Pelé: «Per raccontare tutta la mia vita ci vorrebbe una trilogia tipo Guerre Stellari» - Calcio News 24
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2016

Pelé: «Per raccontare tutta la mia vita ci vorrebbe una trilogia tipo Guerre Stellari»

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Il campionissimo verdeoro a Milano per presentare il suo film biografico: «Un esponente contemporaneo della Ginca? Leo Messi.»

Il Re non si tocca. Il Re non si bacia. Il Re non si ostacola quando passa. Il Re è il Re, punto. Però il Re è qui, a pochi passi da noi, ed è gentile, affabile, pronto a raccontare le sue gesta epiche. La temperatura esterna potrebbe ricordare Rio De Janeiro ed invece è la Milano assolata di fine maggio, totalmente immersa nel football, quella che si appresta ad ospitare sabato la finale di Champions League tra Real ed Atletico. All’interno della Sala Buzzati (a due passi dalla redazione storica de Il Corriere della Sera) invece c’è una frotta asfissiante di teleoperatori e giornalisti (tra cui noi) pronti a saperne di più su ‘Pelè’, il biopic cinematografico diretto dai fratelli Zimbalist (Jeff e Michael) e dedicato alla brillante giovinezza di Edson Arantes Do Nascimento, il calciatore semplicemente più importante di ogni epoca.

Un artista totale ‘colpevole’ solo di non aver mai sperimentato il football europeo (a differenza – che sò? – di Maradona o Ronaldo), ma erano anche altri tempi, un altro tipo di calciomercato. E – a volercela dire tutta – Pelè due Coppe del Mondo le ha stravinte proprio contro due squadre del Vecchio Continente (la Svezia e l’Italia) che hanno provato in tutte le maniere a marcarlo a uomo. Fallendo clamorosamente in entrambe le occasioni. In Cile, nel ’62, invece si infortunò e cedette lo scettro all’amico Garrincha.

La pellicola dei Zimbalist comunque merita (comincia nel luglio del 1950 ai tempi del Maracanazo, esplora velocemente gli albori del Nostro nel Santos e poi si trasferisce in Scandinavia per i fatidici Mondiali del ’58 e là bruscamente s’interrompe) e O Rey compare pure in un piccolo cameo (fate attenzione al cliente di un certo hotel). Ora invece è qui e il cuore ci batte forte nel captare i particolari: il capello ancora scurissimo per chissà quale prodigio, il sorriso bianco e contagioso, la camminata stanca e aiutata da una stampella. Settantasei anni il prossimo ottobre, la leggenda si siede su di un piccolo palco e comincia a parlare col suo mix irresistibile di italiano (capisce ogni singola parola), portoghese e inglese. Dire che ci troviamo di fronte al Calcio nella sua essenza più intrinseca sarebbe riduttivo e retorico allo stesso tempo. Ma non ce ne frega niente: oggi, d’altronde, siamo tutti monarchici. E pure un po’ canaglie di Bauru dove Dico (il suo primo sopranome) divenne Pelè palleggiando coi manghi e giocando, estasiato, a piedi scalzi.   

Edson, è contento di com’è venuto il film?
«Sì, sono molto felice. All’inizio però pensavo che questi due registi fossero un po’ matti nel volersi rivolgere a me… Ok, al cinema avevo già recitato in ‘Fuga per la Vittoria’, l’opera del 1981 di John Houston ambientata ai tempi della Seconda Guerra Mondiale e lì me la dovetti cavare tra tanti grandi attori tipo Max von Sydow, Sylvester Stallone e Michael Caine. Insomma, in quel campo mi sembrava di aver già dato tant’è che quando i fratelli Zimbalist mi hanno contatto ho subito pensato: ‘Oh no, ecco che ci risiamo!’ (risate)».

Cos’è che l’ha convinta una volta per tutte?
«Il copione, la bella sceneggiatura. Dopo averla letta, mi sono commosso e ho dato l’ok. La produzione è stata meravigliosa: aveva davvero inquadrato quel determinato periodo della mia giovinezza che parte dai primi anni ’50 e arriva fino al big match di Stoccolma.».

Già, la giovinezza: il film termina con la vittoria della Seleção in Svezia. Fu quello il Pelé definitivo? Il ragazzino di appena 17 anni che sconvolge il mondo con la sua freschezza e il suo gioco irresistibile?
«Quella Rimet fu sicuramente il successo più importante per quel che riguarda la prima fase della mia carriera. Però il trionfo che ricordo con più affetto resta Messico ’70 contro voi italiani (Brasile 4 Italia 1 all’Azteca, Ndr) perché sapevo già in partenza che quello sarebbe stato il mio ultimo Mondiale e avrei voluto lasciare un buon ricordo di me. All’epoca stavo per compiere trent’anni ed ero decisamente più consapevole dei miei mezzi. Sia come uomo che come calciatore.».

Quindi – visto che la pellicola racconta solo una parte della storia – ci sarà la possibilità di vedere un sequel cinematografico della sua epopea calcistica? ‘Pelé’ come la trilogia di ‘Star Wars’?
«Beh, perché no? (ridacchia) Il mondo del Cinema mi piace, ho anche prodotto di tasca mia alcune pellicole brasiliane di carattere sociale e quindi, se il progetto fosse di tutto rispetto, sicuramente non mi tirerei indietro. C’è ancora molto da raccontare su Pelé: le altre Coppe del Mondo, il Santos degli anni ’60, il mio millesimo gol nel novembre del 1969 che fu l’unico in cui mi tremarono le gambe, le stagioni americane al Cosmos…».

In ‘Pelé’ si parla spesso e volentieri di Ginga (alias il passo base della Capoeira) intesa come metafora calcistica per ammaliare l’avversario in campo e lo spettatore sugli spalti. Quindi, quella che è la Forza per George Lucas sarebbe la Ginga per O Rey?
«(risate) Piano coi paragoni. Direi che tra ‘Star Wars’ e ‘Pelé’ ci sia ancora una bella differenza. Voglio dire: in quel film americano c’è tanta tecnologia, robot, spade laser, navi spaziali. La mia Ginga, invece, è una palla di stracci, una partita per strada e un bel po’ di fantasia. Si tratta di un qualcosa di primordiale che nasce dall’anima.»

Messi ce l’ha la Ginga?
«Certo. Ce l’hanno lui e tanti altri giocatori ma, se proprio devo citarne uno in particolare, direi che Leo va benissimo come rappresentante della Ginga contemporanea. Ovviamente lo stesso discorso può essere fatto per Neymar o Cristiano Ronaldo perché ogni grande calciatore, alla fine, fa storia a sé. Gli artisti del pallone sono come i bravi musicisti: ognuno suona divinamente, ma allo stesso tempo conserva il suo stile peculiare.»

Parliamo di stretta attualità: cosa combinerà il Brasile alla prossima Copa América? Quella del centenario in programma negli Stati Uniti.
«No comment.».

No comment? Dice sul serio?
«Sì, non voglio parlare della Seleção e poi in Brasile dobbiamo ancora riprenderci da quel tremendo 7-1 rimediato contro la Germania agli scorsi Mondiali. Due Coppe del Mondo giocate in case e altrettante sconfitte clamorose: Maracanazo nel 1950 per via dell’Uruguay e Minierazo nel 2014 a causa dei tedeschi. Sembra incredibile, ma ormai le cose sono andate così e non si possono cambiare: è la vita.».

A quasi due anni di distanza è riuscito a darsi una spiegazione?
«No, quel giorno fu follia mischiata ad irrazionalità. Crazy, my friend. In Brasile siamo rimasti così allibiti da quel ‘fracaso’ (tragedia sportiva, Ndr) che la delusione dell’anno scorso in Copa América (Brasile sconfitto ai rigori dal Paraguay, Ndr) è passata quasi in sordina. Però, rivedendo il film, ora mi viene da sorridere…»

Come mai?
«Perché all’inizio c’è una scena che ricalca un evento della mia vera infanzia. Dopo il Maracanazo vidi mio padre piangere addolorato e mi dissi: ‘Che strano: papà piange per colpa di una partita di calcio’… Bene, 64 anni dopo va in scena Brasile-Germania e per poco non sono io quello che scoppia a piangere. Davanti a mio figlio perdipiù! La storia si ripete. Chissà cos’avrà pensato il mio ragazzo vedendomi in quelle condizioni…».

‘Pelé’, il film, sarà da domani (26 maggio) nei cinema di tutta Italia distribuito dalla M2 Pictures. Per saperne di più cliccate qui.

Intervista a cura di Simone Sacco; per comunicare: calciototale75@gmail.com

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