Hanno Detto
Raspadori: «Non mi piace lo stereotipo del calciatore senza curiosità»
Le parole di Giacomo Raspadori, attaccante del Napoli e della Nazionale, che si racconta a Walter Veltroni sulle colonne della Gazzetta
Il campo e non solo: Giacomo Raspadori, dalle colonne de La Gazzetta dello Sport, si racconta a 360° in una lunga intervista con Walter Veltroni. Di seguito alcune delle parole dell’attaccante del Napoli e della Nazionale.
UNIVERSITA’ – «Siamo sempre di più, per fortuna, a studiare e giocare. Io sto cercando di laurearmi in scienza motorie. Altri, come Pessina, Pobega, Buongiorno e prima ancora Chiellini, hanno dimostrato che non è impossibile far convivere lo sport ai massimi livelli con la propria formazione. Vorrei combattere gli stereotipi sui calciatori: persone senza curiosità, che pensano solo al pallone e ai soldi, senza rilevanti qualità umane. Non è così,mi creda. Sono una persona pratica, molto concentrata sul quotidiano, non faccio voli pindarici. Ma mi piacerebbe dimostrare, in futuro, che i giocatori di calcio possono vivere coltivando il gioco e il sapere, i libri e i calci d’angolo».
LA SUA CAMERA DA BAMBINO – «C’era un letto a castello, dove dormivamo mio fratello ed io. Lui è sempre stato uno stimolo, per me. In quella cameretta erano sparsi tanti palloni. Ma soprattutto, nei nostri discorsi conla porta chiusa, c’erano tanta energia, sogni, voglia di vivere edi costruire il nostro futuro. Sul tavolo le figurine, nella libreria molti volumi. Nostra madre ci ha educato alla bellezza della lettura. Mi ricordo che lei iniziò a leggerci la saga dedicata al calcio da Luigi Garlando».
COME HA INIZIATO – «Per strada, come tutti. Nella piazza del mio paese, Castel Maggiore, fino a tardi la sera. Poi in una società dilettantistica che porta un bel nome “Progresso calcio”. Società seria in cui si insegnano, insieme, tecnica e valori. A undici anni, con una telefonata ai miei, fui trasferito al Sassuolo, dovemisono trovato benissimo. Ricordo il primo giorno. L’allenatore, Papalato, non conosceva nessuno: mise quelli che vengono chiamati “i cinesini”, cioè dei coni di plastica, per indicare i ruoli previsti e ci disse di scegliere il nostro. Io avevo sempre giocato a centrocampo e presi quello. Lui mi guardò giocaree poi mi disse che il mio posto era quello di centravanti».
IL FISICO UN LIMITE – «Sinceramente no: mi ha spinto sempre a cercare di evolvere. Se non avevo la struttura fisica degli altri, allora dovevo essere sempre più bravo, sia sul piano tattico che tecnico. Averlo capito presto mi ha portato a lavorarci subito. So che, per restare a un certo livello, ci sono standard anche fisici da rispettare. La bellezza del calcio consente anche di essere maliziosi in certe cose,per colmare centimetri o muscolatura».
NAZIONALE – «Solo a parlarne ti emozioni. Poterne far parte ti trasferisce un’energia pazzesca. Sai che stai rappresentando il tuo Paese, migliaia di bambini che avevano o hanno il tuo stesso sogno e che non riusciranno a realizzarlo. Tu sei con l’azzurro addosso anche per loro. Il mio primo ricordo di quella maglia sono i Mondiali del 2006.Avevo sei anni e credo sia, in assoluto e in generale,il primo momento della mia memoria».
SE C’É PARTITA RIVIVERE E UNA DA DIMENTICARE – «Sì. E sono lo stesso giorno. Quello della mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali. Vorrei non tornasse per non rivivere quel dolore. E, altempo stesso, vorrei che tornasse per poterlo cambiare. Non dimentico il silenzio terribile dello spogliatoio dopo la partita. Non aver dato a milioni di persone la gioia di godere dei Mondiali è stata una delusione devastante, che ci ha lasciato un senso di colpa. Si deve imparare, anche dalle sconfitte. Non si vince sempre, né nello sport né nella vita. Ma siamo un gruppo forte e coeso, con un grande c.t., ci rifaremo».
IL TALENTO SI EDUCA – «Sì, si educa. Certo, ci deve essereuna base, un’ispirazione. Ma io appartengo alla corrente filosofica, nel calcio, di chi pensa che il talento sia poco, se non è accompagnato dalla durezza del lavoro. La più grande fortuna di chi ha talento è di averne coscienza e, per questo, ha la disponibilitàa lavorarci su, a disciplinarlo proprio per farlo emergere. Se hai un dono, devi sfruttarlo. Devi coltivarlo ogni giorno, magari pensando alla fatica di chi quel talento non ce l’ha».
FAMIGLIA – «Mia madre è impiegata, mio padre si occupa del controllo di qualità in un’azienda. A loro debbo molto. Mi hanno sempre detto che la loro felicità era legata alla mia. Non al mio successo, alla miaf elicità. Hanno sempre lasciato me e mio fratello liberi di scegliere quello che desideravamo. Sapevano che l’avremmo fatto sulla base di principi etici. Questo non costringerci a nulla, ovviamente,ci ha molto responsabilizzato. Loro sono stati la mia, la nostra, fortuna».
FIGLIO IN ARRIVO – «Sì, a maggio. Siamo a metà strada. A Natale sapremo se è maschio o femmina. Io sono così di carattere. Senza esagerare ho sempre voluto avere le cose della mia vita sotto controllo. Questo è il passo più importante della vita della mia fidanzata e mia. Spero di essere all’altezza e di poter dare sempre un buon esempio alla creatura che verrà».