2012
Roma, Pjanic: “Dalla guerra alla Champions, la mia storia”
ROMA PJANIC – Un’infanzia tormentata per sfuggire alla guerra: anni dopo Miralem Pjanic è uno dei talenti più importanti nel panorama calcistico internazionale. Arrivato l’anno scorso alla Roma, il giocatore bosniaco si è raccontato a Sky Sport, “I Signori del Calcio”.
Gli inizi tormentati, per Miralem, sono in Bosnia: “Quando ero bambino siamo partiti presto dalla Bosnia, c’era la guerra che cominciava e mio padre ha avuto l’idea di andarcene in Lussemburgo nel ’91. Mio padre giocava a calcio ed avevamo i documenti per spostarci là. Era un momento molto difficile per la mia famiglia, io ero molto piccolo e mi ricordo poco, ma era per loro molto ostico. Hanno lasciato la loro famiglia per iniziare tutto da capo, non era facile. Mio padre giocava in una squadra locale ed io andavo con mio padre spesso al campo, lo guardavo allenarsi ed ho avuto al voglia di cominciare anch’io. Avevo cinque anni, ho iniziato molto presto grazie a mio padre, che seguivo sempre. Il calcio per me in quel momento era fondamentale, molto importante. In Lussemburgo si apprendono 4-5 lingue e tutto viene poi più facile. Io anno scorso non parlavo l’italiano quando sono arrivato qua, ma l’ho appreso, non è stato difficile per me, ed ora mi fa piacere sapere questa lingua“.
Gli inizi di carriera sono a Metz: “Ho scelto il Metz a 14 anni. Ho lasciato la mia casa in Lussemburgo e l’inizio non era facile. Non sapevo come stare da solo, non parlavo benissimo la lingua, ma appena ho fatto 2-3 amici ed abbiamo iniziato a vincere le partite, è diventato tutto più facile. Ancora oggi i miei migliori amici sono a Metz. Io sono un giocatore che vuole sempre dare il massimo di sé stesso sul campo e guardare sempre come la squadra gioca ed aiutare come possibile. Voglio sempre fare meglio: analizzo le cose negative per progredire e migliorare, per essere ancora più forte. Sono anche uno abbastanza alla mano ed onesto, tranquillo, guardo sempre prima la squadra: se la squadra gioca bene, vuol dire che anche io faccio il mio. Sono sicuramente più tecnico che uno che corre tanto, amo avere la palla tra i piedi, voglio toccare sempre tanti palloni in mezzo al campo. In una squadra dove si gioca, mi diverto. Io non ho giocato sempre trequartista, sin da piccolo, ma da professionista ho giocato in tutti i ruoli del centrocampo; non importa tanto la posizione. A calcio si gioca come squadra, siamo in undici, anche se ci sono giocatori che fanno la differenza. Alla roma, ad esempio, abbiamo tanti giocatori che possono fare un bel gioco, non voglio fare nomi, ma sappiamo che abbiamo attaccanti abili che vanno spesso in gol. Se dico questo, vuol dire che anche dietro abbiamo giocatori importanti, che non rendono facile la vita agli avversari. Siamo una bella squadra, che fa molto bene, ma che penso possa fare molto di più“.
Tornando agli inizi: “Quando ero piccolo mi chiamavano sempre ‘Mire’ perché veniva male dire Miralem. In Bosnia mi chiamano anche ‘Piccolo Principe’, ma ‘Mire’ è quello che viene più facile. Il Lione? Sono andato in una grande squadra dove giocavano Juninho e Benzema, Pjanic era solamente un altro nome là. Venivo da una stagione da professionista al Metz e ancora non molti mi conoscevano. La rete all’Anderlecht? Ho fatto gol e sono molto contento che abbiamo vinto per 1-0, non mi dimenticherò mai questo gol, il mio primo in Champions è stato molto importante. Quello al Real Madrid? È stato il gol più grande che ho fatto. Abbiamo vinto 1-0 l’andata a Lione e poi abbiamo pareggiato 1-1 al Bernabeu. Era una partita molto difficile, loro ti mettono una pressione incredibile in casa. Abbiamo fatto molto bene, abbiamo avuto qualche occasione ed al 75′ circa è arrivato questo gol incredibile che mi ha fatto pensare subito alla mia famiglia ed a mio padre che era allo stadio. È stato un momento davvero molto incredibile“.
Sugli idoli, Pjanic rivela: “Kakà è un giocatore molto, molto forte. Uno dei più forti nel suo ruolo. Non mi piace tanto paragonarmi ad un altro giocatore, ho forse qualche giocate simili a lui per il suo modo di giocare a calcio, ma a me piace fare il mio e stare tranquillo. Non voglio paragonarmi ad un altro, soprattutto ad un grande come Kakà, è ancora presto. L’idolo mio è un po’ Zidane, ma oggi guardo con attenzione Xavi del Barcellona. Il suo gioco mi piace tanto: gli piace giocare con la palla, detta i tempi e segna anche qualche gol, mi piace molto. È uno che gioca con le sue caratteristiche e fa molto bene. Prende in mano la squadra con la palla tra i piedi e detta un passaggio che nessun altro vede; un giocatore che può sempre decidere una partita. Zidane è invece un numero uno in assoluto: la facilità che dimostrava in televisione non è facile da replicare, faceva sempre tutto con un’eleganza incredibile. Anche fuori dal campo penso sia una persona molto umile, tranquilla e normale; mi piace questa sua personalità. L’ho visto una volta, non potevo parlare con lui, ma il mio sogno è poterlo fare”.
Alla Roma, quindi: “Quando ho visto che Luis Enrique e la società mi volevano assolutamente, ho capito subito che era la squadra giusta per me, era il momento giusto per partire e sono molto contento di essere qua, in una grande società italiana che si gioca sempre i primi posti in classifica. Spero di poter aiutare il club a tornare in Champions il prima possibile. Luis Enrique è stato uno degli allenatori che mi ha aiutato di più ed insegnato di più di calcio; aveva idee diverse dagli altri allenatori che ho avuto, giocava un calcio diverso. Mi è piaciuto lavorare con lui, per me è stato un anno molto positivo perché ho appreso tanto, sia dentro che fuori dal campo e come comportarmi durante la settimana. Anche gli altri vi diranno al stessa cosa, che è una persona molto ligia che pensa sempre al meglio per te. È un allenatore molto bravo e buono“.
E il rapporto con Totti? Chi tira le punizioni? “Parliamo, non è che non mi fa tirare. Tutti sappiamo che Totti calcia veramente bene, può sempre fare gol, ha un piede raro. Qualche volta calcia lui, qualche volta calcio anch’io. Dipende. A Lione ho imparato tanto da Juninho, che mi ha aiutato molto anche sotto questo profilo. È un grande giocatore che mi ha aiutato a comportarmi professionalmente. Quando sono arrivato a Lione avevo 18 anni, era il mio secondo anno tra i professionisti. Quando ho visto come si allenava, con che professionalità, e quanto ha vinto al Lione, mi ha dato un’idea, ed ora io proseguo per fare del mio meglio. Penso sia il miglior tiratore delle punizioni, in Italia abbiamo Pirlo che le calcia molto bene, ma Juninho è ad un livello unico. Ovvio, l‘assist mi fa tanto piacere, ma quando posso fare gol voglio sicuramente segnare, perchè sono emozioni diverse rispetto ad un assist. Quando fai gol è tutta un’altra sensazione“.
Su Zeman, questa l’opinione del bosniaco: “Zeman è arrivato quest’anno, lo conosciamo già da qualche mese ora. È un bravo allenatore che vuole il progresso. Lavoriamo tanto e sono sicuro che potrò crescere anche con lui. Abbiamo un modulo diverso rispetto allo scorso anno, dobbiamo muoverci in avanti e lui chiede al centrocampo di fare sovrapposizioni e di stare avanti negli ultimi sedici metri, chiede gol ed assist. È un allenatore al quale mi devo adattare, ma mi sento molto bene con lui alla guida. Quando uno lo conosce sembra un po’ chiuso, ma non è così: scherza e parla con i giocatori, è un po’ diverso rispetto a Luis Enrique, ma è un allenatore che si apre molto in privato. Io penso a fare il massimo in allenamento ed in partita, a prescindere dall’allenatore. Lui ha un passato dove ha cresciuto tanti giovani, ma questo dipende sempre e solo da me: io faccio il mio, in ogni allenamento, fuori dal campo ed in campionato quando gioco. Voglio essere sempre più forte e giocare sempre meglio. Il mio sogno è di far crescere la Roma, di stare bene qua, di provare ad essere tra le prime tre in campionato con la Roma. Vorrei giocare i Mondiali e gli Europei con la Bosnia, ritrovare la Champions con la Roma. Ho giocato questa competizione per tre anni col Lione, mi manca: questo è vero“.
Capitolo finale, dedicato ovviamente alla propria nazionale: “Quando ero piccolo, a 13 o 14 anni, ho fatto un viaggio di venti ore in pullman dal Lussemburgo fino alla Bosnia per vedere una partita della nazionale. Quando sono stato allo stadio, il mio sogno era diventato quello di indossare questa maglia per me ed anche per la gente“.