2016
Bertini: «Calciopoli? La Juve non c’entra»
«Dovevano essere il Diavolo, ma fu certificata solo Lecce-Parma»
Ha deciso di non mettere la testa sotto la sabbia per cancellare tutto, ma di indossare l’elmetto e andare in guerra Paolo Bertini, che nell’estate del 2006 ha ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito dello scandalo Calciopoli. Dieci anni dopo l’ex arbitro internazionale torna a parlare: «Una parte della mia vita è stata spazzata via. Lo sapevo anche dieci anni fa che ero innocente, ma ora è stato certificato pure dalla giustizia, tutta insieme, quella sportiva e quella penale. Bene, chi mi restituisce quello che ho perso?», ha dichiarato Bertini al Corriere dello Sport.
LA BATTAGLIA – Si parla, dunque, di Calciopoli, che definisce un “paradosso”: «Nasce perché la Juventus e i dirigenti della Juventus dovevano essere il Diavolo ed invece l’unica partita diciamo così “certificata”, per la quale viene condannato un solo arbitro (De Santis, ndr) è Lecce-Parma, con la quale la Juventus non c’entra nulla. Mah…», ha spiegato Bertini, che da allora non ha più arbitrato, nonostante la sua assoluzione. Si aspettava qualcosa dall’AIA e invece si è trovato contro la Federcalcio, che si è presentata come parte civile contro di lui nel processo di Napoli: «Per vedermi riconosciuto quello che la Cassazione stessa ha sottolineato dovesse essere evidente già in primo grado, ho dovuto fare lo straordinario, perché solo un folle rinuncia alla prescrizione. Perché l’ho fatto? Perché ero innocente. Perché vivo ad Arezzo, un paese più che una città, dove ci si conosce tutti. Lavoravo in banca, l’ho fatto per 26 anni, gestivo i soldi della gente, pensate potesse essere facile continuare a farlo con quelle accuse? L’ho fatto per la mia famiglia, quante ne ha dovute sopportare mia moglie Daniela. E mio figlio Tommaso, che aveva 8 anni e che, rispetto a Elena che ne aveva tre, era più vulnerabile. A scuola di che volete si parli, a quell’età, se non di calcio? Per fortuna sapeva bene chi era il suo papà».
RAPPORTO SCONVENIENTI – Il padre di Bertini è stato per 60 anni nell’Aia – è stato l’assistente di Agnoli e Casarin – e il rammarico del figlio è che non sia riuscito ad assistere alla sua assoluzione. A sentir parlare Bertini sembra tutta un’invenzione Calciopoli: «C’era una serie di rapporti, magari sconvenienti, ma c’erano e lo sapevano tutti. Perché con il sorteggio, con due designatori voluti da squadre diverse, era necessario tenere i canali di comunicazione aperti, ce lo disse direttamente il presidente Carraro. Io parlavo con i miei designatori tre, quattro volte a settimana. Eppure su 171mila telefonate ce ne fosse stata una…. E poi, vista la leggerezza con la quale parlavano di certe cose, possibile non parlavano anche del resto?».