2014
Björn Borg, made in Sweden
Un primo avvertimento.
Se di Borg vi interessano solo gli aspetti tecnici, le questioni tattiche, o le analisi del suo palmarès, questo articolo non fa per voi. Non leggete oltre perché troverete pochissimo tennis giocato.
Oggi infatti racconterò qualcosa di diverso, di più generale; racconterò uno strano fenomeno accaduto a metà degli anni ’70: l’irruzione della Svezia nelle vite degli italiani (e non solo degli italiani).
E qui devo fare un secondo avvertimento: non sono un sociologo, non possiedo la preparazione accademica né la disponibilità di dati e notizie per costruire sull’argomento ragionamenti scientifici.
Mi baserò in gran parte su ricordi personali, e se il tutto vi sembrerà un discorso a livello di scompartimento di treno, beh, se non altro posso dire di avervi avvisato.
Detto questo, cominciamo con la Svezia.
In quegli anni frequentavo le scuole dell’obbligo e direi che le mie conoscenze potevano essere simili a quelle di un Italiano medio.
Allora l’Ikea doveva ancora arrivare, e prima che Borg cominciasse a vincere, per l’Italiano medio la Svezia a lui contemporanea significava soprattutto due cose: le svedesi e i suicidi.
Le donne svedesi erano le mitiche impersonificazioni del sesso libero: la Svezia era terra di emancipazione sessuale. E però la percentuale di suicidi della popolazione era la più alta del mondo.
Che tutto questo fosse sicuramente vero, non importa: era quello che si diceva in Italia.
Per qualche inspiegabile ragione, quelli erano i due temi che avevano fatto presa nella mente dell’Italiano medio.
E qualcuno provava anche a collegare i due argomenti, con un ardito ragionamento di questo tipo: in Svezia c’è maggior libertà sessuale, ma questo non è detto che sia meglio, anzi, la promiscuità genera più infelicità (e suicidi).
Poi magari al referendum sul divorzio (1974) quel qualcuno suggeriva anche di votare contro, e così capivi che forse cercare di mettere insieme le due cose non era un ragionamento del tutto disinteressato.
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