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Casarin: «C’è un modo per far sì che gli arbitri arrivino all’uniformità di giudizio»

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Opinionista appassionato e competente, nonché ex arbitro di grande esperienza, Paolo Casarin ragiona sulla difficoltà della categoria in epoca Var

Opinionista appassionato e competente, nonché ex arbitro di grande esperienza, Paolo Casarin ragiona sulla difficoltà della categoria in Serie A e non solo in epoca Var. Le sue dichiarazioni a La Gazzetta dello Sport:

L’UNIFORMITA’ DI GIUDIZIO «Nella fascia dal 1990 al 1997 si fischiava una media di 46 falli: gli arbitri di allora incutevano terrore, non fiatavi, la media era quella. Oggi si è abbassata, si dice perché si deve giocare più all’europea. Cosa voglio dire: che dentro il totale di una partita, oltre alle situazioni assolutamente chiare c’è pure un numero consistente di falli da studiare, una zona grigia sulla quale gli arbitri devono approfondire, studiare. Solo questa via può far trovare l’uniformità».

IL VAR«Col Var non si torna più indietro. Perché la squadra arbitrale tutta deve far sì che nulla resti impunito. Il Var inizialmente aveva quattro voci, oggi sono venti pagine di roba, per dire: si evolve il calcio e la velocità, si deve evolvere il resto di conseguenza. L’obiettivo è quello di togliere gli errori e le situazioni non viste dall’arbitro in campo: ma attenzione, se un giocatore arriva ai 100 orari o ai 15 è diverso, e lì deve restare sempre la valutazione di chi è in campo. Sennò diventa il video a imperare».

I RIGORI “TELEVISIVI”«Non esiste questo modo di dire: chi lo usa lasci stare».

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