Calcio Estero
Buon compleanno a… Matias Almeyda
50 anni per Almeyda, ex della Lazio e che in biancoceleste spera di tornare in panchina: intanto il suo AEK convince
Oggi Matias Almeyda compie 50 anni. Non sappiamo quale sarà il futuro della direzione tecnica della Lazio, ma è bene che si sappia che a non moltissimi chilometri di distanza c’è un allenatore che farebbe carte false per venire ad allenare la squadra nella quale da giocatore ha lottato, combattuto e vinto. E che, quando le cose non vanno bene, è persona che ama prendersi le responsabilità. Lo ha fatto dal suo primo incarico in panchina, quando gli sanguinava il cuore nell’essere stato parte dell’umiliante retrocessione del suo River Plate e ha risposto subito presente quando gli è stato chiesto di risollevarlo con un altro ruolo. Riportandolo subito nella massima serie perché l’uomo ha carattere, ma anche l’attitudine allo studio e all’applicazione, è uno che ama la sua professione.
Del resto, stiamo parlando di uno che non lascia indifferenti, che suscita sentimenti forti, che sul campo dava tutto davvero, non per modo di dire, come raccontò un giorno Sven Goran Eriksson, sorpreso nel vederlo perenne: «Un giorno dovrò fare un test per misurare quanti chilometri corre Almeyda in una partita. Sono davvero tantissimi». E dire che, per ammissione di Matias, non è che facesse proprio vita regolata: «Per tutta la carriera ho fumato dieci sigarette al giorno. Anche l’alcol è stato un problema. Bruciavo tutto negli allenamenti, ma vivevo al limite». E qui arriviamo all’altro aspetto che colpisce in lui: l’estrema sincerità. Lo si è visto quando ha scritto la sua autobiografia, con rivelazioni così estreme che non tutti i suoi compagni di un tempo hanno gradito. Oppure quando non ha nascosto il male oscuro di cui ha sofferto, la depressione: «Credo di averla sempre avuta, ma non ho voluto sottopormi a nessuna terapia. Certe volte non avevo neanche la forza di alzarmi dal letto, e mia figlia mi disegnò come un leone vecchio. Da quel momento ho iniziato a parlarne con uno psicologo ma mia moglie è stata decisiva».
Non c’è stata intervista, lungo questi anni, nella quale non si sia candidato alla panchina biancoceleste. Lo ha fatto nel 2016, ai microfoni di Radio Incontro Olympia: «Sono contento di allenare il mio club, ma il pensiero è sempre alla Lazio perché lì ho lasciato il mio cuore. Il mio sogno è sempre quello di tornare e poter allenare la Lazio. Seguo sempre la Lazio, la cosa più brutta e triste in questo momento è vedere lo stadio vuoto, soprattutto per me che ho vissuto anni diversi».
Lo ha ribadito nel 2020 a La Gazzetta dello Sport, quando la vedeva concorrere al tricolore per una buona parte di stagione, prima che lo stop per il Covid sgonfiasse la squadra: «Mi emoziona, la nostra Lazio è simile a quella di oggi. Spero vinca lo scudetto. Simone era tranquillo, oggi sembra un altro. I pazzi eravamo noi argentini». Augurandosi uno scenario di questo genere, ovviamente rispettoso verso: «Ora c’è Simone, spero resti lì per altri 10 anni, ma il giorno in cui si stufa, io ci sono».
Ed è stata una coincidenza curiosa, ma significativa del reciproco valore, che entrambi la scorsa stagione si siano vinti una coppa nello stesso giorno.
E qui arriviamo alla credibilità attuale di Almeyda come tecnico. Nel 2022-23 ha centrato la doppia impresa con l’Aek: campionato e coppa nazionale, in una finale dove ha piegato per 2-0 il Paok nonostante i suoi abbiano giocato in 10 dal sesto minuto del primo tempo. Un’impresa non frequente quella del double per la formazione giallonera. Ancor più rilevante perché l’argentino era arrivato ad Atene con l’obiettivo massimo di riportare il club nelle posizioni di vertice, sarebbe già stato un successo.
In Italia, giustamente, si celebra molto Roberto De Zerbi e il suo calcio innovativo. Ebbene, quando si sono affrontati nel girone di Europa League, una delle due gare, quella in Inghilterra, l’Aek è riuscita a vincerla. Nell’intervista a fine partita, quando gli hanno detto che i suoi avevano mostrato gli attributi, gli «huevos», Matias ha allargato il sorriso. Per poi ricordare che era il suo debutto in una competizione europea e che era felice per avere sconfitto «una squadra che gioca un calcio tra i migliori al mondo». Svelando, infine, che cosa chiede ai suoi uomini: «l’anima». Anima e vita sono i due termini, insieme al suo cognome, del titolo della sua autobiografia.