2014
Che tu sia maledetto, Miroslav!
Storia di un campionato deciso da un rigore allo scadere: Barcellona e Deportivo La Coruna nel 1993-94
SUPER DEPOR – E’ il 15 maggio 1994. Da qualche mese il Deportivo La Coruña sta sognando, in Galizia si respira aria di successo e si incomincia davvero a credere che la squadra possa vincere il primo trofeo importante della sua storia. Il Deportivo, o Super Depor come viene chiamato in questi anni, è primo nella Primera Division spagnola e si presenta all’ultimo turno con un punto di vantaggio sul Barcellona. I catalani vengono da tre scudetti consecutivi, due dei quali conquistati in modo a dir poco rocambolesco all’ultima giornata sorpassando in extremis gli odiati rivali del Real Madrid. Ma stavolta è diverso: la storia sembra favorevole al Deportivo, autentica cenerentola della stagione e nel periodo più florido della sua storia grazie a due personalità destinate a entrare nel cuore dei tifosi biancoblu. Uno è l’allenatore Arsenio Iglesias, l’altro è il rubizzo presidente Augusto Cesar Lendoiro, che ha preso la squadra sull’orlo del baratro e ha risanato i conti prima di una scalata romantica che ha portato il Depor dalle serie inferiori al vertice della Liga in pochi anni.
IL PEGGIO SEMBRA ESSERE PASSATO – E’ un sabato qualunque, un sabato galiziano verrebbe da dire se solo Sergio Caputo fosse nato a Vigo. Al Riazor arriva il Valencia settimo in classifica e senza tante velleità di vittoria, se non quella di fare un favore al Barcellona ma nessuno a La Coruna ci pensa o ci vuole pensare. Praticamente sull’altro versante della Spagna, a poco più di mille chilometri dallo stadio del Depor, il Barca ospita il Siviglia, una squadra che ha iniziato benissimo la stagione e poi nel girone di ritorno si è persa e adesso lotta per un posto in Coppa Uefa. Al fischio d’inizio i due stadi sono stracolmi di gente e di passione, si decidono le sorti del campionato e anche qualcosa di più: per il Barcellona vincere darebbe morale in vista della finale di Coppa dei Campioni, che si gioca il mercoledì successivo ad Atene contro un Milan incerottato e sulla carta sfavorito, come ha avuto modo di dire Crujiff ai giornalisti.
PRIMI TEMPI – Alla fine del primo tempo il risultato a La Coruna è fermo sullo zero a zero. Il Deportivo di Bebeto e Mauro Silva fa fatica a macinare gioco e l’atmosfera a volte pare più ovattata che festante, c’è quasi paura di prendersi il titolo e poi questo Valencia è venuto qua per giocare, non per stendere il tappeto rosso. Empate a cero è la strana forma con cui in Spagna si indica un pareggio a reti bianche e in quel momento quella locuzione viene ripetuta dalle radioline e da decine di migliaia di spettatori al Camp Nou di Barcellona, dove però le cose si sono messe malissimo. Simeone ha portato in avanti il Siviglia sfruttando un errore di Zubizarreta, poi Stoichkov ha messo dentro un superbo cross di Laudrup facendo tornare il colore sulle facce dei tifosi prima che Davor Suker uccellasse ancora una volta Zubi, uscito a casaccio. Il tabellone luminoso, prodigio della tecnica, segna 1-2. In questo momento, sabato 15 maggio 1994, il Deportivo La Coruna è campione di Spagna per la prima volta nella sua storia. Per quanto i tifosi biancoblu vogliano venir meno alle regole e fischiare la fine della Liga in questo momento, ci sono da giocare ancora quarantacinque minuti. Un’eternità, se si parla di calcio.
MINUTO 89 – Nella ripresa infatti si ribalta tutto. Prima Stoichkov pareggia per il Barcellona, poi in sequenza Romario – 30° gol stagionale e titolo di Pichichi in tasca -, Laudrup e Bakero fanno perdere la bussola a Unzue e portano il club blaugrana sul cinque a due. Al Riazor sale la tensione, le notizie che arrivano dal Camp Nou impietriscono Iglesias e sembrano pietrificare pure i calciatori in campo. In quel momento, con i due punti per il Barca e il pari del Depor, le due sarebbero entrambe a cinquantasei punti ma gli azulgrana sarebbero avanti per la miglior differenza reti negli scontri diretti (0-1 e 3-0). Il Deportivo La Coruna prova a segnare ma non ce la fa, fino a quando al minuto numero ottantanove un cross dalla destra arriva tra i piedi di Nando, il quale si allarga sulla sinistra per cercare la conclusione in porta. In quel momento il valenciano Serer allarga istintivamente la gamba destra e atterra Nando, per il quale cadere in quell’istante è la gioia più grande della sua vita. E’ rigore, il signor Lopez Nieto indica il dischetto. Il primo titolo della storia è distante due minuti e undici metri, tutta la Spagna è in silenzio per il pathos.
RIGOR MORTIS – Chi lo tira? Il rigorista Donato è uscito, quindi per gerarchia tocca a Miroslav Djukic, difensore jugoslavo colonna del Depor col quale ha partecipato alla scalata dalla Segunda Division. Il numero cinque prende la palla e la posiziona sul dischetto davanti a Josè Luis Gonzalez Vasquez, portiere di riserva dal nome allitterante. Djukic guarda il pallone e indietreggia piano piano fino al limite dell’area prendendo una rincorsa più spostata verso sinistra, lui che è destro. La tensione è altissima, se non fosse che il regolamento vieta l’ingresso in campo di radioline, al Camp Nou i giocatori in questo momento sarebbero tutti fermi e in silenzio. Mancano solamente due minuti e un rigore, un rigore che vale una stagione e una vita. Djukic guarda negli occhi Gonzalez Vasquez, ripensa alla cavalcata che ha portato fin lì il Depor, a quando era costretto a trasferte a Eibar o a Sestao, amene località basche. Adesso c’è la possibilità di giocarsi la Coppa dei Campioni e soprattutto di entrare nella storia del Deportivo. Il tempo si ferma, sono dieci secondi che passano lentamente. Djukic si avvicina sempre più al pallone, sembra quasi claudicante e ha un momento di esitazione al momento dell’impatto. Djukic colpisce il pallone di piatto, adesso c’è solo da sperare.
NON E’ DA QUESTI PARTICOLARI – Ai calciatori in erba molto spesso viene detto che gli errori nella vita sono fondamentali, bisogna sbagliare per diventare grandi e per riuscire a diventare persone mature e giocatori completi. De Gregori in Spagna non ha avuto molto successo ma molto probabilmente La Leva Calcistica del ’68 avrebbe guadagnato qualche consenso, almeno a Barcellona. Sì perché quel rigore di Djukic non entra, si assesta tra le braccia di Gonzalez Vasquez, il quale si alza e esulta come se avesse vinto la Liga lui da solo. Il grido che il Camp Nou caccia in quell’istante, con qualche secondo di differita, è la liberazione di chi ha vinto tre scudetti di fila restando al primo posto solo per la mezz’ora finale del campionato. Lopez Nieto al Riazor fischia la fine, mentre Djukic ha le mani nei capelli da tre minuti. Il Barcellona vince la Liga nella maniera più incredibile possibile. L’esultanza però sarà vana perché quel Milan mediocre sbeffeggiato da Crujiff tre giorni dopo seppellirà in un’ora i blaugrana: «Il trofeo è la faccia di Crujiff» scriverà La Gazzetta dello Sport. Djukic invece continuerà a giocare nel Depor, con un peso sulla coscienza non indifferente. Alcuni tifosi lo perdoneranno, molti invece lo malediranno in eterno. Nel 1997 passerà proprio al Valencia e vincerà la sua prima Liga; coi valenciani giocherà pure una finale di Champions League perdendola ai rigori, ovviamente.