2018
Benevento, i dati del girone di ritorno. Pro e contro di De Zerbi
Il cambiamento del Benevento nel girone di ritorno: dati ed analisi, perché è andato tutto storto
Due storie differenti: quella di un girone d’andata da quattro miseri punti, l’altra di un girone di ritorno che ha raccontato qualcosa di differente. Facciamo parlare prima i numeri, che come al solito – se ben interpretati – svelano i tratti della verità: il Benevento nelle diciannove gare di battesimo della sua prima annata di Serie A ha accumulato quattro punti, viaggiando dunque alla media di 0.21 a partita, dato che spalmato sull’intero torneo avrebbe reso un complessivo da otto punti. La musica poi è cambiata: tredici punti nelle restanti quindici gare disputate, alla media di 0.86 a partita. Il secondo dato, rapportato all’intero campionato, renderebbe una classifica finale da trentatré punti. Numeri alla mano, qualcosa di abbastanza vicino ad una salvezza: ad oggi il terzultimo posto è occupato dalla Spal con ventinove punti. Probabile che la soglia si elevi rispetto ai trentatré punti citati, ma non tanto da far assumere quel dato come poco veritiero.
Lo switch del Benevento
Le responsabilità sono tutte da individuare nella sessione estiva di calciomercato: venuta meno la programmazione, ci si è arrampicati sugli specchi, cercando di compensare qua e là alla meno peggio con una serie di acquisti improbabili, disseminati in ogni comparto di campo. Il risultato complessivo – in un torneo competitivo quale la Serie A – non avrebbe potuto sorridere a questo Benevento, assente sul piano della tenuta difensiva ed incapace di produrre un reale costrutto offensivo. Quando la classifica era già disperata, in altre parole quando era troppo tardi per rimediare ai danni, la società campana è riuscita ad innestare alcuni calciatori di livello che hanno portato in dote un minimo di struttura: il Benevento ha cambiato ritmo, trovando un andamento che gli avrebbe permesso di lottare per la salvezza, nel tempo ha anche sviluppato un modello di gioco che non si lascia scorgere spesso nelle squadre che vivono per evitare la retrocessione in serie cadetta.
Il Benevento di De Zerbi: i pro
L’allenatore giallorosso ha scelto di giocarsela a viso aperto: gli arrivi di Sandro, Djuricic e Guilherme hanno permesso di elevare il tasso tecnico e di puntare sul palleggio, eseguito con discreta qualità sin dalle prime battute della manovra. Solitamente, quando ci si imbatte in squadre della seconda metà della classifica, il rischio è quello di trovare formazioni che si limitano a difendere ed allontanare il pallone il più possibile dalla propria area di rigore, mentre il Benevento ha ragionato diversamente. Non ha saltato i suoi reparti, non ha sviato dai collegamenti che una squadra evoluta punta ad avere, ha mirato alla qualità a disposizione per emergere dal pantano. Questo gli ha portato in dote le prestazioni che un po’ tutti avete ammirato, a San Siro contro Inter e Milan – dove è addirittura arrivata la prima clamorosa vittoria esterna – su tutte. Ma ancor di più un’identità di gioco: De Zerbi ha chiesto ai suoi di essere qualcosa, di diventarlo partita dopo partita, non di modellarsi su chi c’era di fronte di domenica in domenica. Ragionamenti che spesso appaiono obbligatori per realtà di bassa levatura generale. Qualcosa, per chi sa leggere oltre il chiaro racconto di una classifica deficitaria, si è visto. E non abbiamo voluto snocciolare ulteriormente il discorso dei singoli, lì dove menzione speciale meriterebbero senz’altro il baby Brignola e la scoperta Diabaté, capaci – rispettivamente con sgroppate di qualità e presenza fisica – di dare un peso offensivo al Benevento.
Il Benevento di De Zerbi: i contro
Lo stesso De Zerbi si è poi avviluppato su sé stesso: ha continuato a cambiare la formazione ogni domenica, pagando ovviamente dazio in termini di costanza. Quasi come fosse un esperimento continuo, innamorato delle sue teorie e non disposto a fare sconti. Quando la quadra sembrava trovata, ecco l’ennesimo ed inspiegabile cambiamento di scelte ed uomini: il risultato è stato quello di non ritrovarsi, di non comprendere quale fosse l’ossatura primaria e come implementarla di volta in volta. Del resto, anche sondando gli umori vicini alla squadra, alla domanda qual è la formazione titolare del Benevento, tuttora si fatica a concedere una risposta. Eppure il campionato è in dirittura d’arrivo. Il limite più evidente è stato proprio questo: da gennaio, con innesti di un certo livello, sarebbe stato possibile scegliere una strada – oltre che in termini di idee anche di uomini – e perseguirla. Il moto continuo ha tolto certezze a tutti. Ai giocatori, anche ai più rappresentativi dell’organico, fino all’allenatore stesso, divenuto presto schiavo dei suoi continui mutamenti. Il futuro passerà dal saper raccogliere gli elementi incoraggianti di un anno che non doveva andare in questo modo: la sensazione dell’opportunità mancata resta forte, per una società comunque disposta ad investire più di altri club che hanno invece avuto le idee più chiare. Ecco, anche gli errori sono fatti proprio per non essere ripetuti.