Chi visse sperando, morì al Nou Camp - Calcio News 24
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2013

Chi visse sperando, morì al Nou Camp

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PROFONDO ROSSONERO – La speranza è la più grande illusione esistente da quando l’uomo inventò il calcio. Da quel momento in poi Davide quasi mai ha avuto la meglio su Golia e se lo ha fatto è stata solamente la proverbiale eccezione che confermava la regola. Milioni di tifosi da anni ormai girano gli stadi di tutto il mondo invocando la cabala e ripetendosi il mantra “Stavolta dobbiamo vincere noi, è la volta buona“. Tutto inutile, non è mai la volta buona. O almeno non lo è finché si gioca contro un Barcellona come quello di ieri sera. Per quei tre o quattro che vivino a Tristan Da Cunha è bene ripetere che non solo gli azulgrana sono da anni la squadra più forte del mondo, bensì ieri sera hanno strapazzato il Milan irretendolo con un gioco che raramente si è visto al di fuori del mondo onirico. Quattro a zero e tutti a casa, gioco partita incontro e remuntada a favore del Barca e rossoneri con la coda fra le gambe, ancora lì a chiedersi perché esistono le gare di ritorno.

MI RITORNI IN MENTE – Qui è bene aprire una parentesi storiografica sull’incapacità del Milan di riuscire a gestire il risultato nelle doppie sfide europee. Si parte da un lontano 1996 quando il Bordeaux di Dugarry – chi se lo ricorda molto probabilmente in vita sua ha seguito anche qualche di Intertoto, calcio vintage – recuperò due gol a Weah e soci, poi si passa alla doppia finale di Coppa Italia del 1997-98 con la Lazio e a tempi un po’ più recenti con la debacle di La Coruna, l’eliminazione con il Werder Brema in Coppa Uefa e il quasi tracollo dello scorso anno all’Emirates. E poi lo zenith della sconfitta, Istanbul, un nome che evoca fantasmi nei tifosi milanisti ma che ha anche avuto un merito: i tifosi possono assistere a cuor leggero a cotante sconfitte, nessuna sarà mai come quella col Liverpool. Tornando ai giorni nostri, il due a zero di San Siro aveva messo in mostra tutta la capacità tattica di Allegri e la tecnica sbarazzina e guascona dei talenti rossoneri anni ’90 e straordinariamente era riuscita ad aprire uno spiraglio per i quarti di finale. Ma ve lo immaginate? Il Barcellona fuori agli ottavi, una cosa che non si sarebbe auspicato nemmeno Mourinho. E infatti. E infatti zitti e mosca, quattro a zero.

FINCHE IL BARCA VA – Sono bastati cinque minuti ai blaugrana per far vedere che Messi non è solo un ottimo rigorista ma si merita qualche pallone d’oro; dopo, la serata di sofferenza che si erano prefissati i tifosi del Diavolo è diventata più che altro una sessione di muretto, il Barca si è limitato a dominare la partita senza far pesare troppo la provenienza da un mondo lontano e ancora inesplorato e in un tempo e qualcosa ha chiuso la pratica. E il Milan? Il Milan ha sfiorato il gol una e una volta sola, quando Mbaye Niang – 18 anni e finora una sola rete, alla Reggina tra l’altro – ha timbrato il palo a tu per tu con Valdes, un tiro che forse avrebbe potuto cambiare la partita ma tant’è. Sintomatica della serataccia rossonera è stata la punizione battuta da Robinho al 92′: il brasiliano ha incitato tutta la squadra a salire e poi, per far vedere che si merita il MIT di Boston, l’ha data corta a Muntari sbagliando il passaggio e innescando il 4-0 di Alba in contropiede. Si dirà degli errori di Allegri, e effettivamente ce ne sono stati, ma questo Barcellona era troppo. I blaugrana non corrono perché quel lavoro spetta al pallone, hanno una padronanza del gioco indefinibile e soprattutto, tenendo la squadra corta, pressano e recuperano palloni come Dio comanda. Insomma, una squadra da sindrome di Stendhal.

POKER D’ASINI – Impossibile dunque che gente come Constant o Zapata potesse fermare l’onda d’urto catalana, i due difensori sono stati tra i peggiori e hanno sbagliato qualsiasi cosa, addentrandosi addirittura in dribbling rischiosissimi al limite della propria area: un po’ come se Alvaro Vitali andasse a casa di Robert De Niro per dargli una consulenza sul prossimo film da interpretare. Per battere questo Barca (o almeno perderci uno a zero…) serviva un Milan formato Inter, bisognava ripetere le eroiche gesta nerazzurre del 2010 quando gli apostoli di Mourinho issarono un muro al Camp Nou a difesa della propria porta. Si dirà “Sì ma così è anti-calcio, andare a Barcellona per fare catenaccio è controproducente ecc.” ma se vedete le uniche due squadre che ci hanno provato realmente, la suddetta Inter e le versioni Hiddink e Di Matteo del Chelsea, sono le uniche a non essere uscite con le ossa rotte. E’ un peccato per il calcio italiano, avere anche il Milan a Nyon non sarebbe stato male per il ranking, fatto sta che adesso solo la Juventus dovrà far garrire il vessillo delle italiche gesta, qualsiasi cosa voglia dire questa affermazione. Adesso i rossoneri devono ripartire dagli errori e anche da quanto di buono fatto a San Siro perché dominare il Barca per novanta minuti su centottanta non è da tutti, anche se poi al ritorno i fruttivendoli catalani hanno regalato quattro pere agli ospiti milanesi. D’altronde poteva pure andare peggio. Poteva piovere.

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