Conviene davvero ai presidenti investire? Il modello tedesco, per ora, è lontanissimo

Il calcio italiano è in crisi, non solo di risultati ma anche economica. Chiaro è il quadro dipinto dall’edizione odierna di Repubblica che ha fatto il punto della situazione citando un bilancio del campionato 2014/15 in rosso per 379 milioni di euro, con le squadre che in media spendono annualmente 65 milioni di euro per gli stipendi: calciatori sempre più cari e ricavi sempre meno consistenti. Cresciuti anche i costi di produzione con 10 milioni in più rispetto all’anno scorso per ogni club, stadi e sponsorizzazioni non portano i guadagni sperati: positivi solo i contributi tv decisivi in Italia come in nessun altro campionato europeo. Il 58% delle entrate dei club, infatti, dipende proprio da quest’ultimo punto. 

DATI NEGATIVI – Anche le plusvalenze dal calciomercato non fanno sorridere, crollate di 110 milioni. Tavecchio è stato chiaro: «Sono necessarie le riforme, partendo dalla riduzione delle società professionistiche. E’ un anno che aspetto che le leghe si mettano d’accordo». Diminuito il numero di calciatori professionisti da 14mila a 12mila negli ultimi 5 anni, mentre positivi i dati della Nazionale, ma piccola gaffe di Tavecchio: «E’ il terzo brand più importante d’Italia dopo Papa Francesco e la bandiera tricolore».

MODELLO TEDESCO LONTANO – Dati distanti anni luce da Germania e Inghilterra, dove gli stadi recitano un ruolo fondamentale mentre in Italia solo per il 55% sono pieni, lasciando invenduti 8,4 milioni di biglietti l’anno. A parlare dell’argomento anche Emanuele Grasso di Price Waterhouse Cooper: «Il capitale di rischio investito dagli azionisti è insufficiente a sostenere quest’industria, il sistema ha necessità di essere finanziato».