2014

Appunti di Guardiolismo: Garcia esce con le ossa rotte

Pubblicato

su

La rivisitazione di Roma-Bayern Monaco 1-7: il guru Pep ed una religione calcistica

CHAMPIONS LEAGUE ROMA BAYERN MONACO – Esistono uomini che, in ciò che fanno, non vogliono soltanto riuscire. Non vogliono soltanto vincere. Ma invece lasciare un segno, un’influenza. E Pep Guardiola rientra oltre ogni ragionevole dubbio nella schiera di questi pochissimi eletti: la storia era iniziata un giorno prima, ripercorriamola insieme.

CONFERENZA BAYERN – Nell’incontro di presentazione della sfida europea all’Hotel Parco dei Principi di Roma ho personalmente avuto l’occasione di chiedere al tecnico catalano quanto avrei voluto a tutti i costi domandargli dallo scorso 13 luglio ad oggi: “considerando lo stile di gioco espresso dalla Germania in Brasile, nazionale poi laureatasi campione del mondo, crede che il lavoro da lei svolto al Bayern abbia influito sulle scelte di Joaquim Low”? La risposta, argomentata per filo e per segno, è anticipata da un meravigliosamente ironico “Lascia perdere”. Pep sorride alla domanda postagli perché sa di aver influito eccome. Così come sa che sarebbe impossibile rispondere affermativamente. Lo splendido talento di Mario Gotze impiegato da falso nueve, una Germania tutta possesso stordente ed accelerazioni improvvise proprio in piena salsa guardiolana rivisitata in versione moderna e più diretta, già dal percorso delle qualificazioni. Lasso di tempo che non a caso coincide con l’avvento del guru spagnolo sulla panchina del Bayern Monaco.

L’EVOLUZIONE – Ma attenzione: nulla va tolto all’opera di Loew. In Germania, al contrario che in altri Paesi mentalmente limitati, saper attingere il meglio da qualcun altro è vissuto come una virtù e non come una vergogna. Non come uno sbiadito tentativo di copia, non come un limite insomma. Se poi il risultato è quello di alzare la Coppa del Mondo nella patria del futebol bailado… Ma torniamo a noi: requisito necessario di chi non solo vuole vincere ma ambisce a lasciare un segno è quello di sapersi reinventare. Di studiare, approfondire, creare. E ricordare le lezioni delle sconfitte. Il buon Pep non dimenticherà mai il punto più basso della sua carriera: quell’imbarcata subita soltanto qualche mese fa dal Real Madrid di Ancelotti all’Allianz Arena è macchia indelebile ed atto finale di un calcio (improntato sul modello tiki-taka classico, e dunque inteso prettamente in orizzontale) che ha sì regalato successi e lasciato in eredità uno stile ma che è parso superato. Con la conferma puntualmente arrivata proprio da Brasile 2014 e dalla fragorosa eliminazione della Spagna. Nessun problema, ecco il sapersi reinventare: l’evoluzione del guardiolismo racconta ora di un calcio verticale giocato alla velocità della luce, quel centravanti che poco aveva a che fare con il modello calcistico perpetuato da Pep atto primo è ora la pedina indispensabile per aprire gli spazi all’inserimento letale di centrocampisti e mezzali.

GARCIA A PEZZI – Uno spettacolo di arte rara condito da un azzardo tattico che la dice lunga sull’abilità di quello che oramai è un maestro della materia: Bayern Monaco in campo all’Olimpico con un 3-4-2-1 e Robben fluidificante sulla corsia destra, lì dove – lato Roma – agisce un certo Gervinho. Lo ammetto: mi sono chiesto come fosse possibile. Il responso del campo però racconta di un Robben che, come accaduto sul versante opposto con Bernat, ha reso il campo da gioco il doppio più largo di quanto realmente fosse. E la Roma, in questi spazi immensi, si è persa. Ma non me la sento, in tal senso, di dare addosso a Garcia: forse qualcuno sì, ma chi vi scrive non ha mai pensato che il mondo Roma e quello Bayern potessero viaggiare sullo stesso livello. Quel che invece può servire è un salvifico bagno di umiltà: il tecnico francese, strategicamente o meno, nei giorni precedenti la sfida ha parlato di scudetto certo, ha manifestato atteggiamenti di eccessiva sicurezza e forse spavalderia – vedi la scenetta con i fotografi in conferenza stampa – ed ha spinto la Roma ad un punto in cui probabilmente non è ancora arrivata. Poco male se non fosse per la complessità della piazza in cui agisce e con la quale deve rapportarsi: un ambiente, tipico del centro-sud italiano, che ti porta sulle stelle alla velocità con cui ti lascia marcire nelle stalle. E che eleva la tensione a livelli massimi, rischiando l’effetto boomerang. Anche se fosse stata una strategia per tenere alta l’ambizione nel post Juve-Roma dimostra comunque una lacunosa conoscenza dell’ambiente di cui, onestamente, pensavo fosse padrone. Per una piazza come Roma la perfezione – nonchè preferenza personale – è il Rudi Garcia dello scorso anno. Ma attenzione: se ora il tecnico francese riuscirà ad evitare il contraccolpo psicologico e rilanciare la sua Roma con la solita veemenza ed intensità avrà ulteriormente compattato la struttura. Ad oggi ci resta il guardiolismo: sempre più religione e storia del calcio.

Exit mobile version