2017

Penso che un Milan così non ritorni mai più

Pubblicato

su

Berlusconi-Milan, un binomio di trionfi. C’è stato però un giorno in cui sia il Cavalier che il Diavolo gioirono: il 18 maggio 1994, data del primo governo dell’ex imprenditore e della finale di Champions League con il Barcellona di Crujiff

La XII legislatura della Repubblica Italiana è storicamente il momento in cui si passa dalla cosiddetta Prima Repubblica alla Seconda. Non è più il tempo della Democrazia Cristiana, il socialismo da bere è stato ormai messo spalle al muro da Tangentopoli anche se nel 1994 c’è ancora qualche eco. Via gli occhiali da Pentapartito, la classe politica degli anni Novanta è sì rampante ma anche composta, strizza l’occhio al cittadino e gli dà la speranza di potersi sentire col portafogli gonfio. Capelli tirati indietro, vestito elegante e sguardo compiacente. Accento del nord, ritmi televisivi, linguaggio chiaro e diretto. Ormai l’apparenza è più della sostanza, ma nel momento in cui gli Italiani vanno alle urne ancora non lo sanno. Hanno solo negli occhi Silvio Berlusconi, uno che è venuto su dal nulla e ha costruito un impero: aveva l‘Edilnord, ha creato un nuovo modo di fare tv, può insegnare cosa sia la comunicazione e soprattutto ha fatto breccia nel cuore degli italiani. Il 18 maggio del 1994 Silvio Berlusconi è ormai sceso in campo da qualche mese, ha deciso di buttarsi in politica e di fondare un nuovo partito di destra: Forza Italia. Il nome è quello di un incitamento da stadio perché lui gli stadi li ha frequentati e li frequenta, dato che nel 1986 ha preso una squadra sull’orlo del fallimento e l’ha portata nel suo posto preferito, in cima al mondo. Quella squadra è il Milan e il 18 maggio del 1994 sta per affrontare una delle partite più belle della sua storia. In Italia però quel giorno la parola d’ordine è fiducia, Berlusconi ha formato il suo governo – di centrodestra e anche qualcosina di più estremo, è infatti il primo nel Dopoguerra con membri del Movimento Sociale Italiano – e deve ottenere la fiducia al Senato della Repubblica. A Palazzo Madama Berlusconi parla di contratto con gli italiani, di milioni di posti di lavoro, di Stato assistenziale e di clientelismo. Ottiene la fiducia con 159 voti favorevoli, 153 contrari e 2 astenuti.

Il binomio Berlusconi-Milan e la finale di Atene

Non si può parlare di storia senza fare almeno un riferimento alla Grecia. Il destino, che spesso ha accolto Berlusconi a braccia aperte, ha fatto sì che il 18 maggio del 1994 la squadra del Cavaliere – e adesso premier – giocasse allo Stadio Spiros Louis contro il Barcellona di Johan Crujiff. «Siamo favoriti, vinceremo. Giochiamo il calcio più bello e non sbaglieremo la partita» ha detto l’olandese prima della partita, invero non un match qualsiasi ma la finale di Champions League, la seconda di seguito per il Milan che l’anno prima venne sconfitto dal Marsiglia. Crujiff arriva ad Atene rinfrancato da una Liga vinta grazie a un rigore sbagliato da Djukic al novantesimo in una partita in cui il Barcellona nemmeno stava giocando. Il Milan di Fabio Capello invece non ha Franco Baresi e Alessandro Costacurta, il leader centrale difensivo e il suo figlioccio. La coppia col braccio alzato non può chiamare il fuorigioco sotto il Partenone, lascerà la linea a quattro zoppa e con Maldini al centro, Panucci laterale e Filippo Galli titolare. Anche per quello Crujiff è così spavaldo, e poi non è più il Milan di Gullit, van Basten e Rijkaard, l’espressione diretta del suo presidente: così barocco e cinico, bello e spietato come un film di David Lynch. Il Milan di Capello vira più all’essenziale, si affida ai muscoli di Desailly e a una retroguardia ferrea. Spera nella provvidenza – anzi, in Provvidenza – e nella serata di luna buona di due talenti cristallini come Boban e Savicevic. Quest’ultimo, lo chiamano il Genio, è la percezione di sollievo che dal cervello manda influssi positivi al resto del corpo. Il Milan, ampiamente sfavorito, ha un piano ben preciso: vuole fare la partita, sebbene la qualità dei blaugrana faccia pensare più a un gioco di rimessa, nei giorni precedenti c’è anche chi pensa a portarla ai supplementari. Non è la mentalità di Silvio Berlusconi, uno che si è presentato in elicottero. Non è la mentalità di Fabio Capello, che rimbomba la testa dei suoi giocatori con quel “vinceremo” che sa di Ventennio e invece è stato pronunciato da quanto di più lontano possibile da quel periodo. Le parole di Crujiff servono da stimolo. Il 18 maggio del 1994 non può andare male.

Berlusconi-Milan: trentun anni e un finale drammatico

E male non va. Silvio Berlusconi nel primo pomeriggio ottiene la fiducia del Senato, due giorni dopo toccherà alla Camera dei Deputati. La Seconda Repubblica è iniziata e il Cavaliere è al potere. Il Milan ancora no, ma deve attendere solamente le 22.35 ora italiana. Al fischio finale dell’inglese Philip Don il tabellone dello stadio di Atene indica un risultato insperato, quasi come quello di Berlusconi alle elezioni di qualche settimana precedente. Fabio Capello e i suoi collaboratori per ben quattro volte si sono alzati da quelle sedie di plastica da sagra paesana poste a bordocampo, hanno esultato e si sono abbracciati. Massaro Massaro Savicevic Desailly: dopo nemmeno un’ora di gioco il Milan vinceva quattro a zero, che poi sarebbe anche il risultato finale. «Il trofeo è la faccia di Crujiff» titola La Gazzetta dello Sport all’indomani, e invece il trofeo è altro. È la sicumera di Maldini, la costante propensione e proiezione offensiva, la vittoria di Albertini nel confronto con Guardiola, la rivincita di Filippo Galli sugli agnellini Romario e Stoichkov. È la doppietta di Provvidenza Massaro, prima con un tocco sotto porta e poi con un sinistro di prima su assist di un imprendibile Donadoni. È il tiro a giro di Desailly che chiude la partita. È soprattutto il Genio e la sua assoluta mancanza di linearità. La difesa del Barcellona vive novanta minuti provando costantemente la sensazione che si ha quando si sogna di cadere realmente. Il gol dell’uno a zero è dovuto a un suo smarcamento sinuoso e leggero, il tre a zero è il simbolo della sua carriera da calciatore: una palla persa, il difensore in vantaggio, Savicevic arriva con furbizia e con un piattone dal vertice alto dell’area ricorda a Zubizarreta il perimetro della sua porta. Il Milan vince, trionfa, ha la fiducia dell’Europa. Il 18 maggio del 1994 è lontano ventitré anni ma sembrano ventitré secoli. Berlusconi ha lasciato dopo stagioni di successi e un finale terribile, quasi ridicolo, ma con un ultimo 4-0, molto meno importante. L’Europa ormai è un ricordo, le vittorie anche. Le emozioni dell’epoca non torneranno più, ma non è detto che non possano essercene di nuove, magari altrettanto sorprendenti.

Exit mobile version