Domenico Volpati, il pallone fuori dai denti - Calcio News 24
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2015

Domenico Volpati, il pallone fuori dai denti

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«Avevo un esame all’Università e Bagnoli mi disse: ‘Perché non vai a correre lungo il Ticino?’…»

C’è chi ha scritto “Una vita da mediano”. Ma c’è anche chi ha avuto un’esistenza da Domenico Volpati. E, onorando il gioco del football, si è tolto grandi soddisfazioni sportive come disputare otto campionati di Serie A (due col Torino) e vincere uno Scudetto a 34 anni con la casacca del Verona. Ricevendo i complimenti sinceri del capitano (e amico fraterno) Roberto Tricella che, su Domenico, ha espresso forse il parere definitivo riguardo al suo ecclettismo agonstico: «Volpati è stato il cervello fantasioso di quella storica squadra. Preciso, altruista, piedi buoni ma anche gran faticatore. Gli dobbiamo tutti molto». Una bella investitura per questo simpatico dentista sixtysomething che ha mollato da anni il calcio professionistico, ma che è sempre pronto ad abbandonare il suo Studio (lettera maiuscola) in Trentino per correre a fare beneficenza in maglietta e pantaloncini. E proprio dallo studio (lettera minuscola) partiamo per delineare la sua bellissima aventura.

Domenico, calciatore o laureando: qui sta il dilemma…
«Calciatore, calciatore senz’altro visto che ho giocato a pallone per diciotto lunghi anni, dal ’68 col Borgomanero fino all’ultima stagione col Mantova nell’89. E in mezzo ci sono stati otto tornei di Serie A con le maglie di Torino e Verona. Ma anche laureando dato che mi sono iscritto alla Facoltà di Medicina di Pavia nel 1970 e ho strappato l’agognato pezzo di carta discutendo la tesi vent’anni dopo, rigorosamente fuori corso! (ride, ndr

C’è stato un momento nella tua vita in cui lo studio ha rischiato di superare il calcio?
«Forse nell’82 quando col Brescia sono retrocesso in C1. Lì mi sono detto: “Ok, ho 31 anni e sono indietro con gli esami: sarà meglio che smetta col pallone”. Solo che mi dispiaceva, con le “Rondinelle” quell’anno non avevo giocato male e un pensierino alla Serie A – che avevo già conosciuto col Torino nei due anni precedenti – continuavo a farlo…»

13 giugno 1982, ultima giornata di serie B, Verona-Brescia al Bentegodi. Terminerà 1-1 con voi amaramente retrocessi e i veneti promossi nella massima serie. E sulla panchina dell’Hellas sedeva un certo…
«Osvaldo Bagnoli! Fu lui in persona, qualche settimana dopo, a farmi la proposta di andare a giocare in A coi gialloblu. Ed io che mi già vedevo come un tranquillo studente universitario passai tre notti in preda all’angoscia! (ride, ndr) Alla fine però accettai e da lì cominciarono i sei anni più belli della mia vita: lo Scudetto dell’85, le amicizie di ferro con Tricella e De Agostini, il sentirmi parte di una compagnia affiatata ed invincibile. Che bei ricordi!»

Ci aggiungerei anche il tuo ruolo “all’olandese” nell’anno del tricolore. Ammetto che a quasi trent’anni di distanza non ho ancora capito bene in quale parte del campo giocavi…
«Facevo il jolly. Sai, parliamo di un football in cui una rosa era composta in media da quindici giocatori più due ragazzi della Primavera, non c’erano i trenta tesserati ed oltre delle squadre attuali… Quell’anno cominciai con la maglia numero 8, da classica mezz’ala, e via via mi adattai al ruolo del terzino, del mediano, dello stopper ecc. In pratica non ho giocato da libero perché Roberto Tricella era sano come un pesce, se no avrei fatto pure quello!»

Un calciatore odierno avrebbe già telefonato in lacrime al suo procuratore…
«Ed invece io ero molto orgoglioso di cambiare spesso ruolo. Esattamente come per gli esami universitari, mi è sempre piaciuto mettermi alla prova. E fare bella figura.»

Ad allenare, però, non hai mai pensato…
«No, perché per me il calcio era il campo, lo spogliatoio, la sudata, l’allenamento, la battuta tra amici ecc. La panchina? Non mi ci vedevo proprio e mi sa che ho pure avuto ragione perché, da quando mi sono ritirato, sono piombati sulla scena una caterva di allenatori che per me non hanno mai avuto lo spessore umano per fare quel mestiere…»

Nomi?
«Non te ne farò mai, non è nel mio stile (sorride, ndr). Diciamo però che non ho mai gradito i cosiddetti “urlatori”, allenatori bravi solo a sbraitare e ad insultare i propri atleti… L’Osvaldo (Bagnoli, ndr) quasi non lo sentivi parlare, sussurrava durante gli allenamenti, ma ne capiva di pallone e di psicologia, eccome se ne capiva!»

Tu ora fai il dentista ed hai uno studio a Cavalese in Trentino, giusto?
«Correttissimo.»

Scusa, ma per uno come te – laureato in Medicina – non sarebbe stato più automatico fare l’ortopedico?
«E la specializzazione dove la metti? (ride, ndr) Te l’ho detto, mi sono laureato tardi, a 39 anni. Avevo già dedicato troppo tempo allo sport e, a livello medico, mi occorreva una scorciatoia per poter esercitare il prima possibile. E così ho fatto il dentista»

Ma è vero che un esame lo superasti esattamente il giorno dopo una partita di Coppa UEFA?
«Sì, col Verona giocammo in Germania contro il Werder Brema nei quarti di finale della Coppa UEFA ’88. All’andata perdemmo in casa 1 – 0 e al ritorno non riuscimmo a ribaltare il risultato per via anche di un tempaccio da lupi. Io entrai negli ultimi venti minuti, feci il mio, ma il difficile – credimi – venne dopo: nello spogliatoio eravamo tutti delusi ed io dovevo ancora andare dal mister a chiedergli un permesso per il giorno successivo…»

Come andò a finire?
«Che Bagnoli mi accordò la giornata libera in quel di Pavia – dove aveva sede la mia Università – a patto che andassi a fare un allenamento defatigante, una rifinitura, lungo le sponde del Ticino… Immaginati io che dovevo dare Patologia Applicata, uno degli esami più duri di Medicina, teso come una corda di violino e in attesa del mio turno, se potevo pensare alla rifinitura quel giorno! (risate, ndr

Tu conservi un record poco invidiabile nel nostro calcio: quattro partecipazioni alla finale di Coppa Italia (due col Torino e due col Verona) e zero vittorie in totale…
«Sai proprio tutto, eh? Ebbene sì, l’avevo rimosso ma poi qualche anno fa il tuo collega Stefano Bizzotto della RAI mi ha regalato un DVD dedicato alla finale Roma-Torino del 1980. 0 – 0 dopo i supplementari e così si va ai rigori. Andiamo in vantaggio 2 – 0 con ancora tre rigori da battere e a quel punto mi dico: “Beh, ormai è fatta”. Morale? Ne sbagliammo quattro di fila con Greco, Graziani, Pecci e Zaccarelli e la Roma vinse 3 – 2 con tiro decisivo di Ancelotti. Hai presente una doccia ghiacciata? Ecco, uguale»

Ci sarà mai un altro Volpati in futuro? Intendo sul campo.
«Ne dubito visto che ho fatto solo figlie, tutte piuttosto brave con lo sci. D’altronde sono nate in Val di Fiemme…»

Però il papà gioca ancora ogni tanto…
«Sì, faccio del volontariato con l’ASD Ex Calciatori Hellas Verona Onlus: ci ritroviamo con gli altri ragazzi dello Scudetto e organizziamo partite amichevoli dove, tra le altre cose, vendiamo anche il nostro merchandising. Siamo sommersi di richieste e quindi ogni tanto ci tocca fare della selezione a monte ma il nostro presidente onorario, Domenico Penzo (che è succeduto al meraviglioso Franco Nanni che ha fondato la stessa Onlus), se la cava alla grande»

Un proposito per il 2015 appena iniziato? E che coinciderà col trentennale dello scudetto dell’Hellas…
«Una bella festa per Osvaldo Bagnoli che a luglio compirà 80 anni. Mister non faccia il timido, stiamo già preparando la torta con tutte le candeline!»

Cosa significa per te ripensare a quello storico Scudetto tre decadi dopo?
«Significa ripensare alle mie nozze visto che mi sono sposato il giorno dopo la partita casalinga con l’Avellino, l’ultima di quel campionato. Diciamo che ho festeggiato due volte! E poi… (riflette, ndr

E poi…?
«Mi viene ancora in mente una telefonata che mi fece Roberto Tricella alle due di notte dopo la nostra sconfitta casalinga col Torino. Non riusciva a dormire esattamente come me, era agitato… Mancavano cinque giornate alla fine, il Torino si era rifatto sotto e lì ci venne una gran strizza di non riuscire a farcela. Una gran sofferenza, insomma. Ma è sempre dalla sofferenza che nascono le grandi vittorie».

La prossima settimana nuova puntata di Tempi Supplementari con deciso retropassaggio al portiere e microfono aperto per Mario Ielpo, saracinesca del Cagliari di Mazzone che conquistò un posto in UEFA nel campionato ’92-’93. E dovremo stare molto attenti ad usare le parole, onde evitare qualche “denuncia” di troppo. Ielpo, infatti, di professione fa l’avvocato.

Rubrica a cura di Simone Sacco (per comunicare: calciototale75@gmail.com)

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