2016
Arsenal-Wigan 4-2, l’ultimo saluto ad Highbury
L’Arsenal saluta lo storico Highbury. Il bacio all’erba di Henry immagine indelebile di quel pomeriggio
E’ il 7 maggio 2006. A Londra il cielo è grigio, come sempre. Quella domenica, però, ad Highbury si respira un’aria diversa. Fuori dallo stadio il clima è teso e malinconico. E no, non perché i Gunners si giocano l’accesso alla Champions League. Quel pomeriggio sarebbe stato l’ultimo nello storico stadio dell’Arsenal. L’impianto che ha ospitato i Gunners dal lontano 6 settembre 1913 e che negli anni ha visto una modesta squadra di quartiere, il Woolwich Arsenal, diventare semplicemente Arsenal. Una squadra che rivoluzionò l’idea di calcio guidata dal leggendario Chapman e scalò le gerarchie del calcio inglese sino a posizionarsi in cima.
Quel 7 maggio i Gunners avrebbero salutato l’Arsenal Stadium, meglio noto come Highbury, dopo 93 anni di onorato servizio. Uno stadio tipicamente inglese, romantico. Romanticismo che si accentua se si pensa ai motivi principali del cambio di impianto da parte del club dei cannonieri: il nuovo impianto di Ashburton Grove avrebbe consentito al club di aumentare i profitti della società. Un cambiamento in nome del progresso, ed il prezzo da pagare è altissimo.
IL CAMPO – L’Arsenal di Wenger ha l’obbligo della vittoria per centrare quarto posto e qualificazione in Champions. Una vittoria che a nulla servirebbe in caso di successo del Tottenham – sopra ai Gunners di un punto – di scena ad Upton Park contro il West Ham. Avversario dei Gunners il Wigan, compagine salva che non ha più nulla da chiedere al campionato. Sugli spalti volti tesi e trepidanti. Le telecamere dall’alto inquadrano l’Highbury, stracolmo e colorato di bianco e rosso. Poi indugiano sulla struttura avveniristica sullo sfondo, quella che sarà la nuova casa dell’Arsenal: l’Emirates Stadium.
Lo stadio è ribollente di passione, il rosso ed il bianco predominano sul piccolo settore ospiti del Wigan, colorato di blu. L’ingresso in campo delle squadre è accompagnato dagli scroscianti applausi dei 38359 dell’Highbury. L’Arsenal è obbligato a vincere, non solo per la Champions League. Si tratta di congedare al meglio quella che è stata la casa dei Gunners per quasi un secolo e che, insieme al club londinese, è diventata storia. Un tempio, un luogo di culto per i tifosi biancorossi ma anche per qualunque amante del calcio. La sua struttura rettangolare, l’Art Decò della facciata della Tribuna Est ed il Clock End posizionato sulla North Bank ne facevano un impianto particolarmente affascinante. Uno di quei posti in cui si sente tanto forte l’atmosfera da dimenticarsi tutto il resto, quasi come se si fosse fuori dal mondo. L’unico contatto con l’esterno è dato dagli spiragli tra le tribune e la North Bank, quasi come se fossero là a posta, a ricordare che Highbury – dopotutto – è un luogo terreno.
LA PARTITA – L’Arsenal vuole agguantare la Champions e dire addio nel migliore di modi allo storico stadio. Per farlo serve una vittoria, sperando in un mancato successo del Tottenham contro il West Ham. Pronti, via: appena 8 giri di lancetta ed i padroni di casa passano in vantaggio. Pires, solo davanti a Pollitt, manda in rete dopo che il portiere dei Latics era riuscito a negargli il gol. Highbury esplode. Passano due minuti ed il Wigan pareggia con Scharner, abile a battere Lehmann da pochi passi in mischia. Nell’impianto cala il silenzio, mentre l’austriaco esulta in modo pacato. L’unica gioia, al momento, arriva da Upton Park: negli stessi istanti il West Ham è passato in vantaggio sul Tottenham. Alla mezzora, più che a sorpresa, il Wigan è avanti: Thompson ha battuto Lehmann con una punizione da circa 30 metri, sfruttando il mal posizionamento dell’estremo difensore tedesco. Come se non bastasse – e ce n’è abbastanza per chiamarlo scherzo del destino – nei secondi in cui Thompson sta esultando per la rete del vantaggio, Defoe riporta a galla il Tottenham. Ma l’Arsenal ha qualcosa in più. E quando quel qualcosa in più si accende, la gente di Highbury capisce che nulla è irreparabile. Ha il 14 sulle spalle e la fascia al braccio, con quella maglia è diventato leggenda. E’ il minuto 35 quando Thierry Henry va via sul filo del fuorigioco e, a tu per tu con Pollitt, non sbaglia. Highbury esplode per la seconda volta in giornata. Sarà esploso migliaia di volte, ma quel pomeriggio del 7 maggio 2006 c’era la consapevolezza che quei boati sarebbero stati gli ultimi. Le due squadre tornano negli spogliatoi sul 2-2: un risultato che, in virtù del pareggio del Tottenham, non basterebbe per la Champions League. Al ritorno in campo Henry sfrutta un clamoroso svarione difensivo e si invola verso la porta avversaria. Ma calciare direttamente sarebbe troppo facile. Titì vuole godersi il boato – in un crescendo rossiniano – dell’Highbury per l’ultima volta. Si presenta di fronte a Pollitt, lo beffa con una finta e porta palla sino ad appoggiarla a porta sguarnita. I Gunners sono in vantaggio, lo stadio in delirio: quel gol potrebbe significare Champions League. L’Arsenal non è appagato, continua ad attaccare: la palla arriva ancora nei piedi di Henry, che in un fazzoletto di terra inventa un pallonetto no-look che manda Ljungberg di fronte alla porta. L’attaccante svedese viene atterrato e per l’arbitro Rennie non ci sono dubbi, è rigore. Sul dischetto si presenta Henry. La rincorsa è lunga, le mani sui fianchi. Sullo sfondo, dallo spiraglio del raccordo tra tribuna e curva, si intravedono le classiche terraced house, le villette a schiera inglesi.
BACIO D’ADDIO – Rennie fischia, Henry è freddo e spiazza Pollit: l’Arsenal va sul 4-2 ed ipoteca la Champions, considerate le difficoltà del Tottenham ad affermarsi sul West Ham. Ma questo Henry non lo sa, non sa il risultato dell’Upton Park. Quello che sa è che la palla è in fondo al sacco e lo stadio è un tripudio. Titì era arrivato all’Arsenal nel ‘99 dopo una stagione da dimenticare alla Juventus. Ed all’Arsenal era esploso, diventando idolo dei tifosi e simbolo dei Gunners. Forse gli saranno passate per la testa, come in un film, quelle sette stagioni in maglia Gunners. Sette stagioni in quello stadio che era ormai diventato qualcosa di magico e che dopo quei 90’ avrebbe smesso di essere la sua casa. Forse è per questo che dopo il gol non esulta. Corre verso il cuore dell’area e si inginocchia, bacia il terreno di gioco. Poi, sommerso dalla gioia dei compagni, alza lo sguardo verso la North Bank, verso la sua gente. Verso il Clock End. Simboli di uno stadio che avrebbe smesso di essere la sua casa, che avrebbe smesso di essere il luogo di ritrovo dei migliaia di tifosi Gunners. The Home of Football. E’ la fine di un’era, l’Era di Highbury. E non potrebbe essere migliore di così. O forse sì: quattro minuti dopo quel gol e quel bacio all’erba – mai così profumata – del terreno di gioco, arriva la notizia del vantaggio del West Ham sul Tottenham. A fine gara i risultati nei due stadi non cambiano, il triplice fischio di Rennie è carico di significati. Per l’Arsenal significa Champions League, per Highbury la fine. Il Clock End smetterà di muovere le sue lancette dopo ben “93 years of memory”, come recita uno striscione affisso dai dei tifosi.
Ma 93 anni di ricordi non possono essere cancellati. Neanche dalla demolizione, quasi totale, dello stadio. Di quello storico e romantico impianto rimane la facciata Art Decò della Tribuna est. Dove sorgeva l’Highbury, ora c’è un complesso residenziale: una serie di appartamenti che, però, sono disposti laddove sorgevano gli spalti dello stadio. Al centro, un giardino che mantiene le dimensioni del terreno di gioco, luogo di tante magie e prodezze.
Quei 93 anni di ricordi non possono essere cancellati.