2012

Bologna, Portanova: ?Il calcio è ancora un sogno?

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CALCIOSCOMMESSE BOLOGNA PORTANOVA – Ricorderà in modo particolare il 2012 Daniele Portanova, coinvolto nello scandalo del calcioscommesse: «Ho affrontato situazioni che mai avrei voluto e mai mi sarei aspettato. Per me non è stato un anno bellissimo. Ma siamo la seconda miglior difesa del campionato (davanti c’è la Juve, ndr), nell’anno solare, ed è un traguardo importante. E poi anche sotto il profilo umano, tutta la vicenda del calcioscommesse qualche aspetto positivo lo ha avuto: mi ha fatto capire molto dell’amicizia. Vengo dipinto come uno tosto, ma sono un buono. E non riesco a capire subito chi mi vuole bene e chi no. In questi mesi ho rivalutato e rafforzato certi rapporti, e ne ho lasciati andare altri», ha dichiarato al Corriere di Bologna il difensore rossoblù, che poi ha parlato della sua famiglia e ha raccontato come è nata la voglia di entrare nel mondo del calcio: «Mio padre Gerardo mette le mattonelle, fa il piastrellista insomma, sta in zona Fiumicino, a Roma. Mamma Filomena stira in una ditta, ma vive da un’altra parte, in centro. I miei sono separati. Siamo una famiglia umile, ma che si vuole bene e ha ben chiari i valori fondamentali della vita. E poi c’è mio fratello maggiore, Alessio: consegna surgelati. Nessuno ha smesso di fare quel che faceva solo perché io sono diventato un giocatore e ho guadagnato bene. Come ho cominciato a giocare? Devo ringraziare mio padre. Ero ragazzino, giocavo a pallone ma non sapevo se continuare. Venivo da una famiglia umile, mio padre non faceva né l’imprenditore né l’avvocato. Non avevo la testa e pensavo ce la facessero solo i raccomandati. Dissi a papà: “Lascio stare, tanto non c’ho speranza”. Così mi portò a lavorare con lui. Ho retto due giorni, il terzo non ce la facevo più a portare sacchi di roba. Capii che non ero fatto per un lavoro così pesante. E poi stavo perdendo la sua fiducia. Ho fatto quel che mi veniva meglio.  Ho imparato che il rispetto di mio padre valeva più di tutto, più dei soldi. Avevo paura di perderlo e in questi anni ho sempre lottato per i suoi sogni e per i miei. Mia madre? Voleva che mi diplomassi. A scuola non me la cavavo male. Non aprivo mai un libro, ma ascoltavo le lezioni e non dimenticavo. Poi come tutti in alcune materie, quelle che mi sembravano più utili, andavo meglio. Matematica, ad esempio era utile. Ma con scienze e storia che ci facevo? Io dovevo pensare al futuro e storia invece… Ma preferivo il calcio. Così un giorno sono andato da mia madre e le ho detto: “A ma’, basta scuola, diventerò un calciatore bravo e guadagnerò molti soldi”. Lei si mise a piangere, dopo tutto i sacrifici e i soldi spesi per farmi studiare. “Questo è matto”, ripeteva. Grazie a Dio il mio sogno si è avverato. Credo in Dio? Sì, in particolare sono vicino a Padre Pio. Vado a Benevento ogni anno e faccio lo stesso percorso che faceva lui, quello che lo portò a essere frate».

Sul suo ruolo di capitano e di difensore, Portanova ha spiegato: «Ho sempre ascoltato, guardato e cercato di capire. Ammiravo giocatori come Guido Di Fabio, Massimo Carrera, ma anche Simone Vergassola, gente che non dormiva la notte per la tensione della partita. Difesa? Si dirige con esperienza e parlando, assillando i compagni. Urlare in mezzo al campo è un modo per farsi sentire ma anche per tenere sempre alta la concentrazione di chi ti sta attorno».

Portanova poi segnala due compagni di reparto stranieri da tenere d’occhio: «Radakovic: ha un grande futuro davanti. Non dico Sorensen perché non riesco a considerarlo più un giovane. Tra l’altro, ho letto critiche a Pioli perché non lo aveva inserito prima. Erano sbagliate. Per un semplice motivo: Sorensen si è inserito quando ha voluto lui. Prima non aveva capito che doveva prendere il treno. Ora che ci è salito spero che non scenda e che dia sempre il 100%», sui suoi punti di riferimento, invece, e la mancanza chance in Nazionale spiega: «Nesta e Cannavaro? Quando avevo l’età giusta per la Nazionale avevo davanti loro: Nesta, il mio modello, mai visto giocare uno così dietro. E Cannavaro, un difensore Pallone d’oro. Certo, se avessi oggi 25 anni forse avrei qualche speranza in più».

Il difensore, infine, chiude parlando del suo futuro: «Quello che mi è successo mi ha fatto capire quanto voglio bene al calcio. Finché vivo in questo modo, finché sto male come lo sono stato per il mio sogno, continuo. Quando verrà meno anche un minimo delle emozioni che provo, allora capirò che è ora di dire basta. Fino ad allora continuo».

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