2014
Inter, Angelomario Moratti: «Tempi cambiati: ora niente scudetto»
Mao: «Champions? Possiamo farcela, altrimenti non sarà una condanna per nessuno».
INTER MORATTI – Non parla molto pubblicamente Angelomario Moratti, simbolo di continuità societaria della sua famiglia nell’Inter, ma quando lo fa è sempre a cuore aperto. Il vicepresidente nerazzurro ha innanzitutto raccontato il legame tra la sua famiglia ed il club meneghino: «Sa quando per la prima volta mio padre mi disse “Se capiamo che vendere è la soluzione migliore, dobbiamo pensarci”? Credo fosse il 1996, appena un anno dopo essere tornati proprietari. La sua filosofia non è mai cambiata: una porta sempre aperta, mai un senso di proprietà totale dell’Inter. Non possesso, semmai responsabilità. Troppa responsabilità per la nuova proprietà? Sicuramente la stessa che ha portato mio padre a ritenere che il suo mecenatismo senza alcun ritorno, sia a livello di investimenti che di immagine, fosse una formula ormai inattuale. Di più: in prospettiva, addirittura pericolosa per la società stessa. La prima a rischiare di rimetterci, quando la famiglia per qualunque ragione avesse deciso di smettere di investire», ha dichiarato il figlio del presidente onorario ai microfoni de “La Gazzetta dello Sport”.
TRATTATIVA – Angelomario Moratti ha poi parlato dal suo punto di vista della trattativa per la cessione dell’Inter: «Ero stato troppo coinvolto in quella scelta per poter sentire un colpo al cuore: al di là dei dispiaceri personali, davanti a tutto c’è sempre stato il meglio per l’Inter. Scegliere un modello radicalmente diverso poteva essere un cambiamento realizzabile anche al nostro interno, ma si sarebbe dovuta cambiare la natura della nostra natura: il fatto di essere così interisti, tifosi in maniera così viscerale, di fatto non avrebbe invece permesso i cambiamenti necessari. Per questo trovo che mio padre abbia dato prova di grande intelligenza, oltre che di amore per l’Inter. Blitz del 25 luglio? Non fu un incontro riparatorio, ma chiarificatore: importante, non così decisivo. I momenti chiave della trattativa sono stati altri: il primo faccia a faccia con tutti i soci; l’incontro di Parigi, quando abbiamo capito davvero di aver scelto la strada giusta e le persone giuste; e poi, personalmente, un viaggio in macchina io e Thohir da soli, da Milano a Imbersago, a parlare delle nostre “vision” sull’Inter del futuro, scoprendoci più vicini di quanto forse immaginassimo».
CALCIO ITALIANO – “Mao”, come è soprannominato il figlio di Massimo Moratti, è poi passato alla crisi del calcio italiano: «Quella del calcio italiano non è una semplice decadenza, è una crisi profonda: il tonfo c’è già stato ed è molto difficile per chiunque aver voglia di scommettere su un mondo che non ha saputo dare garanzie. Aggrapparsi ai modelli passati sarebbe irresponsabile: vale per dirigenti, media, tifosi; viceversa, creare un diverso modello di efficienza è l’unica strada. Che comporta rischi e sacrifici: ad esempio dover fare i conti con tempi diversi rispetto a quelli a cui si era abituati fino a qualche anno fa».
SINERGIE – Moratti jr ha poi proseguito concentrandosi sul rapporto con la nuova proprietà: «Non sarebbe inconcepibile pensare di uscire dall’Inter, ma Thohir e i suoi soci ci chiedono esattamente il contrario e quello che sentiamo al momento, al di là di quote, clausole o possibilità di veto esistenti, è una grande sintonia, oltre che un grande senso di responsabilità. E difficilmente potrebbe essere il contrario: ovunque si entri, all’Inter si respira ancora la presenza della mia famiglia. Se è mai stato possibile un Moratti presidente? E’ stato chiesto ad entrambi, ma la risposta è sempre stata no, da subito. Era anche una questione di chiarezza verso l’esterno che uno di loro ricoprisse quella carica: per avere, anzi vivere, ancora di più la responsabilità di investire nell’Inter. Per come è impostata adesso l’Inter, saremmo in difficoltà gli uni senza gli altri. La differenza sta soprattutto nel vissuto: il valore aggiunto di Thohir può consistere proprio nel suo essere “altro” rispetto a quel passato, così da poterlo affrontare e vivere con più lucidità».
RIVOLUZIONE – Sul lavoro, invece, da svolgere: «Ci saranno tempi dovuti – e potranno anche essere diversi in base ai ruoli e alle competenze – per verificare chi lavora all’Inter: nessuno sarà giudicato a priori, ma solo attraverso il suo lavoro, appunto. Stadio? Sono dieci anni che ci lavoriamo e abbiamo già degli studi pronti, ma questo è il momento di aspettare: di assestarsi, vedendo come migliorare San Siro. Però resto dell’idea che l’Inter debba avere una sua casa, che il tifoso debba entrare allo stadio come se fosse casa sua e che la casa dell’Inter difficilmente possa essere San Siro risistemato: è una struttura poco rinnovabile e sarebbe comunque da condividere. Anche in questo c’è stata sintonia con Thohir: non è una priorità immediata, tutto andrà fatto con i tempi giusti».
THOHIR E MAZZARRI – Angelomario Moratti ha poi descritto Thohir e Mazzarri: «Aggettivi per Thohir? Me ne vengono in mente quattro: entusiasta, umile, rispettoso e lavoratore. Si spende tantissimo per capire, soprattutto le cose che conosce meno: ci si butta proprio a capofitto, per colmare i suoi vuoti. Ma si può essere stakanovisti anche in punta di piedi, per questo la sua filosofia, più che parola d’ordine, è quella che abbiamo scelto insieme: evolversi rispettando il passato. Derby? Era decisamente felice e non c’era bisogno che me lo dicesse: si vedeva. Mazzarri? Quello che ci ha convinto a progettare con lui un ciclo che possa durare il più a lungo possibile: il fatto che sia così totalmente focalizzato su quello che fa. Quasi troppo: a volte dovrebbe riuscire a rilassarsi di più. L’avete mai visto quanto fuma e come fuma dopo le partite?».
OBIETTIVI – Idee chiare sugli obiettivi da perseguire: «Rispetto a qualche anno fa, l’obiettivo è essere competitivi senza dover pensare per forza allo scudetto. Però parlare di anno zero può essere fuorviante: puntare in alto è un dovere, anche per motivare nel modo giusto la squadra, e sono sicuro che lui lo faccia. Ma è un dovere anche parlare chiaramente ai tifosi: l’aspettativa è tornare ai nostri livelli, ma con tempi e una progettualità diversa, che dunque abbia uno sviluppo negli anni e non a breve termine. E per esigere pazienza, bisogna comunicare in modo chiaro: questo è quello che ha chiesto Mazzarri. Champions? Ce la possiamo fare: l’Inter deve volare alto. Fondamentale è averla come aspirazione, ed è un’aspirazione legittima: se poi, ma solo poi, non dovessimo arrivarci, non sarà una condanna per nessuno».
CALCIOMERCATO – Dribbling, infine, ai temi di calciomercato: «Rispondo come mio padre, o lo stesso Thohir: per il mercato rispondono gli uomini mercato, e vale anche per Lavezzi, Lamela e tutti quelli di cui si parla in questi giorni. Io Guarin lo vedo come un potenziale grande giocatore, che deve capire la responsabilità di caricarsi i compagni sulle spalle, come ha fatto a Napoli e nel derby. Sono felice che Alvarez inizi ad esprimere parte delle sue potenzialità: mi piacciono i giocatori di talento e lui ha sempre continuato a dare il massimo anche in un ambiente che lo ha avversato molto. Di migliorabile c’è la classifica: di quei 4-5 punti di cui ha parlato anche Mazzarri. Io dietro la scelta di prendere Alvarez? Leggenda. Non ho mai dato suggerimenti, né pareri determinanti, sul mercato: non mi sarei mai permesso».