Con che coraggio adesso torneremo a parlare di calcio? - Calcio News 24
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2018

Con che coraggio adesso torneremo a parlare di calcio?

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astori italia

La morte di Astori consegna a giornali e tifosi fiumi di parole e inchiostro, il peso della sua assenza però non riguarda tutti. Per questo motivo la verità non è dovuta a noi che ne parliamo, ma a qualcun altro

La morte in sé non è mai un dramma: ciò che la rende solennemente drammatica sono piuttosto le sue conseguenze. Sarebbe a dire che la morte non può essere mai davvero un problema per chi semplicemente cessa di essere (almeno nella sostanza delle cose), ma piuttosto finisce inesorabilmente per diventarlo nei confronti di chi rimane. Non è la morte che pesa, è l’assenza. Del resto anche Emil Cioran, un filosofo di metà Novecento divenuto celebre per non essere propriamente un inguaribile ottimista, lo aveva scritto anni or sono: se la morte non fosse una soluzione, i viventi avrebbero già trovato un modo per evitarla. Sarà probabilmente un’esagerazione, ma è pure vero che nessun morto si è mai potuto lagnare di essere morto. Al contrario, molti vivi lamentano di essere vivi. Ed il più stringente male di vivere è proprio questo in effetti: imparare a convivere col pensiero fisso e irrazionale della morte. Elaborare, cioè, l’assenza. In una parola: il lutto.

Smetteremo di pensare al povero Astori come ad un’icona e vorremmo persino evitare di leggere di lui come di un santo. Sì, perché Davide era prima di tutto un ragazzo di 31 anni. Un uomo fatto e finito, per meglio dire, con tutti i suoi pregi e tutto il suo carico di umani difetti. Astori era uno di tanti. Era uno tra tanti. Poteva essere ognuno di noi, un amico o un parente. Scontato? Evidentemente sì, ma non troppo se ciò che resta di lui dopo pochissime ore dal trapasso è solo una sbiadita e banale immagine da copertina patinata. Un’intervista programmata renderà forse onore al calciatore, non all’essere umano. Di quello in pochi possono scrivere e noi, che pure abbiamo ricordato discretamente chi era Astori (leggi anche: ASTORI, L’ELEGANZA DELL’ANIMA) preferiremmo non farlo oltre. Resta sopra ogni cosa l’amarezza, questo è vero, di una vita spezzata in maniera apparentemente inspiegabile (e che tale verosimilmente rimarrà anche dopo le dovute spiegazioni, qualsiasi esse siano), ma non solo.

La verità non serve a noi e non serve più nemmeno a Davide

Resta, e resterà per un bel po’, la consapevolezza appunto che ad affrontare il dolore della perdita, l’empietà della mancanza, l’irragionevolezza del lutto, non sarà di sicuro Davide, che proprio sul più bello si è trovato a dover abbandonare la partita. Non sarà Davide e non saremo noi, che pure ne trattiamo come nulla fosse da distanza di sicurezza (indiscutibilmente tanta per fingere di rimanere coinvolti e spiazzati troppo a lungo). Sarà la sua famiglia, distrutta come tutte le famiglie che si trovano a guardare in faccia la realtà infame e beffarda della morte. Sarà la sua compagna, abbandonata da un destino che pure pareva essere stato finora assai generoso. Saranno i suoi amici e i suoi compagni, piegati dall’angoscia e dagli interrogativi. Sarà più di tutti sua figlia, inconsapevolmente già privata di un pezzo di vita quando di vita davanti tanta ancora le si prospetta. Tutti loro pagano – e pagheranno, statene pur certi – il prezzo di un lutto inevitabile o forse no. A tutti loro sarà doveroso tributare pegno nell’unico modo che sarebbe dignitoso riconoscere: con la verità.

Non con i titoli, non con le interviste, non con le foto, i comunicati di maniera, le parole di circostanza, non con i messaggi social, non con gli articoli – nemmeno con quelli come questo – e probabilmente neppure con i gesti, più o meno concreti, che segnano giorni strani e freddi come gli ultimi due. A chi è andato, purtroppo, non non si deve più nulla, se non il semplice ricordo. A chi resta ed affronta l’assenza, si deve però almeno un motivo per accettare l’inaccettabile. Per rendere più sopportabile l’insopportabile. Per elaborare ciò che davvero sembra impossibile da elaborare, anche con il tempo. A noi invece che siamo qua e versiamo, chissà quanto inutilmente, fiumi di parole ed inchiostro o perle di ovvietà, non rimane che un solo dubbio da risolvere, un ultimo dilemma da affrontare, una semplice domanda a cui rispondere: con che coraggio adesso faremo finta di niente e torneremo a parlare di calcio?

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