2015
‘Metodo Conte’? Tranquilli, ve li spieghiamo noi i segreti del CT
Volti noti del giornalismo televisivo si confrontano su chi realmente sia l’amato/odiato “martello” leccese
Chi è realmente Antonio Conte? Com’è diventato, dal Siena ad oggi, uno degli allenatori più corteggiati d’Europa? Perché i suoi giocatori prima lo temono piscologicamente, salvo poi finire inevitabilmente per adorarlo? Ama davvero i colori della nostra Nazionale oppure la reputa solo una rivincita nei confronti del grande affronto juventino (la famosa storia del “ristorante da dieci euro”)? Domande, tante domande. Insidiose e di non facile risposta. Ed altre ce ne sarebbero. A molte di esse ha provato a dare risposta Alessandro Alciato di Sky Sport nel suo nuovo parto letterario ‘Metodo Conte’ uscito da poco per Vallardi.
UNA FIRMA DI QUALITÀ – Alciato – va detto – è uno che se ne intende di Mister capaci di generare brusio costante intorno alle loro gesta (verbali). In passato ha già pubblicato belle e scattanti biografie su Carlo Ancelotti e Walter Mazzarri (quest’ultima andrebbe letta solo per sfatare mille luoghi comuni sorti attorno al tanto bistrattato allenatore toscano…) e, a questo giro, ci riprova andando ad scortecciare l’attuale Totem del nostro calcio: Antonio Conte da Lecce. Un tecnico capace di vincere tre scudetti di fila con la Juventus post-Del Neri. Che sarebbe come dire che sei il manager de Le Vibrazioni e improvvisamente ti ritrovi per le mani i Led Zeppelin. Ma anche colui che, nella tarda primavera del 2014, non è riuscito a superare l’ostacolo-Benfica privando i tifosi bianconeri di un’appetitosa finale di Europa League tra le mura amiche dello Stadium. E generando nell’agosto successivo il felice paradosso di un approdo in Nazionale (attenzione, la Nazionale D.P., Dopo Prandelli, quella delle “figurine” brasiliane evocate da Gigi Buffon) che ora – highlight dell’estate 2016 – sbarcherà in Francia per difendere il suo titolo di vice-campione d’Europa in carica. Dopo un girone di qualificazione non difficile, ma disputato in maniera esemplare (24 punti, 4 in più sulla Croazia, frutto di 7 vittorie e 3 pareggi). E non era scontato.
DIETRO LA PORTA CHIUSA – Del libro (19 capitoli che straripano di aneddoti, ma non compongono una biografia ufficiale) se n’è parlato in una libreria milanese l’altra sera. Alla presenza dell’autore, ovviamente, ma anche di volti noti del giornalismo made in Sky quali Fabio Caressa, Beppe Bergomi e Giancarlo Marocchi. In prima fila c’eravamo pure noi di CalcioNews24. Alciato ha subito illustrato la scintilla da cui è divampata l’idea editoriale: «Ho letto l’autobiografia di Conte uscita qualche anno fa (‘Testa, Cuore, Gambe’ pubblicata da Rizzoli nel 2013, NdR) e mi ha colpito il suo pudore nel non inserire pettegolezzi da spogliatoio. In quel libro si parlava solo di campo, ma mancavano i ‘dietro le quinte’ vista la privacy maniacale del personaggio in questione. In ‘Metodo Conte’ ho provato, grazie alle testimonianze di molti calciatori che hanno interagito con lui (alcuni rimasti anonimi, NdR), a raccontare chi sia veramente il tecnico pugliese anche quando terminano i 90 minuti». Attirando di conseguenza la curiosità di gente che ha giocato contro di lui quando Conte ancora vestiva i colori bianconeri (tredici, dal 1991 al 2004, le sue stagioni con la Zebra). Tipo Beppe Bergomi, immortale bandiera interista: «Non siamo mai stati compagni di Nazionale (il centrocampista con un debole per i capelli visse per intero l’epoca-Sacchi, Ndr) però, quando lo affrontavi a San Siro o al Delle Alpi, notavi già questo suo orgoglio vincente che poi si sarebbe portato appresso per tutta la carriera. Antonio è un personaggio che si ama o si odia ed i suoi giocatori semplicemente lo adorano come Mister. Non so cosa darei per assistere a qualche allenamento della nostra Nazionale ma, come si sa, lui pone il veto a chiunque non faccia parte del gruppo azzurro». Giusto per aggiungere mito al mito.
Metodo Conte
VOCE FUORI DAL CORO – Uno che con Conte ci ha invece giocato quasi cinque stagioni (dal freddo autunno del ’91 fino ad una splendida serata romana del maggio ’96 quando la Juventus vinse la sua ultima Champions League in ordine di tempo) è stato Giancarlo Marocchi, classe 1965 (più vecchio di quattro anni del leccese) e gran turbo “alla Tardelli” capace di dettare i ritmi tra difesa ed attacco. «Conte allenatore? Onestamente non me lo sarei mai immaginato…». Come inizio non c’è male, ma ha una sua logica. Prosegue Marocchi: «Da giocatore amava infrangere i dettami tattici e, invece che a centrocampo, a volte te lo trovavi in area di rigore pronto ad inseguire il gol. Da Mister, però, ha sempre mal sopportato che Vidal andasse a spasso per il campo. Però la dedizione assoluta alla vittoria l’ha sempre avuta (la figlia di Conte si chiama manco a farlo apposta Vittoria, NdR). Arrivò alla Juve nel novembre del 1991 e come prima cosa Trapattoni lo mise ad esercitarsi sui palleggi. Un declassamento? Non per lui: cominciò a faticare, indossò il paraocchi e in breve tempo divenne il leader di una Juventus che avrebbe vinto qualsiasi trofeo. Meno male che ha sempre fatto tutto di testa sua e non ha mai seguito neppure un mio mezzo consiglio: altrimenti non sarebbe arrivato ad allenare l’Italia! (ride)». Sfumata la battuta, ecco due enormi verità marocchiane per capire definitivamente il suo metodo: «Il segreto di Antonio? Farsi sempre dei nemici per avere degli avversari, veri o presunti, contro cui lottare. E coinvolgere i suoi giocatori con dichiarazioni cariche d’intensità: tutti, dal primo ultimo, si sentono partecipi del suo piano vincente». Come avrete intuito, c’è molto Mourinho in tutto ciò. «Verissimo – rilancia Alciato – e la recente sfida con la Romania ce l’ha dimostrato: era solo un’amichevole, ma molti azzurri – dopo aver sentito le parole del Mister a fine gara – sarebbero tornati in campo per segnare la terza rete». Condottieri come Sacchi, Lippi e Capello (il DNA completo del tecnico salentino?), se ora fossero presenti, non potrebbero che far di sì con la testa. E magari Don Fabio preparebbe anche un buon caffè per allungare la chiacchiera calcistica.
“HO VISTO IL FUTURO”, COME CANTAVA LEONARD COHEN – A questo punto resterebbe solo da capire se l’Europeo di Francia rappresenterà per Conte un bivio per decretare il suo avvenire oppure una semplice tappa di pianura prima di tornare ad allenare un grande club, magari all’estero. Comincia Alciato con la ridda delle supposizioni: «Sicuramente, fin da ora, ha un gran mercato: Milan, Chelsea, un clamoroso ritorno alla Juve. Però passare al Diavolo sarebbe un ulteriore attestato di juventinità. Intendo portare quel marchio in una società così diversa». Occhi puntati sulla comunità europea, invece, per Fabio Caressa: «Conte – a patto che non vinca l’Europeo ritrovandosi automaticamente in corsa per il Mondiale russo – ha un gran bisogno di andare all’estero. La dimensione internazionale è qualcosa che ancora manca al suo vistoso curriculum. E l’età per fare bene in Spagna, Germania o Inghilterra ormai è quella giusta». Il sasso è stato lanciato dalla voce più conosciuta di Sky: quante chance abbiamo di fare bene all’Euro 2016 con solo due amichevoli a marzo ed un mese intero di ritiro, vera manna per il nostro CT? La parola ad un ottimista zio Bergomi: «Toccando ferro e pur non conoscendo ancora i nomi delle nostre avversarie, direi che il passaggio del girone è quasi scontato. Dopo, in un torneo del genere, può davvero succedere di tutto…». Anche di sollevare la coppa a Parigi? «Certamente – conclude Marocchi – a patto che Antonio, in quel mese di ritiro, faccia ragionare a fondo i suoi ragazzi. Martellare ovviamente è un dovere, ma senza esagerare». Di una cosa possiamo essere certi fin da ora: in Francia, vada come vada, ci presenteremo da gruppo compatto ed indissolubile. Tipo i Beatles o gli U2, magari non molli come i Coldplay. Conte, d’altronde, vede come la peste bubbonica la svogliatezza azzurra (chiedere a Berardi), l’indecisione amletica (il Pirlo newyorchese), lo stardom a priori (Balotelli) o gli errori mediatici (“Cesare, porta questo! Cesare, porta quello!”) del recente passato. Non solo nostri. Basterebbe il famoso aforisma contiano nel descrivere il Brasile dello scorso mondiale, quello umiliato senza pietà da tedeschi ed olandesi tra Belo Horizonte e Brasilia. Ve lo riportiamo integrale per capire il cinismo, ma anche l’acuta praticità del nostro CT: «Il Brasile di Scolari? Era una squadra di scappati di casa, ma ogni fuggitivo costava qualcosa come 50 milioni di euro». Signori, il paradigma del “calcio moderno” sta tutto in queste sacrosante (e per nulla agghiaccianti) parole.
‘Metodo Conte’ (Vallardi) è attualmente disponibile in libreria. Per saperne di più cliccate qui.
Servizio a cura di Simone Sacco ; per comunicare: calciototale75@gmail.com