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Buon compleanno a… Gary Lineker

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Oggi è il compleanno di Gary Lineker, ex calciatore e ora opinionista nei programma in Tv: la sua storia

Oggi Gary Lineker compie 63 anni. Mentre in Italia ci siamo un po’ tutti divertiti o indignati per gli ex giocatori che fino a poco tempo fa giocavano una loro partita sulla Bobo Tv, lui è da tempo uno che sa fare opinione in ogni modo: che sia su piccolo schermo, in un podcast o in un fulminante tweet, riesce a essere un campione esattamente come lo era in campo. Con una differenza, rispetto a una quarantina di anni fa. Un Belanov che lo precedesse nel Pallone d’Oro come successe nel 1986 in questo contesto non c’è. Il fuoriclasse indiscutibilmente è lui, il bomber che con la nazionale inglese ha messo a segno 48 reti in 80 partite. E forse il non abitare per niente i territori del politicamente corretto altro non è che il rovescio della medaglia di una carriera – al contrario – esemplare: nei suoi 18 anni trascorsi sul campo è stato uno dei pochi calciatori a non essere mai ammonito o espulso, perciò è conquistato il diritto di non avere peli sulla lingua e di esercitare tutta la libertà che vuole nella critica.

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Il Lineker opinionista andrebbe studiato, oltre che raccontato, del resto i suoi genitori
gli diedero il secondo nome di Winston in ragione della coincidenza del suo giorno di nascita, il 30 novembre, con quello di Churchill, i cui discorsi politici fanno parte della memoria collettiva dell’Inghilterra e non solo. Noi ci limitiamo a fornire alcuni grandi e piccoli esempi di pensieri che Gary ha espresso in questi anni, senza formulare giudizi di nessun genere.
Partiamo dal più recente, il cordoglio espresso per la scomparsa del suo Commissario Tecnico Terry Venables: «È stata una persona incredibilmente importante nella mia vita calcistica. Devi essere una grande personalità per avere successo e lui lo era. Era straordinariamente innovativo riguardo al gioco. Personalmente ritengo che sia stato il miglior allenatore inglese che abbiamo avuto”.

Proseguiamo, un po’ come un Blob che viaggia per analogie, con la battaglia iniziale che intraprende contro Claudio Ranieri alla guida del Leicester, bocciato su Twitter in modo secco: «Ranieri? Really?» Ha esperienza, ma è una scelta poco ispirata. Sono i soliti vecchi nomi». Poi, ovviamente, di fronte a una delle più grandi imprese della storia, non può che fare marcia d’indietro e ammettere: «Il Leicester vincente è il più grande shock sportivo della mia vita», il minimo per uno che nella nota trasmissione Match of the Day aveva detto: «Se il Leicester vincerà la Premier farò la prima puntata della trasmissione della prossima stagione indossando solo la mia biancheria».

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Pareri forti, come quello espresso sulla tendenza attuale che vuole l’Arabia Saudita come la nuova Mecca del calcio: «In questo momento, l’Arabia non è altro che l’ultimo campionato in cui i giocatori vanno a morire calcisticamente, un’ultima fonte di reddito, come Benzema che va all’Al Ittihad. È lo stesso con la MLS, con la Cina, anche io l’ho fatto in Giappone alla fine della mia carriera. È facile dire: “Non ci andrei mai per soldi”, finché non vedi i milioni. Poi quel dilemma diventa reale. I giocatori possono garantire la sicurezza finanziaria della loro famiglia per le generazioni a venire. Non può essere facile rifiutare quel tipo di offerta».
Profetica la proposta fatta tempo fa riguardo le coppe europee, un’intuizione concretizzatasi successivamente e lanciata da lui ai microfoni di BT Sport:«Non so cosa ne pensiate voi, ma a me piacerebbe vedere un esperimento per una stagione, ovvero eliminare la regola della rete segnata in trasferta Nella prima partita in casa sono sempre tutti un po’ più cauti, perché temono di prendere un gol o magari due dall’avversario che gioca in trasferta e che, di conseguenza, nel ritorno sarebbe avvantaggiato. Ma se l’Uefa eliminasse questa regola, le squadre in casa giocherebbero più a viso aperto nella prima partita, senza il timore che le eventuali reti subite possano poi gravare sul ritorno».

Idee importanti, che nascono non solo dal dibattito corrente, ma anche dal proprio vissuto, come una delle sue confessioni al podcast inglese High Performance: «Se non fossi stato bravo nello sport, la vita sarebbe stata molto diversa per me e penso che sarei stato vittima di bullismo a scuola. Da bambino ero un po’ un emarginato. Ero piccolo, sfigato, di pelle scura e ho subito abusi razzisti anche se sono inglese come chiunque altro. Non farei mai i loro nomi ma anche nel calcio professionistico ho subito quelle molestie un paio di volte, ma ripeto, non direi mai i nomi».

Infine, il caso più eclatante, quello che ha fatto discutere tutto il mondo, la sua presa di posizione rispetto alla politica dell’immigrazione da parte del governo conservatore: «Non c’è un afflusso enorme. Accogliamo molti meno rifugiati rispetto ad altri grandi paesi europei. Questa è solo una politica incommensurabilmente crudele rivolta alle persone più vulnerabili in un linguaggio non dissimile da quello usato dalla Germania negli anni ’30, e io sono esagerato?»

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Da qui è nata la sospensione della BBC nei suoi confronti in nome del mancato rispetto della policy aziendale, la solidarietà di tanti, la marcia indietro del canale tv e un dibattito articolato, ben riassunto in Italia con una serie di interrogativi capaci di andare oltre il singolo caso da parte di Dino Amenduni su Treccani.it: «Questa vicenda, oltre a rappresentare un caso da manuale (al contrario) sulla gestione della reputazione aziendale, ripropone antichi e mai risolti dilemmi. Fino a che punto si può pensare di poter disporre delle opinioni dei propri dipendenti su questioni politiche, fino addirittura a provare a censurarle preventivamente? Perché la politica non vuole comprendere che un’opinione personale, pur autorevole, non coincide necessariamente con la linea editoriale del gruppo editoriale o dell’azienda per cui quella persona lavora? E soprattutto: l’imparzialità, nell’informazione, esiste davvero o comunque è davvero un obiettivo auspicabile, soprattutto in tempi complessi come quelli che stiamo vivendo?».

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