Calcio italiano
Buon compleanno a… Cesare Prandelli
Oggi Cesare Prandelli compie 66 anni, da qualche anno ha deciso di togliersi dal calcio con una lettera d’addio
Oggi Cesare Prandelli compie 66 anni. Sembra quasi una coincidenza del destino che oggi inizi in contemporanea il campionato di Serie A. Il mondo dal quale a un certo punto lui ha scelto di togliersi, due anni fa, con una lettera d’addio che colpì tutti per la sincerità della confessione, più che per la sorpresa del momento in cui arrivò o per le conseguenze che avrebbe generato.
Tanto da scuotere non poco anche molti suoi colleghi, anche quelli più celebrati, come Carlo Ancelotti che fece eco in un altrettanto forte sfogo in una lunga intervista a The Athletic, andando a centrare il punto dirimente della questione, la mutazione genetica del calcio: «È comprensibile il messaggio che ha scritto; estremamente chiaro. Lui è una persona che si sente meno motivata nel proprio ambiente e sta incontrando delle problematiche psicologiche. È un fatto positivo che ne abbia parlato, non solo per lui, ma anche per le altre persone nell’industria. Bisogna capire che le aspettative sono molto, molto alte e, ogni anno, diventano più grandi sia sull’allenatore che sui giocatori. Qualche tempo fa, le squadre erano dei giocatori. Parlavamo della squadra di Maradona, o di Platini. Adesso parliamo della squadra di Mourinho, di Guardiola, di Ancelotti. Questa è tutta pressione che si accumula sull’allenatore. Ma anche i giocatori hanno le loro difficoltà; è molto più complicato di quando io giocavo; televisione, social media, questo costante aumento delle pressioni, e le persone chiedono sempre di più, di più, di più, di più».
A ben pensarci, non poteva che essere uno dal carattere genuino come Prandelli ad alzare la mano e a scegliere di scendere dalla giostra. Uno che non aveva esitato a prendersi le responsabilità per l’andamento deficitario della sua Fiorentina evitando di ricorrere a tutto quell’armamentario di scuse a cui si ricorre generalmente pur di non ammettere una cosa in fondo importantissima, la propria umanità e – di conseguenza – la possibilità di incorrere nell’errore anche per questo.
Anche per questo, molto più che per i risultati conseguiti in passato, il popolo viola lo ha capito, abbracciandolo e non facendogli mancare il proprio sostegno. Ha capito la purezza della persona, quel nucleo sentimentale che lo governa e che due mesi fa lo ha fatto riflettere ad alta voce in un’intervista al Corriere della Sera, in cui ha confermato la decisione di smettere con il calcio, pur seguendolo ancora con grande passione e provandone la nostalgia di viverlo da dentro: «Come allenatore mi mancano certi momenti in cui avverti che i giocatori ti ascoltano, ti seguono, stanno diventando una comunità, allegra e coesa. In quei momenti mi sentivo in pace con me stesso, mi sentivo molto felice di fare quel lavoro».
In Prandelli è praticamente impossibile il tratto dell’educatore. Senza alcuna pedanteria, anzi, con l’entusiasmo di chi a La Gazzetta dello Sport ha rievocato come momento più bello della sua professione il rapporto con i ragazzi, come direbbe un vescovo guardando indietro i tempi felici dell’oratorio: «Nonostante le esperienze con Parma, Fiorentina o Italia da vice campione d’Europa, la mia miglior esperienza tecnica è stata nelle giovanili dell’Atalanta: poter allenare i ragazzi del vivaio è la gioia pura del calcio».
E sono proprio coloro che lo hanno incrociato nella fase cruciale della carriera e della vita, quando il talento deve sbocciare, a essere i migliori testimonial nei suoi confronti.
Come Dusan Vlahovic, che ha restituito perfettamente l’idea di che persona sia Cesare Prandelli quando lo ha raccontato attraverso un semplice pensiero che racchiude un fortissimo senso di gratitudine: «Mio padre un giorno mi ha confidato: se l’allenatore della Fiorentina fossi stato io in persona, non avrei fatto tutto quello che ha fatto Prandelli per te».