2016

CR7 e non solo

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Tra maledizione ed orgoglio, i quarti di Champions League

Ci sarà modo per entrare dentro la maledizione della Champions League, la legge che impedisce di vincere due volte una manifestazione evidentemente difficilissima. Forse un assunto così clamoroso, a maggior ragione ricordando i cicli di successi consecutivi nella precedente Coppa dei Campioni, fa pensare quanto la formula così criticata garantisca comunque un cambio di leadership, nonostante al vertice – leggasi semifinale – si abbiano delle situazioni di lunga durata. Rispetto alla scorsa edizione, cambiano i club ma non la composizione della nazione egemone: la Spagna mantiene i suoi due posti e sostituisce il Barcellona con per l’Atletico Madrid che si è guadagnato il diritto per l’appunto eliminando i campioni in carica. Il Bayern si conferma. E “l’intruso” di turno cambia, dalla Juventus al Manchester City, con consistenti rimpianti per i bianconeri che gli inglesi li hanno battuti a casa loro e a Torino, lasciando intravedere una superiorità d’impianto di gioco per nulla occasionale.

FOTOGRAMMI – In questa sessione di quarti di finale, emozionante soprattutto negli incroci tra Real Madrid e Wolfsburg e nel derby iberico, sono emersi come sempre tanti aspetti diversi, impossibile unificarli in una sole voce. Dove vale massimamente la prestazione del campionissimo, il mostruoso Cristiano Ronaldo, si risponde con una grande prova del collettivo dell’Atletico. Dove si evidenziano i limiti dell’elaborazione del gioco del Psg e la concretezza del Manchester City che non si fa irretire dal possesso  compiaciuto dei francesi, si può notare altresì la grande tenuta psicologica degli sconfitti del Benfica, che hanno avuto il merito di non uscire mai dalle due sfide nonostante due botte pesanti come il gol in apertura all’Allianz Arena e il parziale di 1-2 in Portogallo, che pure non ha impedito ai portoghesi di generare una bellissima reazione che è valsa un pareggio “morale”. Ogni gara presenta comunque un fotogramma o un tema che a mio avviso si impone a futura memoria, anche se altri eventi nel futuro magari ne offuscheranno la forza evocativa.

  1. L’entusiasmo del Real Madrid. Guardiamo dentro alla remontada. E osserviamo un’ora buona di eccessiva calma delle merengues sul 2-0 per far stare tranquillo Zidane e tutto l’ambiente, certamente rinvigoriti dall’idea della possibile undicesima. Al contempo, due gol in 2 minuti e altri più che possibili (ad opera di Benzema e Jesè) dopo il 3-0 di CR7. Lavorare sul governo del tempo non è facile in una squadra che ubbidisce agli umori dei singoli più che a un’idea consolidata di gioco. Ma senza questa doverosa crescita, è possibile assistere ancora al verificarsi di imbambolamenti come quello dell’andata a Wolfsburg.
  2. Neuer sta a Manchester. Il Psg è ricco di talento, ma a Manchester non va oltre opportunità su punizioni e calci d’angolo. Quando finalmente Cavani si trova da solo a tu per tu con Hart, il portiere esce aprendo le ali e lo ferma a mano aperta. Sono esattamente queste le parate dello stile Neuer, che evidentemente trova adepti un po’ ovunque (meno in Italia, dove lo stile è meno “fisico”). Che il giorno dopo per fare un volo da Super-eroe sbaglia totalmente tempi e modi dell’uscita alta e regala un gol al Benfica all’insegna della sua goffaggine. Anche queste “trasmigrazioni” tecniche fanno parte della Champions League.
  3. Complimenti. Non c’è altro da dire. Il Benfica li merita tutti per come ha estratto ogni risorsa contro il Bayern, supplendo anche ad assenze pesantissime. Ricordandoci che sarà vero che ogni uscita dalla Champions League è un dolore e una sconfitta, che vince solo uno e non c’è consolazione per chi non vi riesce, ma ci sono eliminazioni che hanno un significato che non va dimenticato, anche se sei un club per il quale la maledizione delle coppe, data la quantità di finali perdute, non è propriamente un modo di dire.
  4. Non è che li sottovalutiamo? Il sospetto c’è. Che il cholismo, con la sua equazione tra vita e calcio proposta da Diego Simeone, con la sua  robustezza agonistica e l’accensione dell’ambiente, finisca anche per operare una distorsione di sguardo. E cioè che si finisca per non vedere in maniera nitida il valore nella continuità di alcune prestazioni e perciò di interpreti che non vengono celebrati come campioni, non li si sente mai nei rumors di mercato ma intanto sono lì, anno dopo anno, a garantire la grandezza dell’Atletico Madrid. Un nome su tutti: Koke. Ha solo 24 anni ed è sempre – dicasi sempre – uno dei migliori in campo. Anche perchè del campo, lui sa occupare diverse zone come ben pochi altri.
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