2014
La falange oplitica
La Grecia del 2004
Una cosa che mi ha sempre affascinato del calcio, e non credo d’esser l’unico, guardando le partite delle Nazionali, in occasioni come i Mondiali o gli Europei, è la rilevazione di una certa connessione tra il gioco espresso da alcune squadre e il carattere, il temperamento, come direbbe Hegel lo “spirito” dei popoli da loro rappresentati .
Gli africani esprimono tradizionalmente un gioco fondato sulla corsa e la forza muscolare, ma forse poco organizzato e concreto. La Nazionale tedesca lascia sempre poco spazio alla fantasia dei trequartisti, ma imposta tattiche e schemi molto rigorosi, quasi fosse un esercito. L’Olanda, Nazione dove la società è notoriamente caratterizzata da un senso civico, ahimè, atipico in Paesi come il nostro, e con espressioni di grande libertà e anticonformismo, come l’erba libera e le donne in vetrina, si esprime in un calcio solido e spumeggiante all’inizio, ma che crolla sistematicamente di fronte alle prime difficoltà, facendo della sua rappresentativa quella, credo, più inespressa della storia del calcio. I sudamericani, brasiliani e argentini su tutti, non sembrano giocare soltanto col pallone, ma danzare la samba, il flamenco o il tango contemporaneamente.
In questi giorni, preparando all’ultimo l’esame di storia greca, che mi permetterà tra 40 anni, nella più rosea delle speranze dato lo stato attuale della burocrazia italiana, di insegnare la storia e la filosofia nei licei, ho notato un’altra insolita affinità sulla falsariga di quelle succitate.
La Grecia è un Paese mediterraneo, non latino. Tendenzialmente il gioco delle squadre mediterranee è fondato sulla corsa e il contropiede. Pensiamo alle Nazionali nordafricane, Algeria, Marocco, Tunisia, ma anche alla Turchia o alla stessa Italia e alla Spagna, per lo meno prima del tiki-taka catalano. Dunque l’attesa in difesa, il recupero del pallone e la ripartenza fulminea.
Nella Grecia di Otto Rehhagel che vinse lo storico europeo del 2004, in realtà, non c’è nulla di tutto questo. Vi è certamente un’attenzione cruciale alla fase difensiva che permette alla Nazionale ellenica di non subire nemmeno un gol durante tutta la fase finale post-girone del torneo, ma manca completamente il contropiede. Quello che i Greci cercano, o addirittura sperano, è il gol da calcio da fermo, quello forse casuale che deriva da un corner o da una punizione.
Io in tutto questo vedo le colonne del tempio, il timore dell’uomo greco antico di fronte al divino, l’attenzione a non commettere mai il peccato di ubris. Il gioco della Grecia del 2004 è la naturale trasposizione calcistica della vecchia falange oplitica, unita e compatta in attesa di infliggere il colpo mortale, come a Maratona nel 490 a.C. contro Artaferne ed Ippia, come nel a Platea nel 479 a.C. contro Mardonio, come nel 2004 d.C. a Lisbona contro Rui Costa e Cristiano Ronaldo.