2017
Il caso Benevento: l’esperimento continuo
Benevento ancora a quota zero, quando sono passate in rassegna già quattordici giornate di campionato: la storia di un’occasione persa, di un sogno infranto
Zero. Zero spaccato, sarebbe il caso di dire. Zero è la quota punti che il Benevento è riuscito a sommare nella prime quattordici storiche partite di Serie A. Lì dove non era mai stato prima, esperienza che però non sta vivendo se non in una realtà parallela: c’è un campionato da una parte, il Benevento dall’altra. Lì giù, da solo sul fondo, staccato dagli altri, esistente ma trascurabile. Meglio dettagliare lo stato dell’arte che girarci intorno con parole di comodo: l’attualità del Benevento è andata oltre ogni pessimistica previsione. L’unica nota lieta è tutta nel cuore e nella passione dei suoi tifosi: vivono oramai con disincanto la sconfitta, quasi accettandola a priori, senza però lasciare alcunché in termini di supporto. Fisico ed emotivo.
Caso Benevento: un po’ di numeri
Della circostanza per cui nessuno aveva fatto peggio nella storia dei cinque campionati più rappresentativi del continente avrete già sentito: il Benevento sta andando oltre, quasi a voler sancire un record difficilmente intaccabile dalle generazioni future. Il dramma sportivo si evidenzia ancor più consistentemente dall’analisi di altre statistiche: quella dei gol fatti in primis. Il Benevento è andato in rete appena sei volte in quattordici partite di campionato, segnando dunque alla media di 0.42 reti a partita: spalmando il dato sull’intero torneo, la resa racconta di un bottino finale da 16 reti. Per intenderci, la squadra che l’anno scorso segnò di meno, l’Empoli di Martusciello, centrò un attivo di 29 gol. Tutte le altre più del doppio rispetto al misero accumulo che presenterebbe il Benevento. Oggi a sole sei reti: più dei sanniti al momento hanno segnato sette individui singoli, ossia Immobile (15), Icardi (15), Dybala (12), Mertens (10), Higuain (8), Quagliarella (7) e Dzeko (7).
Altri dati: Benevento senza difesa
Se la produzione offensiva del Benevento si presenta clamorosamente sterile, discorsi più incoraggianti non si possono certo applicare alla fase difensiva: al peggior attacco si somma la difesa più battuta del campionato, rea di aver incassato ben trentaquattro reti in quattordici gare di Serie A. Impietosa la media: 2.43 gol subiti a partita. Iniziare con un passivo sulle spalle di tale dimensione è condizione determinante nell’economia di una squadra: dovesse il Benevento confermarsi su tale andamento difensivo, si ritroverebbe a fine stagione ad aver accumulato uno stock di 92 reti. Peggio della peggiore difesa della scorsa stagione: quel Pescara che in tal senso si fermò a quota 83. Per intenderci, ben 34 reti in più rispetto a quelle incassate dalla quartultima, il Crotone di Nicola.
Oltre i numeri
Come si è potuto giungere a tutto ciò? Il discorso affonda le sue radici inevitabilmente nella campagna acquisti condotta in porto in estate: a regnare è stata l’improvvisazione della società di Vigorito. Pochi calciatori di categoria e dunque esperienza ai minimi termini, più che tale circostanza però il ragionamento va incentrato sui valori: salvo rarissimi casi, sono arrivati calciatori sostanzialmente inquadrabili come scarti di altre squadre. Senza una vera idea alla base. Capitolo difesa: avvicendamento del portiere a parte, il centrale e capitano sul quale era stata impostata la linea si ritrova fuori per doping. Gli altri si infortunano e si rendono disponibili a turno: la conseguenza è quella di un cambiamento continuo che tuttora non ha portato ad una formazione titolare. Qual è l’undici del Benevento? Quale la sua difesa base? Un mistero la cui risoluzione non è concessa. Cambiare tanto, o meglio cambiare sempre in un settore i cui equilibri sono così delicati, rende l’idea della situazione.
Benevento, non va meglio altrove
La vicenda è la medesima negli altri comparti di gioco: una volta va in campo Viola e pare si voglia puntare su una certa impostazione del palleggio, con un regista puro schermato da centrocampisti di sostanza, sette giorni dopo ti ritrovi con Del Pinto e Chibsah, rinunciando al pensiero calcistico che avevi inscenato prima. Un continuo ritornare sui propri passi per poi lasciarli, riprenderli ed abbandonarli, un’incoerenza tecnico-tattica che non può portare lontano. La domanda è replicabile: qual è il centrocampo titolare del Benevento? L’unico calciatore di livello, Danilo Cataldi, ha già cambiato tre ruoli: mediano puro di un 4-4-2, mezzala classica di un centrocampo a tre, addirittura avanzato rispetto alla linea intermedia. Il rebus resta intatto in avanti: Ciciretti e D’Alessandro si danno il cambio in infermeria (qualche domanda sulla preparazione atletica e sulla gestione settimanale sorge spontanea), per i quattro riferimenti offensivi – Iemmello, Armenteros, Puscas e Coda – siamo fermi a due gol complessivi, il rigore di Iemmello nel caotico finale di Cagliari e la firma di Armenteros nella sconfitta interna rimediata dal Sassuolo (altro finale di partita quantomeno discutibile).
Come se ne esce?
L’avvicendamento tecnico non ha giovato: nove sconfitte con Baroni, cinque con De Zerbi. Ma si va oltre il rilievo dei risultati: non c’è alcuna traccia in controtendenza, anzi si naviga in quell’incertezza tattica e in quell’esperimento continuo che abbiamo descritto. In parte per via delle continue e misteriose indisponibilità, in altra consistente parte per gli altrettanto costanti ripensamenti tecnici. Una cosa si può chiedere: scegliere una strada e portarla fino in fondo. Fare la quadra con quel che si ha e disegnarne un vestito intorno: se è tardi per auspicare la salvezza non lo è per vivere – da qui in avanti – un campionato dignitoso. Perché finora non lo è stato. Un campionato in cui si conoscano impostazione tattica, formazione titolare e gerarchie nella rosa, idea di calcio: chiarezza, la si deve ad una piazza che ha visto tramutare un’occasione in un’occasione persa, un sogno in un sogno infranto.