori. Questo signore era molto legato alla sua zona di provenienza, una collina dove anni orsono sorgeva un bosco mistico e dalla cui denominazione in latino aveva preso il nome, imbonito dalla traduzione in italiano: da clivus era piano piano diventata clivo, poi definitivamente Chievo, anche se gli abitanti continuavano a chiamarla Céo. Molti anni fa il signore che vendeva pandori, appassionato di scherma e di calcio, si trovò fa le mani la squadra della collina del bosco mistico. Allora non era ancora un signore, era un ragazzo che amava lo sport e simpatizzava per l’Inter e per il Preston, ma seppe in pochi anni trovare la strada giusta per portare la squadra del suo amato Céo fuori dalle paludi del calcio di provincia e in mezzo alle grandi di tutta Italia. Un bel giorno di primavera poi la squadra del suo paese, il Chievo appunto, guidato da un allenatore che mischiava friulano e berbero e con una squadra di giovani campioni che negli anni a seguire avrebbero fatto le fortune del calcio italiano e mondiale, arriva terzo in Serie B e si qualifica per il campionato di Serie A. Se già si parlava di favola Chievo negli anni precedenti, è nell’estate del 2001 che la cittadina di quasi cinquemila abitanti alle porte di Verona sale alla ribalta. Il signore che vendeva i pandori, un giovanissimo Luca Campedelli, ancora non ci crede e da anni sta vivendo un vero e proprio sogno. L’Associazione Calcio ChievoVerona è in Serie A, niente più sfide col Bassano o col Domegliara ma grandi trasferte a Roma o Torino o a San Siro.
TODO MODO – Il Chievo arriva in Serie A ed è subito rivoluzione al potere. Il 2001-2002 si apre con la prima storica gara dei clivensi nella massima divisione e subito vengono messe le cose in chiaro: a Firenze Perrotta beffa in apertura una Fiorentina dilaniata dalle vicende societarie, nella ripresa Marazzina chiude i conti e dà la prima storica vittoria ai gialloblu. Chi è al Franchi non ci crede, il tabellone dice Fiorentina – Chievo 0-2. C’è però chi, sornione, si sta leccando i baffoni biondi in panchina. È Luigi Delneri, artefice del miracolo sportivo sul campo per i veneti: è friulano ed è zona docg per gli allenatori, poi ha questo 4-4-2 sacchiano che si porta dietro da anni e che stupisce per come le ali sappiano interpretare sia la fase offensiva che quella difensiva e poi lui si diverte a scambiarle a partita in corso. Così, per disorientare gli avversari. E per uno che ancora non si sa se si chiami Del Neri o Delneri disorientare non deve essere tanto difficile. Dopo l’esordio vincente a sorpresa sono in molti a pensare che quel Chievo sia la vittima sacrificale del torneo, anche perché in fase di calciomercato ha operato poco, aggiungendo sporadici elementi di esperienza a una squadra già formata nel campionato di Serie B: Marazzina è tornato dal prestito alla Reggina ma non è un bomber, Lupatelli arriva dallo Scudetto con la Roma ma ha giocato poco, Perrotta forse è l’unico nome un po’ più appariscente perché per lui dev’essere la stagione della consacrazione. Il giornalismo italiano non dà mai prova di essere preparato ma di fronte ai nomi che sfoggia il Chievo anche i media più attenti storcono il naso. La linea difensiva Moro-D’Angelo-D’Anna-Lanna sembra una filastrocca ma in realtà, lo si vede nelle prime giornate, è una impensabile Maginot. Le ali Eriberto e Manfredini – o la riserva Francheschini – fanno tornare alla mente Evani e Donadoni del grande Milan di Sacchi, poi c’è il saggio Corini, Eta Beta del centrocampo, e pure l’altro carneade Simone Barone non sembra male.
L’ESTABLISHMENT CROLLA – Basta poco per far cambiare idea all’opinione pubblica calcistica del Belpaese, perché dopo la vittoria all’esordio con la Fiorentina il Chievo vuole continuare stupire e a compiere la sua personale rivoluzione. Vince in casa col Bologna ed è l’unica a punteggio pieno con la Juventus, contro cui giocherà un inedito scontro diretto sabato 15 settembre 2001 a Torino. Al Delle Alpi nei primi quarantacinque minuti Massimo Marazzina si trasforma in Boninsegna e mette dentro due gol da bomber implacabile, sfruttando anche una delle rare papere di Buffon: al 20′ a Torino la Juventus è sotto due a zero contro un quartiere di Verona, il cui presidente è più famoso perché fabbrica prodotti per Babbo Natale che per il suo curriculum nel pallone. Il colpo di coda all’establishment dura però il tempo di un sogno, perché prima Tudor e poi Tacchinardi pareggiano prima di un discusso rigore di Salas a tempo scaduto. Vince la Juventus, ma il Chievo è ufficialmente la favola della Serie A. Ancora in pochi utilizzano questo termine, ma dal 21 ottobre, 8^ giornata di Serie A, cambia l’antifona e favolachievo sembra una parola unica: dopo sette turni il Chievo ha ottenuto cinque vittorie, un k.o. e un pari ed è secondo a tredici punti dietro l’Inter che deve giocare il derby in posticipo. I clivensi nel pomeriggio sfruttano l’ennesima giornata di grazia del proprio bomber toscano Bernardo Corradi, spilungone senese che fa suo ogni pallone che transita dall’area di rigore, e battono uno a zero il Parma. In serata poi ecco la super notizia: il Milan sconfigge 4-2 i nerazzurri e la classifica al primo posto vede la novità più assoluta, il Chievo Verona, da solo. Delneri ce l’ha fatta per ora, ha fatto la rivoluzione con Eriberto e Marazzina.
INTER 1-2 CHIEVO – Per tutto il mese di novembre il Chievo Verona, pur perdendo in rimonta un derby storico in Serie A col Verona (anni prima i tifosi Hellas esposero lo striscione Quando i mussi volerà farem el derby in Serie A, profetici), rimane primo in classifica e ci vuole una giornata nera dell’arbitro Cesari a San Siro per fermarlo, è 3-2 per il Milan anche se ci sono dubbi per un mani di Laursen e per un rigore assegnato a Shevchenko e ancora una volta il Chievo di Delneri, sospinto da Corradi e Marazzina, fa un figurone in uno degli stadi più importanti al mondo. Al Chievo rimane l’amaro in bocca e a San Siro torna due settimane dopo, due punti dietro l’Inter capolista e per lo scontro al vertice con i nerazzurri. Si gioca in anticipo il sabato, l’atmosfera è carica a mille e il Meazza è pieno come se si giocasse Inter – Manchester United. I lombardi entrano in campo un po’ acciaccati ma con molta grinta, el hombre vertical Hector Cuper carica i suoi come sempre battendo la mano sul cuore prima di entrare in campo e a fianco dei vari Cossato e Mayele adesso sfilano nientedimeno che Ronaldo e Vieri. Il Fenomeno è tornato, segnando, una settimana prima al Rigamonti e adesso è pronto a prendere per mano la sua Inter anche se attorno non ha più quella squadra di due o tre anni prima ma un’accozzaglia di nuovi acquisti con Okan, Guglielminietro e Gresko. L’Inter vuole ricordare l’avvocato Prisco e mantenere il primato ma le tremano le gambe e alla prima occasione buona è il Chievo a passare: al ventesimo Corini pennella un cross da corner, Corradi si incunea e la sua chioma fluente impatta la sfera che bacia il palo e va dentro, nonostante Farinos la ricacci fuori con la mano. Corradi è una furia, si toglie la maglietta e corre verso la panchina, incredulo lui e increduli tutti. Ma si sa come va in certe circostanze, il cane che dorme viene stuzzicato e reagisce. Cinque minuti dopo proprio Farinos crossa in mezzo trovando una devizione che manda la palla sullo stinco di Vieri, Lupatelli è beffato ed è uno a uno. La favola Chievo non si scompone e macina bel gioco, occupa il campo alla perfezione e riesce a chiudere in parità la prima frazione pur sfiorando l’1-2 con Marazzina di testa. E proprio l’ex di turno a sfruttare un passaggio euclideo di Perrotta e a infilare Toldo sul suo palo a inizio ripresa, e ancora di nuovo l’incredulità avvolge la Scala del Calcio. L’Inter non si riprende più e Eriberto e Manfredini sulle fasce fanno sembrare il giallo del Chievo quello del Brasile 1970. Inter – Chievo finisce 1-2, il Chievo va da solo in testa alla classifica e accoglie nella sua élite una collina di un bosco mistico.
E POI – È il punto più alto mai toccato dal Chievo Verona nella sua storia, una storia iniziata da pochissimo. Da quel momento può solo peggiorare ed è una cosa fisiologica visto che, dopo la vittoria con la Lazio nell’infrasettimanale, ingrana poco e arrivano le prime sconfitte pesanti come lo 0-3 natalizio con la Roma. Nel girone di ritorno la squadra cala fisicamente – e mentalmente visto che in inverno perde la vita Jason Mayele in un tragico incidente d’auto – e non riesce a ripetere i trentacinque punti del girone di andata, finito solamente una lunghezza dietro all’Inter. Sono solo diciannove i punti nel ritorno ma il Chievo continua a sorprendere tutta Italia e all’ultima giornata, il famoso 5 maggio 2002, batte due a uno l’Atalanta e si prende clamorosamente l’accesso alla Coppa UEFA 2002-03, nello stesso giorno in cui l’Hellas cade a Piacenza e torna in Serie B. La rivoluzione a Verona e in Italia è compiuta. Lo hanno chiamato miracolo ma solo perché sa di miracoloso vedere una provinciale al potere, perché non c’era niente di davvero mistico nella squadra orchestrata da Campedelli e Delneri con la preziosissima regia del ds Giovanni Sartori, una vita al servizio dei gialloblu prima da attaccante e poi da dirigente. Il Chievo Verona del 2001-02 è senza ombra di dubbio la squadra più stupefacente della storia della Serie A, l’unica finora a chiudere il campionato da quinta in classifica (e a un punto dal preliminare di Champions League) alla stagione d’esordio. Il Chievo poi andrà in Europa a provare a raccontare la propria storia anche al di fuori dei patri confini, ma la Stella Rossa spegnerà i desideri veronesi sul nascere. Delneri emigrerà senza fortuna verso il Portogallo, Marazzina conquisterà la nazionale e smetterà di essere decisivo, Corradi continuerà a fare gol da attaccante puro e farà baronetto Joey Barton, Eriberto diventerà Luciano e farà scandalo, Perrotta alzerà una Coppa del Mondo in cui Barone attenderà invano un passaggio decisivo e Lupatelli rimarrà l’unico portiere in Serie A ad aver indossato il 10. Quel Chievo lì però, una squadra che provò a ribaltare la piramide del calcio italiano, rimarrà indelebile.