2016

I tanti volti di Morata

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Qualunque sia il futuro, una sintesi del biennio in bianconero di Alvaro

Prima di decidere se resterà a Torino, rientrerà a Madrid o passerà per la Spagna per dirigersi altrove, in Ligue 1 o in quella Premier probabilmente adatta alle sue caratteristiche di improvvise accensioni che hanno colpito un po’ tutti, occorre chiedersi quanti Alvaro Morata abbiamo visto in Italia. Forse è attraverso quest’analisi dei suoi sfaccettati profili tecnici che si può capire meglio il valore di chi godrà delle sue prestazioni nella prossima stagione. Mi dichiaro subito, per non cadere in equivoco: uno come lui lo vorrei nella Juve prossima ventura. Sono convinto infatti che ormai esistano tutte le premesse per l’esplosione definitiva del suo talento in tutta la sua nitida evidenza, sebbene per certi aspetti il passaggio dalla fine della scorsa stagione a quella ancora in corso non abbia rappresentato quel processo di crescita che si poteva tranquillamente prevedere nella notte di Berlino (e non solo per il gol in una finale di Champions League, che pure è tanta roba). Aggiungo anche che sono fortemente dell’idea che l’Europeo con la maglia della sua nazionale lo eleggerà tra i protagonisti. La recente amichevole con l’Italia ha sancito quanto la sua attitudine “movimentista” e quanto ha appreso nel nostro campionato siano due fattori dei quali la Spagna ha assoluto bisogno. Alvaro potrà costituire lo stadio di evoluzione di un disegno tattico imperniato sul falso nueve e regalare una verticalità poderosa alle furie rosse (una volta, quando lo erano ben poco, le si chiamava così…).

IL PRIMO MORATA – «In questo anno ho imparato più che in tutta la mia vita. È molto più difficile segnare in Italia, c’è molta differenza rispetto alla Liga. Le occasioni non sono tante e le soluzioni personali sono molto più rare, per far gol bisogna salire con tutta la squadra. Ha ragione chi dice che la Serie A è l’Università del calcio». Il primo Morata juventino sta tutto in questa confessione. Più simpaticamente, in questa settimana Massimiliano Allegri lo ha raccontato con un’immagine più precisa: «All’inizio è arrivato e appena poteva tirava subito in porta. Tevez lo guardava male e Alvaro è un ragazzo intelligente, ha capito che gli doveva passare il pallone. Poi, però, ad un certo punto, ho visto che non andava alla conclusione mai…». Non è banale essersi adattato a un campionato molto diverso da quello del suo Paese attraverso il rapporto con uno come l’attuale leader del Boca. Perché entrare in sintonia con Tevez significa anche e soprattutto lavorare sulla chimica molto più che su altre discipline. Carlitos è infatti uno splendido combattente istintivo, intendendo con questo non un semplice atteggiamento di risposta immediata agli stimoli che ti offre la partita; c’è qualcosa di altro e di più nel suo muoversi in campo, è la sensibilità nel capire in tempi rapidi dove si può far più male all’avversario. L’istinto e l’abitudine di Morata è altro, è andare via all’uomo un po’ ovunque, anche a molti metri dalla porta, fortificandosi ad ogni passo nella convinzione, ma anche deprimendosi alquanto quando l’intenzione resta incompiuta o – ancor più – quando i tanti passi palla al piede, fatti anche con esemplare coordinazione, non portano in nessun luogo, se non a subire botte che lui reputa immotivate e ingiuste. Insulti all’eleganza, vere e proprie offese, e difatti il mister bianconero glielo ricorda spesso che non deve giocare una sua partita nella partita e ancor più non deve mortificarsi se l’azione non s compie per intero: basta “sentirlo” un attimo prima e si scarica la palla nei tempi giusti, pazienza se non è una giocata decisiva. Quanto sia stata lunga la strada che ha compiuto Morata nel suo biennio torinese, – pieno di emozioni che lui ha avvertito pienamente perché il ragazzo ama il pallone, è visibile a occhio nudo – è certamente anche inscritta nelle difficoltà avute nello stare dentro le leggi della concorrenza. Llorente prima, Dybala poi, una competizione non semplice da capire perché sono modelli di attaccanti diversi, non si è sovrapponibili, non si possono fare le stesse cose ma meglio per avere ragione. Ma c’è anche altro, a partire dagli infortuni, con il primo ancora in ritiro quando vivi con la smania di farti conoscere e poi gli altri magari intervenuti sul più bello, quando ti senti titolare e invece non lo sei perché mai lo sei stato per diritto acquisito.

IL SECONDO MORATA – Ma la linea di percorso più riconoscibile, probabilmente, sta in certi gol europei e certo sarà un atroce paradosso che magari lo si ricorderà presso una parte di tifosi come colui che a Siviglia ha sbagliato troppo sotto porta negando la possibilità di un approdo più morbido agli ottavi di finale nell’anno che poteva essere giusto per la Champions League eccetera eccetera… Sicuramente Morata può crescere nel numero di gol, soprattutto se imparerà a fare quelli facili e in Liga ce ne sono molti di più che in Serie A, questo è sicuro. Però sarebbe un errore clamoroso dimenticare tutte quelle reti realizzate nella scorsa Champions League – e per di più consecutive, una gara dopo l’altra, una più importante dell’altra – affinando la conoscenza di Tevez e anche dei suoi compagni, andando a seguire le loro tracce, facendosi trovare nella linea giusta dove il pallone sarebbe arrivato, come e meglio di una prima punta che prima punta non è. E poi, a proposito della strada da fare, come non porre come sigillo di laurea l’incredibile cavalcata di Monaco e quell’istante giusto nel servire a Cuadrado il pallone dello 0-2, una di quelle reti che confezionano solo i giocatori che sanno studiare e sono ben preparati sugli avversari e i loro punti deboli. Vada come vada, se mai Morata dovesse andare via dalla Juventus non si dovrebbe cercare un suo sostituto perché semplicemente non c’è. Ha caratteristiche originali Alvaro e sono queste ad avere colpito la dirigenza bianconera due anni fa, coraggiosa nel puntare su una “riserva”, sebbene del Real Madrid campione d’Europa in carica. Ed il vero rimpianto, curiosamente, potrebbe averlo Antonio Conte sopra ogni altro: non averlo avuto in bianconero (ma lì è sua la responsabilità per essersene andato…); non intravederne un prospetto minimamente somigliante in Nazionale e lui sa quanto ne avrebbe bisogno; non averlo neanche nel Chelsea, a meno di colpi di scena oggi non preventivabili.

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