2015

Caio, la luce riflessa che ingannò Moratti

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Illusione verdeoro, traccia poco memorabile degli anni ’90 nerazzurri

Essere brasiliani, quando si tratta di pallone, è da che mondo è mondo croce o delizia di ogni giovane che si affacci sul palcoscenico mondiale: nell’immaginario collettivo il Brasile porta con sé un bagaglio di aspettative e di presupposti spesso distanti dalla cruda realtà e dalle reali potenzialità. E certo il nome di Caio (spesso accompagnato a Tizio e Sempronio negli esempi) avrebbe dovuto avere una carica profetica per l’allora fresco presidente interista Massimo Moratti. Caio Ribeiro Decoussau arrivò in Italia agli albori della stagione 1995/1996 ed il carico di attese e di promesse che accompagnavano l’attaccante era di primo piano: già protagonista  con la maglia del San Paolo e miglior giocatore del Mondiale Under 20 disputato in Qatar, in coppia  con il funambolico Denilson, Caio aveva sulla carta tutte le credenziali per far sognare il popolo interista. Sulla carta però, che spesso viene smentita severamente dal campo. Posato, elegante, garbato: così si presentò il ventenne Caio alla corte di Roy Hodgson, quello che sarebbe potuto essere il suo mentore, e così conobbe Milano, città della moda, con cui esteticamente l’incastro sembrava essere perfetto.

Caio prima dell’involuzione: le premesse c’erano tutte

L’APPARENZA CHE INGANNA – La sostanza, però, fu qualcosa di profondamente diverso dalla perfezione: mister Roy Hogson non intravide nel promettente brasiliano quelle qualità tali da poter fare la differenza in un campionato ostico e duro come quello italiano, il tecnico inglese concesse al nuovo arrivato la miseria di 6 presenze e sistematicamente come subentrante, per un pugno di minuti e nessun gol messo a segno. Un miliardo per presenza, o persino qualcosa in più: questo il modo per riassumere sinteticamente la prima annata di Caio in Italia. La stagione 1996/1997 partì poi con presupposti persino meno incoraggianti: l’Inter si rafforzò e lo spazio per il giovane brasiliano si fece sempre più ristretto, per non dire nullo. La necessità di non perdere l’investimento fatto spinse l’Inter a concedere al giocatore un prestito altrove, per trovare spazio e farsi finalmente le ossa. E non in una piazza qualsiasi. Caio arrivò infatti al Napoli, ambiente potenzialmente ideale per misurarsi con le insidie della Serie A e per imparare cosa significa rispondere alle attese di un pubblico esigente (pur non trattandosi di un Napoli d’alta classifica, arrivando da un dodicesimo posto). L’elegante brasiliano con la faccia da bravo ragazzo combinò qualcosa in più, ma non abbastanza: sotto la guida di Simoni l’attaccante collezionò 20 presenze, numero ingannevole considerando come si trattasse perlopiù di comparsate a partita in corso.

Globo Esporte, con la scusa di un omaggio, si fa beffa di Caio

SENZA RIMPIANTI – La stagione vissuta a Napoli segnò la conclusione dell’avventura italiana di Caio: l’Inter non vide nel giocatore quella maturazione che si sarebbe attesa, il brasiliano si rivelò troppo fumoso e leggero per poter lasciare il segno di fronte alle scaltre ed arcigne difese italiane. L’esperienza europea non sancì l’esplosione di Caio nel grande calcio ma ne segnò il tramonto anticipato: nemmeno il ritorno in Brasile riuscì a far risvegliare quel ragazzo che tante promesse aveva saputo seminare con le giovanili verdeoro. Come detto al fianco di Caio, in quel Mondiale Under 20, giocava un certo Denilson: a posteriori viene naturale comprendere quanto un compagno di squadra particolarmente talentuoso possa fare la differenza, illuminando anche chi forse non è stato baciato dalla stessa fortuna. Una luce riflessa, questa, che finì per abbagliare anche l’Inter di un Moratti già pronto ad innamorarsi di meteore esotiche ed a regalare a giovani pupilli speranze mal riposte.

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