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2016

Il 4 a 0 sul Palermo e la bellezza

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Cose belle e un po’ maledette: racconto di una domenica da ricordare

Non passerà alla storia la domenica del 17 aprile 2016. Nell’evolversi delle vicende di questo campionato, semmai troverà un posto per essere stata la giornata nella quale è crollata l’idea che il finale di torneo possa essere contrassegnato da un dualismo al vertice. Nove punti di differenza sono un margine praticamente incolmabile, anche se Allegri non lo ammetterà mai, giustamente convinto com’è che si debba ragionare impegno dopo impegno. Però c’è un dato abbastanza clamoroso: se i partenopei coltivassero ancora ambizioni di aggancio in sole cinque giornate, allora la stessa convinzione potrebbero maturarla dalle parti dell’Inter, visto che tra la seconda e la quarta posizione c’è lo stesso divario che esiste adesso tra la piazza d’onore e la capolista che non sbaglia mai un colpo. In più, la sensazione è che il Napoli non abbia più molte risorse mentali, visto come ha reagito al doppio svantaggio a San Siro. La Roma è ancora distante e l’ambiente giallorosso è una polveriera che può accendersi in maniera ancor più clamorosa di quanto già sia capitato a Bergamo. Però, forse, in questo momento è meglio vivere sull’orlo di una crisi di nervi, che segnala anche una certa vitalità, invece che sembrare dilaniati da una prematura nostalgia per le occasioni perdute. Sarà questo il momento nel quale si vedrà se quanto più volte ribadito da Sarri quando i suoi erano in testa al campionato acquisterà un senso compiuto. Perché è adesso – ora o mai più – che il gruppo (nessuno escluso) dovrà dimostrare che era produttiva quella troppo esibita professione di modestia, per la quale lo scudetto non era un obiettivo concreto e portava a guardare più ai fatturati altrui che alla positività del proprio bilancio tecnico. E quindi, la risposta per tenere il secondo posto dovrà avere lo stesso grado d’entusiasmo – o giusto un filo meno – che si aveva precedentemente, in  modo da valorizzare al massimo il ritorno in Champions League con tutto ciò che questo comporta (permanenza di Higuain inclusa).

L’ESTETICA – Eppure, al termine di Juventus-Napoli, sera del sorpasso, che il testa a testa fosse il copione da rispettare fino al 15 maggio era assolutamente un pensiero condiviso da tutti e condivisibile in tutto. Ma ancora una volta siamo cascati nella trappola dei calendari su carta. Anche e soprattutto nell’ultimo periodo, quando si è pensato, detto e scritto che il momento della verità sarebbe arrivato il 24 e il 25 aprile, con le trasferte a Firenze e a Roma di bianconeri e azzurri. E invece, il passaggio dal +3 al +9 è figlia di una situazione agli antipodi e non solo per i risultati prodotti, ma per il modo con il quale questi maturano. Al Napoli troppo nervoso di Udine o alquanto spento di San Siro, risponde una Juventus sempre uguale a se stessa, con in più un elemento chiarificatore poco reclamizzato e che invece si sta sempre più delineando: la bellezza delle soluzioni offensive. Quando si racconta la Juventus edizione 2015-16 l’estetica non viene mai messa in evidenza. Se è così è anche perché associamo questa dimensione – che non di rado si riscontra in “magnifiche” perdenti – a formazioni le cui caratteristiche rispondono alla seguente carta d’identità.

PROPENSIONE AL DOMINIO – Intanto, esibiscono una superiorità per la presenza di fuoriclasse sul cui statuto non è lecito dubitare, laddove tra i bianconeri Buffon non fa più notizia (mentre gli ultimi due anni sono stati i migliori della sua carriera!), Bonucci viene bacchettato perché troppo ostentata è la sua raffinatezza tecnica (salvo stupirsi che Guardiola ne sia incantato), Pogba deve ancora dimostrare (trovatemi però un altro centrocampista in  Europa così bello da vedere e contemporaneamente produttivo, come certifica il rendimento per assist e gol di questa fase). Poi, si sottolinea la propensione al dominio, associata all’intensità di gioco e anche al voler stritolare gli avversari in tempi brevi. La Juve di Allegri è molto lontana da questa filosofia. Non aggredisce le partite (anche se ieri in 10 minuti ha sbloccato il risultato); spesso gestisce il vantaggio e non lo fa sempre benissimo pur non incassando reti, affidandosi consciamente (e non) alla mostruosa solidità difensiva (come si è visto nel primo tempo con i rosanero, che hanno trovato ostacoli alla rete del pareggio quando sembrava cosa fatta); infine, a guidare l’andamento dei 90 minuti è un’acquisita cultura della pazienza, che si può leggere come consapevolezza delle proprie virtù e insieme capacità d’interpretazione delle partite, trovando sempre (eccetto Bologna, da Reggio Emilia in poi) il momento giusto nel quale determinare la propria superiorità.

OLTRE I LIMITI – Infine, anche nell’ambito della juventinità, spesso la concezione della bellezza ha coinciso con l’andare oltre i propri limiti, come testimoniano i famosi primi anni di Trapattoni, Lippi o Conte in panchina, quando una certa rabbia unita alla qualità produceva un calcio scintillante (ognuno in modo diverso), irriducibile (e qui invece ci sono tratti in comune), coinvolgente (e qui a differenziarli ci sono i teatri delle recite: il Comunale, il Delle Alpi e lo Juventus Stadium). La Juventus di Allegri non ha avuto bisogno di questa radicalità dato che è nata con l’idea di proseguire un ciclo già trionfale. Peraltro, se avesse resistito un minuto di più all’Allianz Arena, parleremmo della sua versione europea come di una squadra che tra Berlino e Monaco sarebbe stata capace di superare limiti storici delle sue performance in coppa.

DOMENICHE MALEDETTE – Infine, c’è la bellezza di domenica 17 aprile. Con 4 reti una più prodigiosa dell’altra (considero tale anche l’arpione del Polpo su un “semplice” corner) e l’idea che quel predominio della tecnica su cui il mister insiste sempre si veda molto bene anche come patrimonio diffuso in più interpreti. Il gol di Padoin, il gregario per definizione, con l’abbraccio più divertito dell’anno, rischia di essere l’immagine simbolo di una Juve che nella storia ci rimarrà sicuramente anche per come sa estrarre molto da domeniche apparentemente normali (e pure maledette, visto l’infortunio di Marchisio). 

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