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Bonaventura: «Milan, è mancata la fiducia. Potevo dare ancora tanto»

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Jack Bonaventura ha parlato in una lunga intervista al settimanale Sportweek: queste le parole del rossonero

Jack Bonaventura a fine stagione ha salutato il Milan. Si è liberato a zero dopo sei stagioni con i colori rossoneri addosso. Al settimanale Sportweek il centrocampista ripercorre gli anni milanisti togliendosi anche un sassolino dalla scarpa.

MILAN – «Potevo ancora dare tanto ma il giocatore e l’uomo il Milan lo ha visto tutto. Mi dispiace non aver avuto lo stesso allenatore per tre o quattro anni, perché è una cosa che ti dà continuità nel lavoro. Invece, ogni nuovo tecnico sembra ti metta sotto esame. Ogni volta ricominci daccapo e questo ti fa perdere un sacco di tempo. Ho capito che le valutazioni su di me erano cambiate quando mi sono infortunato al ginocchio. Dovevo operarmi, stare fermo fino al termine della stagione e ricominciare con un solo anno di contratto davanti. Una società che ha fiducia in te, ti sottopone il rinnovo appena vede che hai ripreso l’attività. Nel mio caso non è successo. Ci sono state mezze parole, niente di più. Forse è cambiato lo stile Milan, ma ho avuto la sensazione che nei miei confronti non ci fosse la considerazione di cui godevo prima dell’infortunio».

IN GINOCCHIO A SAN SIRO – «Non c’era niente di preparato. Ho aspettato che uscissero tutti prima di restare qualche istante per conto mio e guardarmi intorno, ricordare. Ho fatto due passi, ho visto lo stadio come mai mi era capitato: vuoto. E vuoto sembra ancora più grande. Poi mi sono inginocchiato. È stato un momento di intimità tra me e San Siro. Ho provato gratitudine per tutto quello che ho vissuto dentro quell’impianto.  Giocare lì era il mio sogno di bambino. Averlo fatto per sei anni col Milan è stato fantastico».

RICORDO PIÙ BELLO – «Doha, sicuramente. Un trofeo è un premio per tutti quelli che lavorano in società, non solo per allenatori e giocatori, ed è bello vedere la felicità nei loro occhi».

IBRAHIMOVIC – «È un grande. Quando è arrivato mi ha trasmesso un entusiasmo e una voglia che mi mancavano da un po’. Ho iniziato la stagione che stavo recuperando dall’infortunio al ginocchio del novembre di due anni fa. Non avevo quasi fatto la preparazione precampionato ed ero un po’ giù di tono, non solo muscolare. Quando a gennaio ho visto arrivare Zlatan, mi è tornata la voglia di spaccare il mondo. Io e lui eravamo i due vecchietti della squadra e lui, che pure ha parecchi anni più di me, diceva scherzando che il più vecchio ero io. È entrato in gruppo in punta di piedi, con umiltà, senza pretese, guadagnandosi il rispetto di tutti e con il lavoro e le prestazioni in partita. Quello che fa in campo lo vedono tutti, ma la differenza la fa la sua intelligenza. E non mi riferisco a quella calcistica. E poi è uno molto divertente. Ha dato sicurezza. Lo vedi grande e grosso lì davanti, sai che nei momenti difficoltà puoi buttare la palla su, che ci pensa lui. Ci ha aiutato tanto. La sua presenza ha dato consapevolezza, specie ai più giovani. In allenamento è un terremoto, mette pressione, fa stare tutti più attenti».

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