Serie A
Adriano BACCONI: «Inzaghi Inter, Fonseca Milan, Motta Juve e Baroni Lazio: ecco su COSA valutare il loro LAVORO. Di tutti i campioni del mondo 2006 quello più bravo è GILARDINO…» – ESCLUSIVA (PARTE 2)
Le parole di Adriano Bacconi sulle panchine del prossimo campionato: quelle delle milanesi, Juve e Lazio, oltre ai campioni del mondo 2006
Si sta apparecchiando una nuova Serie A intrigante, con l’Inter favorita d’obbligo e concorrenti che non mancano. Con Adriano Bacconi, allenatore e preparatore atletico professionista, Ceo di MathandSport, abbiamo provato a ragionare su alcune parole chiave legate ad alcuni mister che si misureranno con le difficoltà dell’annata. Ecco che cosa ci ha raccontato. La prima parte dell’intervista, riguardante l’Europeo, potete leggerla qui.
Si parte obbligatoriamente dai campioni d’Italia in carica. Su cosa deve lavorare Simone Inzaghi per potersi confermare?
Nel caso dell’Inter non di può che parlare di continuità. Non in senso conservativo, però. Inzaghi deve riuscire a ridare alla squadra quelle caratteristiche che ha avuto lo scorso anno e che non sono facilmente ripetibili. Perché il segreto dell’Inter è stato fondamentalmente la qualità dei suoi centrocampisti. Bisogna capire se Zielinski riuscirà a inserirsi nel nuovo contesto ed essere all’altezza dei compagni. Inoltre, i nerazzurri devono mantenere quella imprevedibilità mostrata attraverso continui interscambi di posizione, è stato ciò che ha permesso di essere meno leggibili e prevedibili. Non è detto che gli avversari di quest’anno non riescano a trovare le contromosse. Quindi, in estrema sintesi: continuità nell’essere imprevedibili, introducendo nuove varianti.
Cosa ti aspetti da Fonseca al Milan?
Possesso palla e predominio della tecnica. Secondo me lui è un allenatore che ha in teoria le caratteristiche giuste per il dna del Milan, che ha sempre puntato di più sul gioco e su una mentalità offensiva. Francamente, però, non so se potrà far bene veramente. I problemi del Milan non sono pochi. Il primo è che si devono risolvere alcune contraddizioni non banali su alcuni giocatori. A partire da Leao, che anche all’Europeo ha dimostrato di avere numeri da fuoriclasse e di essere complessivamente un incompiuto, un aspetto che non è facile da risolvere per il nuovo tecnico. Il secondo è: chi andrà a segnare i gol che in questi anni ha garantito Giroud? L’assenza di un centravanti con le sue caratteristiche è pesante, sostituire uno come lui dopo tanti anni è difficile, anche se è arrivato Morata. Nel Milan c’è un vuoto al centro del reparto offensivo. Proprio l’Europeo ha dimostrato quanto sia difficile avere un attaccante d’area.
Quali alternative può trovare Fonseca per supplire a questo limite?
Il Milan ha un giocatore che l’anno scorso ha fatto bene relativamente nel club e che all’Europeo ha avuto un rendimento molto alto. Si tratta di Reijnders, con l’Olanda ha saputo muoversi a tutto campo, era svincolato da compiti troppo difensivi e si è comportato molto bene nella metà campo avversaria. Fonseca deve cercare di metterlo nelle stesse condizioni in cui lo ha messo Koeman, che ha dedicato Schouten a compiti da mediano, restituendogli così quell’attitudine tipicamente olandese di guardare avanti. Reijnders non va frustrato con troppi doveri tattici. E se sarà così, il Milan si troverà una mezzala offensiva che potrà garantire un buon contributo in zona gol.
Thiago Motta e la Juventus. Probabilmente è l’attesa più grande esistente adesso nel calcio italiano.
Se dovessi riassumere in un solo termine cosa è stato Motta al Bologna direi “libertà”. Ma riuscire a trasferire questo concetto a Torino non è per niente scontato. Non vorrei fare un brutto paragone, ma è un po’ come la Nazionale di Spalletti dopo il Napoli di Spalletti. Non è che se costruisci un meccanismo perfetto che funziona una volta automaticamente riesci a riprodurlo in un altro contesto, con giocatori profondamente diversi…
Cosa intendi per libertà? Istintivamente non è il termine che avrei scelto per Thiago Motta…
Intendo l’interpretazione dei giocatori, liberi mentalmente di prendersi dei rischi, di concepire posizione e ruolo con un loro modo particolare. Il movimento degli esterni offensivi, la costruzione dei difensori centrali, la partecipazione dei terzini: nel Bologna c’erano tutte scelte di libertà che li rendevano imprevedibili per gli avversari. Prendi l’esempio di Calafiori: lui non si inseriva in avanti, di fatto stazionava proprio a centrocampo. E questa situazione scatenava dei meccanismi e degli automatismi per i quali i compagni si muovevano, si verificavano delle rotazioni che funzionavano in sincrono perché esistevano dei principi di gioco comuni. E la cosa più importante è che in questo trovavano il loro divertimento, acquisendo anche fiducia nelle proprie possibilità.
Libertà e divertimento. Mettiamo l’accento sulla congiunzione?
Sì. Mi ha colpito molto un’intervista di Paulo Dybala. Non ha fatto i nomi né di squadre né delle partite in esame, ma ha detto che gli è successo in alcuni match di essere uscito dal campo completamente svuotato. Aveva vinto, aveva anche fatto gol, si rendeva conto nello spogliatoio che gli altri erano soddisfatti e i tifosi fossero felici. Però lui provava tutt’altro e questa sensazione gli ha fatto paura. Ecco, i giocatori del Bologna questo non l’hanno mai provato. La Juve, invece, arriva da un’annata dove in tante occasioni si è patita una certa frustrazione. Motta quindi si ritrova in mano un materiale umano che deve essere completamente ricostruito psicologicamente per poter fare quel gioco “libero” che lui si propone di fare.
Mi incuriosisce un allenatore di cui si parla poco e che rappresenta comunque una novità: Marco Baroni alla Lazio. Che va in una squadra che ha smembrato il suo gruppo storico per ripartire. E che al Verona ha compiuto una vera impresa visto come a gennaio gli avevano smembrato la squadra.
Marco lo conosco personalmente, abbiamo fatto insieme il corso di Coverciano. É un ragazzo di buonsenso. Non dà un gioco super offensivo alla squadra, è uno pragmatico. Avrà il vantaggio di guidare una squadra che non deve vincere per forza, si può permettere anche delle battute a vuoto e non ha le pressioni che può avere l’allenatore della Juve, del Milan o dell’Inter. Un bell’aiuto per ambientarsi bene, avrà più tempo rispetto a quello che possono avere altri allenatori.
É una buona scelta?
Sì, è una buona scelta. Non di marketing, per essere chiari. Mi ricorda quando Lotito prese Simone Inzaghi. Un allenatore, se vogliamo definirlo così, “aziendalista”. A Verona, Baroni ha saputo adattarsi alle esigenze della società. Non si è mai lamentato del fatto che gli abbiano venduto i giocatori migliori e ha allenato quelli che aveva con grande professionalità. La parola chiave per lui è adattabilità.
Ultima curiosità. Eri nello staff di Marcello Lippi ai Mondiali del 2006. Che effetto ti fa vedere De Rossi, Nesta, Pirlo ed altri campioni del mondo su importanti panchine tra A e B?
E ce ne sono stati anche altri, come Grosso e Gattuso… C’è una tendenza a prendere i grandi campioni che facilita la carriera di questi ragazzi: i dirigenti li stimano, i tifosi li amano, hanno uno sviluppo di carriera facilitato e ormai è normale vederli in questi posti. Da lì a essere in grado di avere una proposta di gioco originale, costante e vincente è ovviamente tutto un altro paio di maniche. Alla fine sono quasi tutti allenatori che ancora devono dimostrare di essere all’altezza di così grandi responsabilità. É vero che De Rossi ha fatto bene l’anno scorso, ma è stato favorito dalla crisi di rigetto della gestione Mourinho. E lui l’ambiente romanista lo conosce benissimo, è stato bravo a dare un segnale di discontinuità e quindi anche a ricreare il giusto spirito nello spogliatoio.
Chi è quello più avanti secondo te?
Tra tutti i ragazzi che ho conosciuto nel 2006 quello che mi ha sorpreso di più per le idee di gioco che è riuscito a mettere nella sua squadra è Gilardino. Con il Genoa ha conquistato la Serie A e l’anno scorso ha fatto un campionato meraviglioso, interpretando un calcio moderno. Non mi stupisce che l’Inter abbia acquistato il suo Martinez. É proprio il segno di cosa abbia saputo fare Alberto. Avendo un portiere fortissimo con i piedi, era bellissimo vedere come la lunga circolazione palla da dietro fosse funzionale a determinare lo spazio libero per Gudmundsson. Puntualmente, il lancio da dietro andava a raggiungere l’islandese, abile nel controllo e nel trasformare quel pallone in un potenziale pericolo. Una connessione portiere-attaccante costruita benissimo, che si è vista in tantissime azioni. Certo, c’è l’abilità tecnica degli interpreti, ma è da queste cose che si vede la mano dell’allenatore. Per me Gilardino è quello più maturo. Però bisogna sempre considerare che ogni situazione è profondamente diversa, ognuna ha una sua specificità. Se c’è una cosa che dopo tanti anni di calcio ho imparato, è che non esiste un’unica scelta che vada bene ovunque. Anche perché altrimenti sarebbe un po’ troppo facile…