2016

La Champions League e i suoi verdetti

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Le quattro semifinaliste e la loro identità: cosa abbiamo imparato

La prevalenza dei commenti relativi all’attuale edizione della Champions League sembra vertere su una considerazione riduttiva del valore tecnico proposto da chi è riuscito ad arrivare fino in fondo o alla soglia dell’ultimo atto in scena a Milano il 28 maggio prossimo. Certo, in alcune delle semifinali non si è visto grande spettacolo, neanche in termini d’intensità agonistica e basterebbe confrontare il diagramma delle emozioni determinatesi nel secondo tempo di Real Madrid – Juventus dello scorso anno con quelle decisamente minori del Bernabeu di ieri sera, con un Manchester City incapace anche solo di un forcing disperato o di qualche mischia in area dalla quale far scaturire un episodio favorevole. Nelle valutazioni generali pesa anche un effetto di delusione per non avere vissuto la finale che si pensava più giusta, una sorta di resa dei conti tra i due modelli calcistici più innovativi e accattivanti dell’ultimo decennio, rappresentati dal Barcellona e dal Bayern Monaco. Ma la realtà della coppa non è quella di un campionato, dove a lungo andare i valori effettivi trovano la “corretta” espressione nella classifica. E forse, con l’eccezione dei confronti tra i catalani e il Manchester United della gestione di Alex Ferguson, la finale non è mai la traduzione dei rapporti di forza esistenti, ma di ciò che si riesce a esprimere nei confronti diretti. Dove non mancano le sorprese, i rovesciamenti di gerarchia e tutto ciò che rende imprevedibile e ancora più bella la manifestazione.

JUVE: POTEVA ESSERE L’ANNO BUONO? – Qualsiasi sia l’opinione maturata in questa stagione, tra le più circolanti c’è quella che la Juventus abbia buttato via un’occasione. Traducendo: poteva essere l’anno buono. C’è del vero, se si parte dalla semplice constatazione che la prima d’ora di Monaco disputata dai bianconeri è superiore ai 90 minuti di tutte le gare che l’hanno portata a Berlino. Ma i risultati finali sono giudizi inappellabili e fingere che non esistano o ridurli a mere circostanze può consolare o aumentare la delusione, certamente però vanno presi sul serio. Ancor più considerando che la finale tutta madrilena riproduce esattamente il copione di sole due stagioni fa. Il verdetto merita perciò rispetto e contiene una qualche spiegazione utile anche a prefigurare il futuro (sempre tenendo conto che non si può programmare di vincere una Champions con sicurezza, laddove invece si può assolutamente lavorare per essere competitivi per più anni). Provo a riassumere il tutto proponendo un tema relativo alla semifinaliste. Nelle gare d’accesso a Milano si è manifestato un tratto della loro identità riassumibile in una formula.

MANCHESTER CITY – Il Mancheser City non è. Non è una squadra che riesca a imporre il proprio gioco, anche solo nello sfruttare momenti d’inerzia positiva. Nel doppio confronto non ha mai davvero regalato l’impressione di poter sfruttare adeguatamente un capitale tecnico che pure dovrebbe avere. Se non altro per dimensione economica della rosa, certamente sopravvalutata. I big hanno reso poco, dimostrando una volta di più che non è la collezione di figurine care la politica giusta per ambire a grandi risultati.

BAYERN MONACO – Il Bayern è una squadra bella fino a un certo punto. Il tiki taka versione teutonica è realmente un impianto di gioco funzionante, con meno ortodossia rispetto ai tempi catalani, ampiezza invece di tocchi ravvicinati, dinamismo accentuato associato a proprietà tecniche ben distribuite in ogni elemento. Ma a parte alcune scelte di formazione non felici – Muller fuori a Madrid, Thiago Alcantara totalmente trascurato a Monaco – la verità già emersa nel doppio confronto con la Juve è il tempo d’efficacia della sua intensità. 60 minuti a Torino, 30 più i supplementari al ritorno, 45 minuti in Bayern – Atletico Madrid. Appena cala la feroce distrazione, emergono limiti e la difesa alta condanna a subire gol non degni di una squadra che pure regala impressioni di dominio che forse contengono in sé il germe dell’eccessiva sottovalutazione della reazione avversaria.

REAL MADRID – Il Real Madrid è una squadra che vorrebbe essere più di quel che è. Non può farne a meno per statuto. Ha talenti che prendono palla e pensano di determinare la differenza già solo per questo. Spesso giocano da soli, convinti che qualcuno li seguirà, come se fossero tutti Cristiano Ronaldo. Che con 16 gol in Champions League è ovviamente il fattore speciale che nessun altro ha e che potrebbe pesare in finale. Peraltro, occhio a Zidane. Non riconoscerete schemi nel suo calcio, ma l’idea di un possesso con Modric a fare da collante d’intelligenza dice che il Real sa estrarre il massimo da prestazioni non particolarmente convincenti. Del resto, se una squadra ha vinto 10 volte e nelle ultime 6 partecipazioni è arrivata almeno in semifinale non può che possedere una sicurezza sufficiente circa le proprie virtù.

ATLETICO MADRID – L’Atletico Madrid è l’unica squadra capace di essere fedele a sé stessa. Fino in fondo, dal primo minuto all’eventuale momento dei calci di rigore. Non ci sono cali d’attenzione nel cholismo. Che a descriverlo brutto calcio è tentazione facile ed è un errore di lettura clamoroso. Le grandi squadre possono anche essere quelle che sanno esprimersi compiutamente, senza tradimento alcuno. La storia recente dei colchoneros è una sfilza di partite condotte tutte al limite delle proprie possibilità. Può perdere, l’Atletico, ma perdersi mai. E se ha un talento come Griezmann, sarà in grado di manifestarlo anche in serate che non sembrano andare per il verso giusto. Per batterli non bisogna essere migliori di loro, ma riuscire a dimostrarlo, non c’è rendita di posizione, non c’è superiorità tecnica che valga. Il loro grande merito è riuscire a incardinare la partita sul loro terreno. Rimontarli nel risultato e anche concettualmente è la cosa più difficile che ci sia, ti confondono la mente ti obbligano a un calcio che non pensavi fosse ancora possibile pensare e praticare. E poi: ma chi ce l’ha una fase difensiva meglio organizzata in Europa? 

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