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2016

Non è d’estate che si vince la coppa

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A proposito di Juventus, Champions League e calciomercato…

Ogni estate propone il tradizionale rincorrersi dei sogni di mercato. Abbinati di solito all’idea che grazie ai nuovi acquisti – il numero è variabile, ma sospetto che ogni tifoseria sia alquanto ingorda di novità – si riesca ad arrivare a coronare il sogno più grande, quello della vittoria in Champions League. Premesso che è ovvio che un rafforzamento annuale sia sempre auspicabile – e vale per tutti, qualsiasi sia l’obiettivo prefissatosi a inizio stagione -, è però altrettanto corretto ricordare che non esiste assolutamente un’equazione certificata tra mercato e successo nella competizione più difficile. A confermarlo sono le due finaliste di quest’anno: nessuno aveva inserito le due formazioni di Madrid tra i club che avevano operato meglio sul fronte delle trattative. A riprova, i voti de La Gazzetta dello Sport del primo settembre 2015 davano uno stiracchiato 6 alla campagna del Real e un mezzo voto in più ai cugini dell’Atletico. Mentre era a Manchester che la promozione suonava più clamorosa. Il City veniva considerato, con le sue operazioni dispendiose, il miglior club del continente. E se è vero che ha raggiunto per la prima volta nella storia la semifinale, il costo rilevanti di alcune operazioni (De Bruyne su tutte) stride con il progressivo eclissarsi nella lotta per il titolo in Premier. Quanto allo United, che ha strapagato alcuni giovani di talento, può anche darsi che a gioco lungo vada a raccogliere i frutti di questo tipo di politica. Resta però, in tutta la sua crudezza, il magrissimo bilancio di Van Gaal, al pari di Mourinho (e con Benitez molto più sotto) il vero bocciato dell’annata. A meno di miracoli nell’ultima giornata, i Red Devils dovranno accontentarsi nel 2016-17 di un’altra partecipazione all’Europa League, non dimenticando che in questa sono usciti malamente con il Liverpool (che non era andato oltre una valutazione appena sufficiente del suo operare estivo).

ATTENTI AI GIUDIZI – La premessa serve per ricordare (intanto a me stesso) come ogni tentazione di lettura superficiale sia alquanto foriera di grandi delusioni per quanto riguarda la Champions League. Diverso è il discorso sulla competitività che bisogna avere nel tempo e in continuità ed allora sì che la trasformazione della rosa in maniera oculata incide. A maggior ragione in un panorama europeo dove oggettivamente i club italiani non sono coloro che stanno meglio economicamente e ogni mancata qualificazione al più importante torneo può costare carissimo. Perciò, juventinamente parlando, non rientro tra coloro che fanno la somma dei possibili giocatori nuovi come condizione pregiudiziale per alzare quella coppa benedetta (vorrei definirla con il suo contrario, ma intendo volerle bene per propiziare un clima favorevole, caso mai fosse offesa con noi per qualche motivo). E faccio questa valutazione per tre ragioni principali, oltre che per l’osservazione della realtà che per l’appunto ci farà vivere il derby madrileno di San Siro facendo la conta dei volti nuovi dei due club: nel Real Danilo e Kovacic su tutti; nell’Atletico Jackson Martinez poi abbandonato per strada, Savic, Vietto o Ferreira Carrasco. Penso che si possa tranquillamente dire: nessuno fortemente decisivo nel loro virtuoso percorso europeo.

COME EDGAR DAVIDS – Volgendo lo sguardo all’indietro, sono tra quelli più che convinti che l’eliminazione con il Bayern sia il luogo dove noi dobbiamo esercitare il pensiero su ciò che ci manca. Partendo da un dato temporale: un maledetto minuto al passaggio del turno o la prima ora di Torino, a seconda dell’orientamento di lettura, o più giustamente entrambi. Perciò, facendo un salto in avanti nel nostro immediato futuro, si può oscillare tra due posizioni. La prima è la convinzione che così com’è la Juventus è a posto, nel senso che per organico complessivo e per mentalità acquisita in questo biennio con Allegri non si è per nulla distanti dai club che pure hanno una capacità di spesa sensibilmente maggiore (e difatti l’opinione circolante è: poteva essere l’anno buono). La seconda è che, invece, proprio quella difficoltà di approccio allo Juventus Stadium segnala l’esigenza di qualche pedina che io individuo con una semplice caratteristica: la carica agonistica combinata a un buon livello tecnico. Un Edgar Davids del nuovo millennio, non necessariamente solo a centrocampo. Trascinatori, cattivi, carismatici, energici. L’identikit tracciatelo voi, se lo trovate. Se giovane, ancor meglio. Andando qualche passo oltre, è bene ricordare come la Juventus la finale l’abbia raggiunta un anno fa con un mercato che ebbe Morata, Evra e Pereyra come gli acquisti più importanti. Intelligenza, più che denaro contante. Rafforzamento strategico e vario: un giovane in rampa di lancio (che la Champions l’aveva appena vinto), un parametro zero di ineguagliabile esperienza e un buon elemento del campionato italiano. E tanti commenti: manca il top player (il tormentone estivo che ormai ha sostituito i Vamos a la playa di una volta). Morale: Borussia Dortmund, Monaco e Real Madrid fatti fuori e Barcellona messo all’angolo nell’ultimo atto, anche se non è bastato. E allora, dove va a finire la legge del mercato come unico o più importante strumento di regolazione dei rapporti di forza europei?

I RICORDI – E infine, i ricordi. Le finali perse, tante, troppe, da favoriti. Con mercati talvolta giganteschi a tracciare una linea che ancora ci fa male: estate 1982, campioni de mondo azzurri più Platini e Boniek e poi Amburgo ad Atene a beffarci perché si comportano da squadra più di noi. Certo, poi da lì abbiamo vinto tutto, dimostrando che in certi casi se si è più forti sulla carta lo si riesce realmente poi ad essere sul campo. Ma è bene dirselo, non far finta di nulla, non credere alle illusioni: quell’epoca lì non c’è più e forse non la vedremo più in Italia. Ce lo ricorda Forbes, con la Juve nona tra i club più ricchi al mondo e nessun giocatore della Serie tra i primi 10. Ma l’Atletico è quindicesimo e due finali in tre anni se l’è guadagnate, mentre tra chi lo precede in classifica ci sono club come Tottenham o Psg che certi traguardi non li hanno neanche mai sfiorati. E allora, per carità, nessun elogio del pauperismo, ci mancherebbe. Ma chi va ad accogliere all’aeroporto un nuovo acquisto non cada mai nell’errore di pensare che equivalga a quando si va a salutare la squadra con la coppa in mano, anche se io per primo la mia bella lista dei desideri estivi me la sono fatta perché siamo tutti sognatori e così sia

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