2016
Domande di mezza estate: il mercato un anno fa
365 giorni ed è tutto un altro mondo (a parte Ibra)
La mattina del 10 agosto l’Italia che si interessa al pallone si risveglia così. Con 7 domande 7, vergate su carta rosa, dal contenuto inequivocabile e anche piuttosto pressante. Perchè Berlusconi ha ripreso a investire? Thohir come si permette tutti questi acquisti? Come mai Agnelli non fa follie per le star? Perché la Roma colleziona colpi su colpi? De Laurentiis come riesce a trattenere Higuain? Perché Lotito non infiamma la piazza con qualche botto? E infine: ma sono davvero scomparsi i mecenati?
Prima di pensare che quel che state leggendo appartenga a un misero esempio di volgare fantascienza (che invece è genere finalmente nobilitato da anni, nel cinema come nella letteratura). Prima di ritenere l’autore del tutto impazzito. Prima di tutto questo e ogni altro pensiero che vi sta attraversando la mente, è bene precisare: la mattina del famoso 10 agosto è quella del 2015. Sì, giusto un anno fa. Ed è una di quelle circostanze che fa pensare come il calcio sia davvero fantastico perché è il contrario del Gattopardo, almeno quando si ha a che fare con la compravendita dei giocatori o con le voci collegate (altrimenti detti “rumors”, fa chic e non tanto impegna). Qui davvero tutto cambia, forse persino troppo, c’è da farsi venire il mal di testa per come non c’è cosa – o quasi – che non si sia trasformata e talvolta pure nel suo contrario. Per rispondere alle 7 questioni che bene La Gazzetta dello Sport individuava come elementi orientanti per la bella stagione, non c’è che l’imbarazzo della scelta nella scala delle sorprese. Il Berlusconi che gettava (buttava?) milioni si Bertolacci e Romagnoli ha venduto ai cinesi e per di più non a quelli che si pensava (era il tempo di mr.Bee, baby, ricordi?) e neanche a quelli dopo. Thohir si permetteva tanti acquisti e Mancini sembrava alquanto contento, esattamente il contrario di oggi: calma piatta sul fronte nerazzurro e il buon Roberto a sbattere la porta, anche se dice con serenità (la vera vittima della vicenda è Antonio Conte. Nessuno si ricorderà più del suo addio a inizio ritiro, dopo questo che è quasi record anche per come è stata la lunga cronaca di una separazione annunciata). L’Agnelli che non faceva follie per la star ha nientemeno che messo a segno due colpi che rappresentano il massimo della storia dei mercati italiani e di quelli mondiali: Higuain in entrata, Pogba in uscita, anche se non è questo il saldo da valutare, né sotto il profilo tecnico, né in quello economico. Ciò che conterà sarà – come sempre – la risposta sul campo, la raccolta di trofei (in Italia) e il cominciare a dimostrarsi grandi in Europa (che significa: comportarsi come tali già dal girone, il resto sarà una conseguenza). La Roma collezionava colpi su colpi, c’era Garcia ed era la dichiarata anti-Juve (anzi, quando alla seconda giornata la superò con una prova vibrante e un Dzeko da sogno sembrò direttamente passare dal ruolo di favorita ed era un parere del tutto condivisibile): oggi Spalletti non fa voli pindarici, ma neanche nasconde ambizioni di una stagione all’altezza dell’organico e delle idee che lo accompagnano. De Laurentiis riusciva a trattenere il Pipita ed è storia invecchiata brutalmente e male, così velocemente che la vera questione sarà verificare il grado di consenso del patron a inizio campionato, dopo tanto melodramma non propriamente educato di questi ultimi tempi. Unica certezza, a unire i lembi del tempo, arriva da Lotito, che la piazza non la infiamma con i colpi di mercato né ieri né oggi, ma forse il rapporto è così logorato con la sua gente (e non tutti i torti sono da una sola parte) che neanche il positivo ingresso di Immobile smuove più di tanto i cuori.
Quanto ai mecenati, sono finiti da un pezzo. E se con quel termine si intende la nostalgia del morattismo, corrente gazzettara mai sopita, sarebbe bene non raccontarsi balle e dire che quando si spende oltre il dovuto si può anche vincere molto o non vincere proprio per nulla, com’è successo per l’appunto in casa Inter, ma poi i conti si pagano, prima o poi, e ci si trova in brache di tela, a fingere una grandezza che non si ha più. Come i tanti articoli spesi lo scorso agosto a dire che Ibrahimovic sarebbe tornato a Milano, una cosa così impossibile che non è neanche più bello far finta di crederci. E poi lui sì che non cambia mai: in gol in Supercoppa con il Psg nel 2015, ancor più decisivo a firmare la rete che è valso il primo trofeo per il Manchester United. A guardarlo, Claudio Ranieri. Di lui non parlava nessuno 365 giorni fa e sotto l’ombrellone non saranno stati pochi quelli che hanno detto o pensato: “Ma il Leicester… in che campionato gioca?”