2012
Sampdora, Maresca: “Possiamo salvarci. Ferrara…”
SAMPDORIA MARESCA – Parla a ruota libera Enzo Maresca nell’intervista rilasciata per il Secolo XIX: dagli inizi alla Sampdoria in un cammino che lo ha portato anche all’estero. Ora, da veterano, vuole aiutare la squadra blucerchiata ad uscire dai bassifondi e conquistare la salvezza.
Signor Maresca, che ha detto suo papà del derby?
«Gli è piaciuto. In realtà ha detto che siamo stati dei “coglioni”, perché avremmo potuto chiuderlo nel primo tempo. Però è stato felice della vittoria e anche di avere assistito a questo grande spettacolo di pubblico. A Marassi c’era anche mio fratello Chicco, voleva andare nella Sud. Ho provato fino all’ultimo, ma non èstato possibile. Il legame con la mia famiglia è fortissimo. Sono andato via da casa che avevo undici anni e ora ne ho 32. Sono tornato in Italia perché sto diventando anziano e ho sentito il bisogno di “recuperare” questi vent’anni. Anche se la mia famiglia è sempre stata presente. In ogni finale che ho giocato, era lì allo stadio a guardarmi dal vivo».
E Barack Obama?
«Sicuramente ha festeggiato anche lui… scherzo. Dico una cosa:sono rientrato in Italia dopo sette anni tra Spagna e Grecia e ho ritrovato praticamente le stesse facce. Ad esempio sempre gli stessi politici. Nel calcio ho trovato gli stessi dirigenti. Cambiano gli allenatori, quello sì, e i giocatori per questioni anagrafiche. Obama per me ha rappresentato una ventata di aria nuova e lo stesso penso ora di Monti. Premetto che sono apolitico, le sue scelte stanno pesando duramente su tante persone, ma credo che si stiano pagando ora quella serie di errori accumulatisi negli ultimi venti, trent’anni. Tornando a Obama, gli Stati Uniti mi attraggono e non escludo, quando avrò smesso di giocare, di andare a vivere là per qualche anno. Mi piace New York».
Dalle sue interviste, da twitter, si capisce che ci sono alcuni personaggi che l’hanno colpita. Come Obama, appunto. E come il taxista genovese che l’ha portata allo stadio per Samp-Cagliari.
«Sarei rimasto ad ascoltarlo per ore. Settantaquattro anni. Mi ha detto tra l’altro che il problema non è la crisi, ma semmai che c’è troppo benessere. Che dovremmo usare le bici. Sono affascinato dagli anziani, ti possono sempre insegnare qualcosa. Sono i famosi “nonni”. E nel calcio sono stato sempre attratto da quelli con più esperienza di me. Quando ho iniziato a giocare, a vent’anni, osservavo tutto dei veterani, persino come si allacciavano le scarpe. Ancora l’anno scorso a Malaga ascoltavo Van Nistelrooy, che ha tre anni più di me. È vero, ora io sono “anziano” ma non so che pensano i giovani della Samp di me, bisognerebbe chiederlo a loro».
Robin Sharma.
«Ho letto i suoi libri. Tratta argomenti che mi interessano, che possono essere utili per la crescita personale. La leadership… “Un leader degno ha il desiderio di servire, non di dominare” ho sottolineato con l’evidenziatore nel volume “Autobiografia di uno yogi” sulla vita del guru Paramahansa Yogananda. Sono argomenti che secondo me presi nelle dosi giuste possono essere applicati anche al calcio, anche alla Samp adesso. Per Natale un paio di libri li regalerò a qualche mio compagno. Bisogna però sentire dentro il desiderio di confrontarsi con questi argomenti. Pedro ad esempio mi sembra portato…».
Nelson Mandela.
«Uno di quelli che ha cambiato il mondo. Tutti dovrebbero leggere la sua autobiografia. Da brividi. Nel 1990 io facevo la comunione e in Africa si ammazzavano tra di loro. C’erano il bianco e il “negro”».
Paco De Lucia.
«Il flamenco non uscirà mai dalla mia vita. Come l’Andalusia. Il flamenco è una delle cose che mi mancano della Spagna. Sento musica di tutti i tipi, anche prima delle partite, tolgo le cuffie prima di entrare negli spogliatoi. Ricordo prima di una finale di Coppa col Siviglia, mentre andavamo allo stadio, sul pullman avevamo la musica veramente a palla. Se lo fai qui, guai. Ti immagini il pullman della Samp che domenica arriva al Ferraris con lo stereo a manetta?».
Fernando Redondo.
«Da ragazzino avevo due modelli. Uno è lui, l’altro Guardiola».
Miguel Angel Jimenez.
«Il golf è una passione per me e lui è un grande. Ha appena vinto a 49anni una prova dell’European Tour. Suo fratello Juan è stato il mio maestro. Mi piace la cerebralità del golf, giocarlo mi rilassa. Lo consiglierei e infatti lo sto consigliando a qualche mio compagno. So che qualcuno ci sta provando. Cos’ha detto Cassano da Fazio? Che è uno sport da sfigati? Ahahah. Antonio non capisce un c…, detto con grande affetto».
Cabo e Bruno.
«I miei cani. A Siviglia, mi avevano soprannominato il “capo”. Bruno è il mio migliore amico. La sera passeggiamo tutti e tre in Corso Italia».
Ci sono alcune frasi che ritornano nei suoi pensieri. Ad esempio: Life is short. Do big things.
«Secondo me ognuno dovrebbe sempre porsi dei grandi obiettivi, ancora più grandi di quelli che vorrebbe raggiungere. Parliamo di Samp, penso che le prime cinque partite abbiano creato delle aspettative non realistiche. Questa è una squadra che deve salvarsi. Anche se per blasone è una società di serie A, nello scorso campionato era retrocessa in B ed è stata promossa ai playoff. Non so se la salvezza possa essere il “grande” obiettivo di questa stagione, però è il nostro obiettivo. Ritengo che questa rosa sia in grado di farcela. Se ce la faremo in tranquillità sarà sì un “grande” risultato. Se lo faremo soffrendo, cosa che penso possa succedere, sarà normale. Ricordo sempre che a Firenze nel 2005, con Miccoli, Pazzini e Chiellini, ci salvammo all’ultima giornata battendo in casa il Brescia».
La formula alchemica “solve et coagula”.
«Sì, l’ho letta, l’ho approfondita, mi piace. Per certi versi andrebbe bene anche ora alla Samp. La dissolvenza delle forzature, degli stati negativi del corpo. La rigenerazione di se stessi. Nella vita a volte si dà importanza a cose che non meritano».
Ciro Ferrara.
«Se parliamo del professionista, è il mio allenatore e punto. Se parliamo di amicizia, lo conosco dal 2000. Lui era proprio uno di quelli che alla Juve guardavo come si allacciava le scarpe. Da allora a prima che arrivassi alla Samp non ci siamo mai persi. I nostri contatti sono rimasti frequenti. Certo condividere in un ruolo diverso questo periodo è stato difficile emotivamente. Lui poi è uno che soffre, ha sempre sofferto le situazioni più del dovuto. Gli succedeva da giocatore e gli succede ancora oggi. È un grandissimo professionista. Lo è sempre stato. Racconto un episodio, un giorno dovevamo giocare a Bologna con la Juve e l’allenatore gli preferì un giovane (Lavecchia, ndr). Lui venne da me a chiedermi com’era questo giovane, se poteva fare bene, ma sinceramente. Non per “invidia”. Era un perfezionista, curava i dettagli. Certo, ora lui è un giovane allenatore, per carità. Però qualità umane e tecniche non si sono modificate».
Ferrarese e Pagliuca.
«Che flash. Claudio Ferrarese, giocava con me nel Piacenza. Nel 2003 ho segnato un gol con la maglia del Piacenza al Bologna,vincemmo3-1 e in porta c’era Pagliuca. Ferrarese mi sostituì nel finale?Non mi ricordavo. Sarebbe bello che quando segni una volta a una squadra, poi ti ripeti ogni volta che la incontri. Non è così. Domenica ci attende una partita durissima, per mille motivi».
Gazzoni Frascara.
«Domenica sarò un ex. Lui è stato il mio presidente nella stagione di prestito al Bologna. Personalmente posso solo che parlarne bene, anche se poi è stato coinvolto in delle cose che sinceramente non ho capito tanto. Certo era diverso dai Garrone.Il presidente Riccardo l’ho visto due o tre volte e mi ha sempre trasmesso una speciale “tenerezza”. Non so, mi veniva voglia di abbracciarlo. Edoardo invece lo vedo molto più spesso. Ho apprezzato il fatto che non ci abbia mai fatto mancare il suo appoggio in questo periodo difficile. Lui anzi ci ha trasmesso serenità. Perché in questi momenti le squadre sono instabili e se si accorgono di avere intorno a loro anche dirigenti instabili è un guaio. Non è successo. La proprietà non ha perso la tranquillità».
Ha cinque tatuaggi. La Samp potrebbe ispirarle il sesto?
«Non so…il primo è di tanti anni fa, la frase “non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta”. Poi c’è quello dedicato al mio compagno del Siviglia e amico Antonio Puerta, scomparso nel 2007. Il numero 16, minuto in cui è morto, e la scritta per sempre».
La sedicesima domanda è un altro numero, 022090. Quello del suo cartellino alla Neugeburt.
«La mia società a Pontecagnano. Lo tiene mio padre nel portafoglio. Tutta la mia storia è partita da lì. Avevo undici anni .Ora ne ho 32emipreparo per giocare una partita decisiva per la mia squadra. In serie A, contro il Bologna».