2015
Donadoni: «Roma, io e Destro ti sfidiamo»
E Gianfelice Facchetti lo premia: «Il bello del calcio»
Roberto Donadoni si toglie per un attimo le vesti di allenatore per parlare da padre. E lo fa per commentare i tragici attentati che hanno scosso Parigi: «Ne ho parlato subito con mio figlio Andrea. A gennaio era a Parigi, studiava poco distante dal giornale Charlie Hebdo. Dall’autunno del 2014 al maggio di quest’anno ha svolto un corso in una delle più importanti scuole europee di fotografia. Quello che è accaduto scuote. Pensare che un giovane termini la sua vita per dare morte ad altri giovani non è comprensibile. E fa paura. Un padre e una famiglia che mandano i propri ragazzi a studiare, lavorare, divertirsi a Parigi o altrove restano annichiliti. Non c’è religione che possa giustificare tutto questo. Penso alla famiglia della ragazza di Venezia, Valeria Solesin e alle tante altre famiglie straziate. Ho solo dei brividi», ha raccontato il tecnico del Bologna ai microfoni del Corriere dello Sport.
IMPATTO – Poi, però, torna a parlare di calcio e del ritorno in Emilia. Dopo l’avventura a Parma il tecnico riparte dal Bologna. Racconta di un impatto ottimo: «La risposta della squadra è stata perfetta. Questo è importante, perché ti dà subito la benzina che ti serve. Ho pensato che dovevo smussare i difetti ed esaltare i pregi di questa squadra. Se corri significa che è stata fatta una buona preparazione. Ma bisogna trovare un equilibrio, correre bene. E far correre gli avversari», ha spiegato Donadoni, che ha commentato la scelta di reintegrare Ceccarelli e Pulzetti: «E’ una scelta decisa dalla società, che io ho avallato. Ma c’è un problema di regolamento, al momento non possiamo inserirli nella lista dei venticinque. E comunque siamo in tanti. Noi abbiamo una decina di giocatori di troppo: è un problema che dovremo risolvere».
VALORI – Più che al mercato, però, l’attenzione è rivolta alla Roma, prossima avversaria in campionato: «Pochi ragionamenti sugli avversari, preferisco concentrarmi su noi stessi. La Roma ha valori altissimi. Se vinci ha valenza doppia. Dobbiamo lottare per mantenere la categoria. Poi strada facendo si migliora…». Un’ottima impressione l’ha avuta anche da Joey Saputo, mentre preferisce non esporsi su Diawara: «Prima di dire che è forte ne deve passare tanta di acqua sotto i ponti. Dipenderà molto da lui, noi siamo qui per agevolare questo processo di crescita. Sarò contento se arriverà in una grande squadra». Destro, invece, ha cominciato un percorso positivo: «A lui ho solo detto: tranquillo, tornerai ad essere il giocatore che si aspettano che tu sia. Rinforzi? Vedremo, lasciatemi capire cosa serve».
ESCLUSIONI – Donadoni dribbla poi le domande sul motivo per il quale non ha ancora allenato il Milan: «Ho smesso di farmi queste domande, è solo una perdita di tempo. Non sono domande che faccio a me stesso, le farò a chi di dovere». Però parla di Paolo Maldini, tagliato fuori dalle scelte societarie rossonere: «Al di là che mi spiace vedere Maldini fuori dal nostro calcio, direi che la storia è piena di grandi campioni che poi non rientrano nei piani societari».
RINNOVAMENTO – Infine, parla del tormentantissimo anno di Parma e del rientro di Pietro Leonardi, che ora lavora per il Latina: «Continua a fare quello che ha sempre fatto. C’è in corso un processo, aspettiamo, non è a me che deve rispondere. Spero che tutti abbiamo capito che questo calcio deve cambiare. Bisogna cambiare le cose con il tempo che serve».
IL PREMIO – Di Donadoni ha parlato Gianfelice Facchetti, figlio della bandiera interista. Donadoni, che ha vinto il premio “Il bello del calcio”, è molto simile a Giacinto secondo suo figlio, che gli ha dedicato alcune parole attraverso La Gazzetta dello Sport: «Quando a inizio stagione l’abbiamo visto fuori dal valzer delle panchine, non ci è sembrata un’ulteriore vigliaccata nei suoi confronti e di chi ha lottato con lui per dare dignità alla città di Parma e ai suoi sportivi? Impossibile che mio padre non avesse sognato di vederlo indossare il nerazzurro dell’Inter dopo quello dell’Atalanta, impossibile perché anche solo da lontano i due avevano più di qualcosa in comune, nelle maniere e nel sentire. Anche se Eupalla non volle così l’ammirazione rimase intatta, per le pagine scritte col Milan certo ma ancora di più per quelle marchiate in azzurro, grazie al sentimento che salda in un patto tutti i campioni che hanno sudato e gioito per la nostra bandiera. Tra presidenti incontentabili, dirigenti malintenzionati e mezze tacche, ha fatto parlare il suo lavoro, ripartendo spesso un passo dietro dal punto in cui era arrivato con merito, senza protestare. Si è indignato come pochi sanno fare in un mondo in cui la regola che vale di più è l’omertà».