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Il giorno in cui cambiò tutto

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Il racconto di Milan – Sampdoria 3-2, stagione domini 1998-99: la partita più pazza degli ultimi 20 anni

2 MAGGIO 1999 – Il 2 maggio del 1999 è stato il giorno in cui è cambiato tutto. Il 1998-1999 è una stagione mitologica per il calcio italiano, guardandola oggi ci si accorge che ha segnato una sorta di spartiacque tra il calcio da figurine Panini e quello moderno, fatto di gel ed esultanze concordate. Il 1998-1999 è anche l’ultimo anno in cui ha vinto lo Scudetto una squadra di gregari o quasi, che veniva da due stagioni terribili e a inizio annata era la cosiddetta underdog: il Milan dei Sala, dei Guly, degli Helveg, degli Abbiati e dei Ba, oltre ovviamente ai fenomeni Maldini, Weah, Boban e compagnia cantante. Quel 2 maggio 1999, in un campionato ricco di stelle, un campionato che da lì a sette anni vivrà le stagioni più belle della sua recente storia e da lì a quindi anni invece sprofonderà nei ranking, quel giorno lì insomma, è l’inizio di qualcosa di strano. Si chiude l’epopea della Sampdoria, rinasce il Milan centenario. in una Serie A dominata da Batistuta, Mancini e Zidane, c’è spazio anche per Maurizio Ganz. Eccome se c’è spazio.

RIMONTE – Il 2 maggio del 1999 sia il Milan che la Sampdoria arrivano da due rimonte straordinarie. La Samp ha cambiato già due allenatori, adesso è tornato Spalletti che prova a raddrizzare le cose dopo una partenza spaventosa e una ripresa che sa di miracolo nel girone di ritorno. Al Doria serve vincere, ma dall’altra parte c’è una squadra indiavolata. Il Milan nel giro di un mese si è portato da -7 a -1 sulla Lazio, quel pomeriggio di scena a Udine, mentre la Fiorentina ormai staccata maledice gli infortuni e il Carnevale. Quel giorno Michael Schumacher su Ferrari a Imola compie un capolavoro, a Bologna invece la Treviso del basket si guadagna la finale Scudetto, a Roma Padre Pio viene beatificato: si capisce che il 2 maggio 1999 non può essere un giorno come un altro. Alberto Zaccheroni, mister arrivato da Udine e che sta guidando il sorpasso rossonero, continua col suo dogma del 3-4-3 che tante grane gli ha causato col presidente Berlusconi, celeberrima la querelle su Boban, mentre dalla parte opposta Spalletti schiera un 4-4-2 offensivo dato che la Samp non ha niente da perdere e la zona salvezza è lontana tre punti. Milan e Sampdoria scendono in campo alle 15, come tutte le partite della 31° giornata di Serie A eccetto un bulimico Roma – Inter che si disputerà il giorno dopo.

PRIMO TEMPO – L’arbitro, il signor Braschi di Prato, fischia l’inizio quando il sole sbatte sulla metà alta del prato di San Siro, un San Siro gremito e traboccante entusiasmo per la rincorsa sulla Lazio. Le due squadre iniziano con il freno a mano tirato finché al diciassettesimo un brivido biondo non scuote il Meazza: Ganz – in campo al posto dello squalificato Weah – contrasta Grandoni al limite su lancio dalle retrovie e appoggia a Massimo Ambrosini, giovane pesarese che pochi giorni dopo avrebbe compiuto 22 anni. Ambro, come lo chiamano i compagni, si inventa un sinistro da trenta metri che finisce preciso all’incrocio battendo un incolpevole Ferron e portando in avanti il Milan. Un lampo inaspettato, l’inattesa piega degli eventi che porta dritto a una partita indimenticabile perché da quel momento in avanti non succederà più niente di tutto quello che lo Zanichelli definisce normale. Mentre Maldini giganteggia nella sua metà campo come spesso gli è successo in carriera, ecco che la Lazio va in vantaggio a Udine e la Sampdoria prende coraggio spingendosi alla ricerca del pari. Vincenzo Montella, anche lui giovane emergente che segna quanto e più di un veterano, ha un sinistro migliore di quello di Ambrosini ma su un’azione identica all’1-0 del Diavolo scaglia un tiro mancino velenoso che si appoggia sulla base del palo ad Abbiati battuto. Deve essere il pomeriggio di Marco Franceschetti, difensore di professione ma acrobata del pallone per una buona manciata di secondi: la difesa respinge sul suo destro, lui stoppa e inizia a palleggiare dirigendosi verso Abbiati prima di tirare violentemente il pallone contro l’incrocio dei pali. Buon per il Milan però che al 45′ Lassissi si fa espellere per un inutile fallo da ultimo uomo che sicuramente rivedremo a Mai Dire Gol. Con il vantaggio di gol e quello numerico, contro un Sampdoria lontana parente di quella che la storia ci ha consegnato, la partita è in discesa. Forse.

SECONDO TEMPO – Quindici secondi nella ripresa ed ecco che Montella, stavolta di destro, spara alto dal dischetto. C’è qualcosa che non va nel Milan, il raddoppio della Lazio con Vieri è un boccone amaro da ingoiare e la rimonta si fa sempre più difficile con sole tre gare da giocare. I rossoneri mollano e subentra la tensione, qualche volta anche la rabbia. Il colpo del k.o. psicologico arriva da Montella, che di testa al 60′ beffa Costacurta – di certo non irreprensibile in marcatura – e Abbiati in un colpo solo. E’ finita, il Milan non ce la può fare e anche in 11 contro 10 crollerà di sicuro. Boban è vittima della sindrome da numero dieci rossonera, che colpisce giocatori di classe incredibile e qualche volta li fa girovagare svogliati per il prato di San Siro con la maglia ciondolante sui pantaloncini a mezza coscia. Non è il primo Zvone e non sarà l’ultimo, ma in quel moneto Zaccheroni non ne può più e mette dentro Leonardo. Il Meazza è ammutolito, al Friuli stanno 0-3 e il Milan è a meno tre e quindi ciao Scudetto. A dieci dalla fine però Braschi fischia una punizione dal limite, sul punto di battuta c’è Leonardo nel clamoroso silenzio generale. Leo è esaltato dal 3-4-3 di Zac, ha già raggiunto la doppia cifra di gol e adesso il Milan pende dal suo sinistro. Il corpo del brasiliano si piega leggermente indietro prima di bloccarsi all’impatto col pallone, la gamba sinistra fa da pendolo e colpisce d’interno la sfera mandandola ancora una volta dove Ferron non può fare a meno di bestemmiare. 2-1 Milan, San Siro esplode, Leonardo gioisce come Nanni Moretti quando gli nasce il figlio in Aprile. Il Milan è vivo, la Sampdoria è in Serie B, Braschi per favore fischia la fine.

C’E’ ANCORA TEMPO – E invece no, il 2 maggio del 1999 il dio del calcio ha deciso che Milan – Sampdoria non deve finire mai. Da Bari per la Samp arrivano risultati incoraggianti, il Piacenza perde e l’avvicinamento alla zona salvezza è possibile. Con un uomo in meno Spalletti getta tutti avanti e fa entrare il terzino di spinta Hugo e l’ala Iacopino, dopo aver sbilanciato l’attacco con l’ingresso di Catè. Ottantasei minuti sul cronometro, la Sampdoria spinge sulle fasce e sia Ba che Helveg vanno in apnea. Su un angolo da sinistra la palla viene malamente crossata in mezzo, la difesa del Milan sta a guardare la sfera che rimbalza verso il limite dell’area dove uno sgraziato Marco Franceschetti – è il suo pomeriggio, ricordatevelo – si inarca per colpirla di sinistro e mandarla là dove Abbiati non arriverebbe mai. 2-2, di nuovo sconforto Milan, addio tricolore. I minuti passano e Abbiati – anche lui un gregario, arrivato da chissà dove e adesso eroe difensivo – diventa protagonista su un sinistro di iacopino. La Sampdoria può vincere 3-2 a San Siro per la seconda volta in tre anni. Al 93′ la palla gol sventata da Abbiati è stratosferica: un impensabile contropiede doriano orchestrato da Catè prende il Milan di sorpresa e fa già esultare i tifosi Samp bevendosi due difensori e rimanendo in due contro zero davanti al portiere. Pecchia smania per avere il pallone del k.o., Catè però non è questo gran fenomeno e spara sull’estremo difensore rossonero. Manca poco alla fine della partita, alla Sampdoria va bena anche il pari, dà morale in vista del finale thrilling di stagione.

GIOCO DI MANO – C’è tempo però per un innocuo calcio d’angolo per il Milan. Braschi lo fa battere nonostante possa pure fischiare la fine, ci sarebbero gli estremi. Sul pallone corre Ambrosini, ma non ci crede più di tanto anche perché non ha la tecnica individuale per battere i calci piazzati, ma in questo istante vale la regola elementare del “tira chi è più vicino“. In area ci sono tutti, è una bella festa di fine partita dove ci si trova per discutere del match e lasciarsi andare a marcature così così, come quella su Ganz. Il friulano Ganz è il gregario per eccellenza, è uno di quelli che però segnano sempre e difatti lui ha anche un famosissimo coro personalizzato in dialetto lumbard. Ambrosini batte il corner in modo obbrobrioso, un lancione sul secondo palo senza pretese se solo non fosse che Iacopino si mette a osservare la curva della palla senza badare a Maurizio El Segna Sempre Lu Ganz. E proprio l’ex nerazzurro arpiona il pallone con una bruttissima rovesciata di sinistro e cerca di mandarlo in porta. In porta, dentro la porta, la palla ci arriva ma prima ha sbattuto sulle mani di Marcello Castellini spiazzando nettamente Ferron, ancora incolpevole. E’ il 94° minuto passato da una manciata di secondi, un autogol di mano ha appena consegnato al Milan mezzo Scudetto e ha spedito ufficiosamente in B la Samp, che in cadetteria ci andrà grazie al signor Trentalange e riuscirà a tornare il vero Doria solamente anni dopo. Il Milan vincerà quello Scudetto grazie a una buona dose di fortuna ma anche a uno spirito da provinciale che non ha mai mostrato nell’ultimo quarto di secolo. Il 1998-1999 finirà così: l’ultima edizione della Coppa delle Coppe, Henry meteora in Serie A come la Salernitana, Tuta malmenato per un gol di troppo, Ronaldo che ancora non vince lo Scudetto e Galliani in versione Regan MacNeil sulle tribune del Curi a Perugia qualche settimana dopo.

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