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2012

Catania-Chievo, la sfida divide il padre di Sorrentino

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CATANIA CHIEVO VERONA SORRENTINO – In vista della gara tra Catania e Chievo Verona, Roberto Sorrentino ha parlato a La Sicilia della sfida, che per lui ha un sapore speciale, visto il suo passato con il club etneo ed il presente che vede suo figlio Stefano a difendere i pali della squadra clivense.

Nel Catania è stato un pilastro e un idolo dei tifosi, oggi è ancora un monumento nella storia rossazzurra. Quali sono i ricordi più belli?

«Ho giocato cinque anni a Catania, di cui quattro da capitano, vincendo due campionati della C alla Serie A. Come si fa a non avere ricordi stupendi. Dalla città alla società, ai tifosi che ancora oggi continuano a premiarmi come ex calciatore. Sono orgoglioso di essere ancora nel loro cuore. A Catania torno una o due volte all’anno e sono sempre accolto con simpatia e affetto. Credo avere costruito un pezzetto di storia di questa importante società».

Il suo Catania fu protagonista di un salto in Serie A emozionante, al termine di uno spareggio senza fine contro Cremonese e Como. Ricordi…

«Che emozione, fu una promozione da brividi. Vincemmo 1-0 contro il Como (gol di Crialesi) poi con la Cremonese ci bastava il pari per salire in A. Finì 0-0 e loro erano davvero forti, con Vialli in esplosione, giovane e terribile da marcare. Ma noi eravamo una roccia soprattutto in difesa. Ranieri, Mosti, Chinellato, Mastropasqua, con loro si dormivano sonni tranquilli. Anche a centrocampo e in attacco, comunque, il Catania era completo e poi a tutto questo aggiugiamoci il mister Di Marzio che fu eccezionale».

Dalla festa per la storica promozione a una retrocessione amarissima: ultimo posto con 12 punti, 1 vittoria, 10 pareggi, 19 sconfitte. Perché?

«La prima cosa da dire è che le squadre non erano 20 ma 16 e quindi il livello era ben più alto. Tutte le formazioni avevano giocatori d’alto livello e gli stranieri facevano la differenza. Platini e Boniek nella Juventus, Falcao nella Roma, Socrates e Bertoni nella Fiorentina, senza dimenticare Zico che giocava in una squadra allora piccola come l’Udinese. Tutta gente che lasciava il segno e faceva la differenza».

E invece voi avevate Pedrinho e Luvanor…

«Attenzione, erano bravi anche loro. Pedrinho era un giocatore di caratura internazionale, Luvanor un giovane che probabilmente andava seguito meglio».

Chiusura della parentesi con un pensiero rivolto al presidente…

«All’epoca il presidente Angelo Massimino era da solo, ma aveva grande personalità e passione, come prima l’aveva avuta il dottor Marcoccio e oggi c’è l’ha il presidente Pulvirenti che è riuscito a riportare il Catania in alto. Ormai sono tanti anni che staziona nella massima serie disputando ottimi campionati, lanciando allenatori e divertendo i tifosi».

Suo figlio Stefano però non ha ripercorso le sue orme nel Catania.

«Ha fatto un altro percorso, ma ha comunque indossato maglie importanti».

Da piccolo suo figlio giocava attaccante, poi è finito tra i pali a dieci anni perché in un torneo mancava un portiere.

«L’allenatore gli disse che era un figlio d’arte… ».