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2013

Il caso – Allenatori e paradossi, da Conte a Stramaccioni

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il caso piccolo

Italia, patria di poeti, navigatori, evasori e… Allenatori. Non si discute: i nostri sono i tecnici migliori, quelli che più sanno di football e delle sue innumerevoli, sottili, pericolose sfaccettature. Da Fabio Capello a Marcello Lippi; da Carlo Ancelotti a Roberto Mancini, passando per Luciano Spalletti; da Massimiliano Allegri ad Antonio Conte, gli ultimi due vincitori dello Scudetto.

Poi ci sono quelli di primo pelo, con poca o nessuna gavetta alle spalle: Vincenzo Montella ed Andrea Stramaccioni, ad esempio. Difficile portare qualcosa di veramente innovativo in un gioco così diffuso e che ha più di un secolo abbondante di vita.

Così, il buon allenatore è colui che commette il minor numero possibile di errori tecnico-tattici e, soprattutto, sa trarre il massimo dai suoi giocatori, siano essi brocchi da campagna o purosangue da gran galà. Le formule, i moduli, sono sempre gli stessi, più o meno rimescolati e rilucidati grazie a contaminazioni tattiche anch’esse non infinite. Poi ci sono gli accorgimenti, quelli che ti permettono di rendere personale un 4-4-2 o un 3-5-2 e che possono cambiare il volto di una squadra. Antonio Conte ad esempio, è passato da un 4-2-4 in bilico tra presunzione ed imprudenza, ad un ben più solido ed umile 3-5-2. Umiltà, per l’appunto. La qualità prima che un allenatore dovrebbe possedere ma che spesso muore soffocata dal prestigio dell’incarico raggiunto.

Lo juventino ha avuto la capacità di abbracciarla, abbandonando formule allettanti che ad altri (ricordate Gigi Maifredi a Torino?) hanno scavato prematuramente la fossa. Ha vinto uno Scudetto da imbattuto, stupendo l’Europa con un gioco offensivo ma equilibrato. Lui e Jürgen Klopp, campione di Germania con i gialloneri di Dortmund, altra fresca ventata di calcio d’attacco. Due tecnici che hanno fatto gavetta: Arezzo, Bari, Bergamo e Siena per il primo, sette anni a Magonza per il secondo. I risultati si vedono. Ma non per tutti.

Se infatti Klopp si è ritagliato un significativo ottavo posto nella classifica dei migliori allenatori del 2012 stilata dall’illustre Iffhs, incastonato tra mostri sacri quali Ferguson e Bielsa, Conte non ha trovato un buco nemmeno dopo la decima piazza, occupato da carneadi quali Hossam El-Badry, tecnico del Al-Ahly Sc Cairo, o Manuel Vucetich del CF Monterrey. L’allenatore campione d’Italia da imbattuto, non è degno di occupare neppure una delle 14 posizioni della prestigiosa classifica e nessuno che dalle parti della Figc gridi allo scandalo. Sì perché la cosa rappresenta l’ennesimo, implicito pugno rifilato allo stomaco del calcio italiano e al suo ormai decaduto prestigio di cui il buon Giancarlo Abete evita di curarsi.

Sappiamo perché Conte non figura nella top 14 dell’Iffhs, lo sa anche Abete e forse è per questo che, come da pedigree, tace pacioso nel suo ventre di vacca, facendo finta di niente. La giustizia sportiva, meglio, quello che distortamente essa rappresenta, ha insozzato l’immagine del calcio italiano e quella del suo allenatore al momento numero uno. Nessuno però se ne cura perché conta altro.

Conta ad esempio piombare su una delle panchine più prestigiose dello “Stivale” da perfetto carneade, dopo aver sbucciato zero patate e lisciato appena il pelo ad una volenterosa truppa di pulcini. Così Andrea Stramaccioni, a lungo celebrato quale volto nuovo ed entusiasmante del football nostrano, prosegue serafico nella sua avventura interista. Ai proclami del dopo “Juventus Stadium” e ai pugni battuti sul tavolo da vincitore, sono seguite sconfitte in serie, conseguenza di arrogante presunzione che ad un collega con più esperienza e meno appeal mai sarebbe stata perdonata. Lui però continua imperterrito ad inanellare errori da immodesto e batoste clamorose (l’ultima ad Udine), sbagliando formazioni e cambi con la stessa scioltezza con la quale chi lo guarda dall’alto della classifica ha vinto lo scorso torneo.

Paradosso dei paradossi, un imbattuto e campione nazionale, emarginato e discusso; un vincitore di nulla, ultimo arrivato alla festa del paese, che già se ne va in giro sulla decappottabile. Questa è l’Italia, patria di poeti, navigatori, evasori e… Allenatori. Più o meno meritevoli dell’incarico che occupano.

“Quando sento parlare di immagine, penso immediatamente a certi bei limoni che poi, al momento dell’apertura, sono completamente senza sugo”

(Giovanni Trapattoni)

 


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