2009

Ancelotti: “Resto dove sono, niente Roma. Su Kakà …”

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Cogito ergo alleno. Nei quarti della Champions Ancelotti rischia di essere la bandiera italiana superstite. Mentre Abramovich punta alla prima Coppa Campioni e alle elezioni in Russia – si ricandida a governatore della Chukotka – nella cucina della villa di Oxshott lui, che di politici ultramilionari se ne intende, affetta un salame, anzi lo sfoglia: m’ama o non m’ama? Il padrone lo confermerà  in panchina, se il Chelsea (2-0 martedì a Copenaghen) andrà  avanti in Champions: dopo la Premier League, la Coppa d’Inghilterra e il Community Shield dell’anno scorso, per ora questa è una stagione magra. Ben più magra, però, si profila quella del calcio italiano. Il colto professor Mauri, preparatore atletico del Chelsea, punzecchia l’ex ragazzo di campagna, che ormai è un cosmopolita fatalista. La tivù è sintonizzata sui canali italiani: sul caos della Roma, sulla lotta tra Milan, Napoli e Inter, sull’altalena della Juve.

Ancelotti, Inter-Bayern è stata la finale 2010: 9 mesi dopo, l’esito sembra capovolto.
“La differenza tecnica resta, a favore dell’Inter. Ma il Bayern non è quello spento di 3 mesi fa. E la costante di quest’andata degli ottavi è che si è vinto in contropiede. Nel calcio non c’è molto da inventare. Prima lo chiamavano contropiede, poi ripartenza, ora transizione”.

Era un brevetto italiano.

“Non l’abbiamo disimparato, solo che gli altri l’hanno imparato bene. L’Arsenal vi è stato costretto dal Barcellona, costruito per il possesso di palla: un’idea coltivata nel tempo e difficile da imitare. Per il mio Chelsea il contropiede è il gioco più efficace”.
Il Milan ha perso la vocazione europea?
“Mica detto. Il Tottenham parte dall’1-0 e sarà  sospinto dal pubblico, ma è incapace di giocare al risparmio. E occhio a Seedorf: le critiche lo stimolano. Comunque Allegri è già  più bravo di me: al battesimo in Europa col Parma io uscii subito contro il Guimaraes”.

La Roma risorgerà  a Donetsk?
“Purtroppo ha preso tre gol in casa. E lo Shakhtar è forte in contropiede”.

Le avversarie delle italiane sembrano più spensierate.
“Dopo la beffa in Coppa con l’Everton ai rigori, i nostri tifosi applaudivano. In Italia sarebbe utopia. Serve una rivoluzione culturale, oltre agli stadi di proprietà  con denaro privato. Coi soldi pubblici un ospedale è più importante di uno stadio. Ma a Londra ci sono 10 club, ognuno col proprio stadio. Un tifoso ci passa la giornata, la partita è solo il clou. Invece gli stadi italiani sono poco confortevoli. E certi campi fanno schifo dal 1990”.

L’età  media troppo alta?
“Un alibi: lo United ha gente come Scholes, Giggs e Ferdinand”.

E l’Europa League inseguita per poi giocarla con le riserve?
“Un paradosso. La crisi italiana è transitoria: pochi investimenti, nessuna infornata di talenti, tante difficoltà  per la Nazionale. Una volta la tattica italiana faceva la differenza. Ora gli altri ci hanno raggiunto. Se ne esce con pazienza”.

Balotelli, vittima dei razzisti italiani a Klagenfurt, si è detto contento di giocare a Manchester.
“La mamma dei cretini è sempre incinta. Tra l’altro l’amichevole con soli cinquemila spettatori ha amplificato l’eco delle loro gesta. L’Inghilterra gioca sempre a Wembley. Io farei giocare la Nazionale sempre all’Olimpico di Roma”.

Le inglesi possono qualificarsi tutte e 4: il confronto con le italiane è impietoso.
“Hanno una motivazione in più: la finale a Wembley. E poi tre cose. Il marketing: il prodotto calcio inglese viene venduto benissimo, in particolare sul mercato asiatico. I ritmi: l’abitudine a giocare sempre al massimo allena ai ritmi della Champions. E la mancanza di pressione: lo stress è più fisico che mentale e recuperare energie è più semplice”.

Sì, ma il fair-play finanziario? Abramovich a gennaio ha speso un’ottantina di milioni, tra Torres e David Luiz.
“Non mi risulta che il Chelsea l’anno scorso abbia speso molto, nè che ora abbia debiti. Ha inserito 5 giocatori dalle giovanili al posto di 5 con stipendi onerosi”.

Spesso vince chi droga il mercato, come Berlusconi a suo tempo e ora Perez al Real e gli scecchi al City.
“Il calcio ha bisogno di grandi investitori, anche se il Barcellona ha costruito le proprie fortune sul vivaio”.

Chiederà  ad Abramovich lo scambio Kakà -Drogba, Pato o Pirlo?
“Abbiamo già  preso Ramires, Torres e David Luiz. E Kakà -Drogba è fantacalcio”.

E’ vero che per tornare alla Roma la vuole qualificata alla Champions 2012?
“Io conto di restare dove sono. Qui si sta da dio”.

Si è così inglesizzato?
“Macchè, resto italianissimo. Ma apprezzo gli inglesi, anche se sono poco flessibili e a volte la loro stampa esagera, come nel caso di Gattuso. Per Rino parla la storia di calciatore generoso e corretto. Al telefono mi ha detto che ha sbagliato. Ma ha pagato con 5 giornate, incidente chiuso. Detto questo, gli inglesi sono da ammirare per il loro amore per le regole”.

Ammirerà  un po’ meno il loro amore per le scommesse: per Hiddink o Grant al suo posto la quota è 4.
“Io penso alla Champions e al quarto posto minimo in Premier. L’ho inculcato alla squadra: pensate alla finale di Wembley. Lavoro un sacco”.

Nessuno svago da italiano all’estero, nemmeno Benigni a Sanremo?
“Rivedrò il suo elogio dell’italianità , è intelligentissimo. Ultimamente ho visto due film: “Vincere”, sulla moglie segreta di Mussolini, e “L’uomo che verrà “, sulla strage di Marzabotto”.

Bipartisan: a proposito, anche la panchina di Berlusconi scotta.
“Non faccia il furbo, non era un’intervista di sport?”.

Ma lei è l’allenatore più longevo dei 25 anni berlusconiani, eppure le spiegava perfino come si battono i corner.
“Da lui ho imparato che una grande società  trasformata in famiglia genera senso di appartenenza. E che bisogna sapere scegliere le persone adatte”.

Leonardo all’Inter?
“Io non l’avrei fatto”.

La Juve deludente?
“Ha tanti nuovi, ma andava rifondata. E ha il record di infortuni”.

In un’intervista dell’82, in clinica con un ginocchio rotto, lei disse: “Combattiamo il gioco duro”.
“Oggi gli infortuni non traumatici dipendono dalla preparazione: si calcola il carico di lavoro, non i tempi di recupero. Però i calciatori sono diventati molto più corretti: merito della tv”.

Stessa intervista: “Perderò il Mondiale, ma sono un privilegiato”.
“Confermo, 29 anni dopo. Finchè uno rimane nel mondo del calcio, è molto fortunato”.

Ultima frase d’archivio: “Roma è troppo grande, mi perdo”.
“Ho imparato a orientarmi”.

Quindi canterà  in loco la sua canzone preferita, “La società  dei magnaccioni”?
“Tornerò ad allenare in Italia. Ma quando, non lo so proprio. Intanto, auguri a Montella. Io penso di avere ancora qualche bonus, in Inghilterra”.

La Nazionale?
“Sta bene con Prandelli. Dopo il 2014, magari”.

E la staffetta con Mourinho al Real?
“Se vince anche a Madrid, è proprio il più bravo di tutti. Ci sentiamo ogni tanto, via sms, anche se siamo in concorrenza per la Champions. La favorita è il Barcellona. Ma se l’Arsenal ci fa un favore…”.

Fonte | di Enrico Currò per Repubblica.it

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