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2016

Germania – Italia: non è una lotteria dei rigori

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Cosa ha insegnato la fine della partita tra gli Azzurri ed i tedeschi agli Europei

Lo pensiamo tutti, lo diciamo e lo scriviamo tutti: i tifosi, i giocatori, gli allenatori, spesso persino chi li tira (prescindendo dall’eventuale realizzazione) e chi li para (i portieri un po’ meno, per  la verità): i rigori al termine dei canonici 120 minuti sono una lotteria. Come un azzeramento di valori, una specie di sorteggio, il più debole che ce la può fare a sorpresa, il resto della gara che non conta più nulla (davvero? O chi va al dischetto si porta dentro qualcosa maturato precedentemente?). In realtà ci sono fior di studi scientifici, calcoli di probabilità, portieri che sanno tutta la casistica di chi sta loro davanti e tiratori scelti che si sono preparati all’appuntamento della verità radiografando anni e anni del Buffon o del Neuer di turno che si trovano a sfidare nel massimo dell’emotività magari di un’intera carriera. Il finale così amaro di Italia – Germania è stato però forse un punto di svolta nelle letture “luogocomuniste”. Perché la drammaticità è stata talmente elevata da imporre una riflessione un po’ più approfondita che possa rappresentare una novità nella lettura di certe situazioni. Che – lo dichiaro subito – per quanto senza ombra di dubbio esista un che d’imponderabile creato dall’eccezionalità dell’evento, è tutto fuorché una lotteria. A meno di pensare che noi italiani un Europeo lo si possa vincere solo con il sorteggio letteralmente inteso, come avvenne proprio nel lontano 1968 con la famosa monetina che ci portò alla finale con la Jugoslavia al posto dell’Unione Sovietica. Che magari, si fossero tirati i rigori, avrebbero avuto la meglio…

L’ITALIA AI RIGORI: QUALCHE PRECEDENTE

Bisogna urgentemente uscire da questa lettura superficiale e istintiva dei 5 calci di rigore come una specie di trionfo del caso. Perché la posta in palio è troppo alta per cadere in questa tentazione. E non è francamente pensabile che in un calcio ipercomputerizzato, dove si analizza ogni singolo frammento, tutto il nostro sapere sui penalty non venga messo a frutto per proporre una visione strategica. Simulando in anticipo ciò che fece Andrea Pirlo in Italia – Inghilterra all’Europeo quando Hart – parole del Maestro – “faceva troppo il fenomeno”. Con quel suo cucchiaio famoso, non solo segnò, ma l’umiliazione del portiere inglese portò al totale sbarellamento dei nostri avversari che si sentirono implacabilmente più deboli e caddero in errori che ci portarono alla vittoria. Ovvio: non tutti sono Andrea Pirlo. E certe soluzioni possono e devono nascere lì per lì, com’è giusto in un duello che vive di attimi. Ma davvero non si può provare a elaborare un piano di battaglia in anticipo? Scendo sul concreto. Trovo francamente assurdo che si ubbidisca alla logica un po’ abborracciata del “tira chi se la sente”. E ancor più che l’ordine non segua un preciso disegno. Sarebbe interessante un esperimento: decidere prima chi e come lo tirerà. Proporre un’idea forte, maturata prima, senza farsi prendere dal pathos del momento, dall’occhiata del portiere che vai a sfidare, dai suoi gesti provocatori, eccetera. Nella finale di Roma contro l’Ajax, tutti i 4 juventini che si presentarono dal dischetto scelsero un solo modo di calciare: botta forte, la più angolata possibile, chiudendo il tiro. Nessuna finta, nessun timore dell’altezza di Van der Sar. Morale: 4 gol su 4 e Coppa dei Campioni alzata. Ed il bello è che il giorno prima Lippi non aveva voluto fare le prove generali, era convinto che la partita si sarebbe risolta molto prima. I giocatori elaborarono ognuno una loro idea, semplice ed efficace. Anche perché non pochi tra loro non erano i rigoristi designati, si trovarono nella cinquina per il forfait di compagni deputati all’incarico.

GERMANIA – ITALIA: IL RIGORE DI ZAZA, I PRECEDENTI

Non penso che Antonio Conte abbia sbagliato a far entrare Zaza solo per entrare nella lista dei rigoristi. Per carità, credo che farlo muovere in campo cinque minuti prima, con la possibilità di scaricare qualche pensiero, sarebbe stato utile. Ma se Simone è stato messo appositamente solo come cecchino, allora gli avrei fatto un bel discorso, vagamente retorico – non mancano certo al Ct le parole per risultare convincente… – e lo avrei inserito come ultimo. Dicendogli: sarai tu il salvatore della patria. Tu mi porterai in semifinale. Tu entri per decidere la partita. In un quadro che già gli regalava molta responsabilità, allora gliene avrei fatta sentire ancora di più. Magari non sarebbe cambiato nulla e il pallone sarebbe finito ugualmente sulla luna, ma sarebbe stata una mossa così sorprendente e forte da portare a una conseguenza clamorosa: su quel dischetto, l’eventuale colpevole non sarebbe stato Zaza, ma Conte. E forse l’attaccante della Juventus sarebbe stato così incredibilmente più leggero. Anche se, va ricordato, quella rincorsa che ha fatto sorridere – eufemismo – il popolo dei social lui l’aveva proposta già in Inter – Juventus di Coppa Italia e aveva prodotto un gol. Non un rigore calciato benissimo, per la verità, ma comunque era riuscito a spiazzare il portiere e a tenere il pallone rasoterra.  Ma poi, alla fine, rimane un dubbio. Ce ne accorgeremo quando una squadra sarà scientifica e vincente nella lotteria? In fondo, chiunque compra i biglietti della lotteria è sempre convinto di avere escogitato un metodo infallibile… 

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