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2016

Gli esperimenti di Allegri: ecco la sua linea di ricerca

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allegri juventus

Al di là dei moduli, c’è una linea di ricerca

Nell’interessantissima intervista che Massimiliano Allegri ha rilasciato a Walter Veltroni, si fa riferimento a come sempre di più le partite vengano decise nei finali, quando in campo finalmente si liberano quegli spazi precedente occupati con grande densità dalle due squadre. Più volte la sua Juve ha dimostrato di saper vivere (e ancor prima pensare) la contesa in senso cronologico, uscendo fuori alla distanza o concentrando gli sforzi in una data sezione (Empoli ne è la rappresentazione perfetta, con quei 3 gol segnati da Dybala e Higuain esattamente come un pugile farebbe per non accontentarsi di vincere ai punti, cercando il colpo da ko dopo avere messo l’avversario alle corde).

Dati questi presupposti, si capiscono molte critiche relative al difficile conseguimento dei 3 punti di sabato sera, giustificate soprattutto da un ultimo quarto d’ora dove la sofferenza è stata palpabile, Buffon ha dovuto riprendersi dall’errore commesso nella prima frazione e un eventuale pareggio dell’Udinese avrebbe premiato la complessiva condotta di gara dei friulani, capaci di aggredire il match con intelligenza e personalità, non uscendone quando per l’appunto la Juve ha insistito per metterla al tappeto. Certo, il colpo di testa fuori di Alex Sandro se trasformato avrebbe radicalmente cambiato i giudizi, com’è giusto che sia perché il risultato non è un optional, ma dovrebbe costituire il primo elemento di disanima critica sempre e ovunque, non solo dove si rispetta il precetto bonipertiano della vittoria come unica cosa che conta. Ma non è successo e perciò i limiti della prestazione dei bianconeri vanno capiti e non occultati, nel quadro di un cammino del tutto invidiabile come testimonia il +5 in classifica, massimo vantaggio nei principali campionati in Europa.

Si è parlato molto delle scelte di modulo di Allegri in Juventus-Udinese. Si è fatta anche una certa confusione nella lettura, conseguenza diretta di un fatto molto chiaro: il disegno tattico del mister non è stato seguito adeguatamente dai giocatori e ne è uscita una condotta di gara che ha avuto diversi passaggi a vuoto nella prima frazione di gioco. Poi si possono anche fare due constatazioni preliminari sulla valutazione dei cambiamenti, sempre partendo però da un privilegio che l’allenatore della Juve ha a differenza di molti suoi colleghi: la possibilità di sbagliare o di testare soluzioni alternative e il fatto di farlo senza che si vadano a pagare dei prezzi.

Un atteggiamento sperimentatore che si può sbandierare o lasciare sotto traccia (mediaticamente parlando) e che però va rivendicato tra le opzioni (e tra i doveri) di chi guida la squadra. Anche perché l’orizzonte di questo approccio non è l’approdo a una mitica terra promessa dove si trova la perfezione (com’è per molti l’idea di un abbandono definitivo della difesa a 3, raccontata come poco europea e chissà perché…). Usare più moduli non significa altro che poter vivere adeguatamente la tante fasi diverse che sono all’interno della stessa partita. Avere una mentalità strategica, verrebbe voglia di sintetizzare, cosa peraltro che non dipende solo dalle linee dello schieramento disegnato.

Parliamo di fase di possesso: la Juve con l’Udinese doveva essere un 3-5-2 con pedine collocate diversamente dal solito, anche per l’interpretazione dei singoli certamente fuori da logiche consolidate. Non un 4-4-2 come molti hanno scritto, visibile quando non si aveva la palla tra i piedi, ma una linea tradizionale con Lichtsteiner più arretrato e Alex Sandro interno all’altezza di Lemina, con Cuadrado ed Evra decisamente più in avanti per allargare il gioco e con compiti diversi: copertura più rapida per il francese, estro e libertà di movimento per il colombiano. Alla base di questo totale rimescolamento di compiti e funzioni, ancor più data l’assenza di certezze nel palleggio quali Bonucci, Khedira e Pjanic, c’era l’idea di responsabilizzare i singoli ed esercitarli a uno sforzo di comprensione delle dinamiche di gara e di creatività nei movimenti individuali. Un’idea intrigante, il cui risultato è andato a vuoto e il cui danno nella mancata realizzazione è stato relativo, l’andare al riposo sull’1-1. La Juve ha risorse in panchina notevoli, può giocare con le sue imperfezioni e ancor prima della necessità di un cambio pesante è bastato arretrare Evra nella linea a 3 e defilare Alex Sandro sull’esterno per un inizio di ripresa dove oltre al gol del vantaggio si sarebbe potuto arrivare a chiudere la gara.

Tutto bene, quindi? No, perché era da tempo che allo Juventus Stadium non si viveva un finale di preoccupazione, con Barzagli a regalare certezze a chi le aveva smarrite o non le ha proprio avute nei 90 minuti (Hernanes, ma non solo).

A Lione sarà tutt’altra partita, neanche uno dei fattori di Juve-Udinese sarà presente come presupposto in Champions League. E questo Allegri lo sa, per questo non utilizza tutti i suoi titolarissimi mai in gare “di passaggio”, sa che ci sono gerarchie negli impegni e questa che arriva (anche in campionato) è un settimana dove la gestione delle forze è ancora più importante del solito.

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