2017

Costanzi e il vivaio dell’Atalanta: «Qui c’è tradizione»

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Maurizio Costanzi lavora alla crescita dei giovani dell’Atalanta: «Una responsabilità importante. Siamo indietro rispetto ad altri paesi»

«La responsabilità di un settore giovanile come quello dell’Atalanta è un compito emozionate ed estremamente gratificante: ci sono tradizione, storia e, anche, aspettative». Maurizio Costanzi, 60 anni, da quattro ha raccolto l’eredità di un “monumento” come Mino Favini e l’ha fatto coniugando l’enorme capitale sedimentato dal lavoro dei predecessori con la novità imposte dal calcio moderno. Arrivato a Zingonia con il d.s. Giovanni Sartori, che lo ha caldamente consigliato a Percassi, aveva già in bacheca un campionato Primavera conquistato con il Chievo e ha continuato a vincere anche a Bergamo. Ma, soprattutto, ha proseguito sulla strada delle “formazione” dei calciatori, prima ancora che nella ricerca della vittoria: «Fino a una certa età privilegiamo la formazione, però è inutile fare gli ipocriti: si gioca per vincere anche quando si fanno le partite di calcetto tra amici, quindi… Poi, certo, in Italia l’attenzione è troppo spostata sul risultato a scapito della formazione e dell’insegnamento. Non a caso in Spagna i genitori, quando i figli tornano dagli allenamenti, chiedono se si sono divertiti, in Italia se hanno vinto».

CULTURA SPORTIVA – Su un aspetto, in ogni caso; a Zingonia, non si deroga: il predominio del “pallone” sul resto: «La tradizione della tecnica, qui, c’è e ci sarà sempre: “io e la palla”, poi “io, la palla e i compagni” sono i due capisaldi del nostro calcio. Poi, però, oggi sono importanti altri aspetti come la struttura fisica, la corsa e l’intensità. Nel calcio di oggi la prestazione atletica abbinata alla tecnica è fondamentale. Potremmo sintetizzare così: didattica e tenuta agonistica devono essere abbinate». Costanzi crede nel lavoro di gruppo: «Un dinamico cambiamento che deriva dal confronto continuo tra gli allenatori e i preparatori atletici. E poi c’è il monitoraggio continuo dei ragazzi non solo sotto l’aspetto calcistico perché sappiamo bene come, qui con noi, facciano un importante percorso di vita». Costanzi ha idee all’avanguardia sul calcio, ma anche sull’arretratezza del nostro sistema-paese che paga i ritardi sullo ius soli e sull’integrazione tra sport e scuola: «Siamo indietro anni luce rispetto a Germania, Francia, Belgio, Austria e molti altri. Loro riescono a fare anche 8 allenamenti alla settimana, noi fatichiamo a metterne insieme due tra i più giovani. E meno si sta con il pallone, meno si impara il calcio: quello che una volta si imparava per strada. Quelle cinque ore di “calcio di strada” al giorno, adesso si fa fatica a metterle insieme in una settimana. E il sistema scuola non aiuta…». Già: è il paese che è fermo, non il calcio.

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