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IL MEGLIO DEL 2023 – Silvio Berlusconi: e se fosse andata diversamente?
L’analisi sulla vita di Silvio Berlusconi, ex presidente di Milan e Monza e politico italiano. Tutti i dettagli
«Scrivete un pezzo su Berlusconi che spiazzi, che stupisca, che aiuti a pensare e capire cose che non avevamo ancora pensato o capito. Da qualunque lato scriviate, fatelo scrivendo qualcosa di diverso da quello che pensiamo scriverete. È una grande occasione per il giornalismo»: è uno dei più messaggi più belli per chi fa la nostra professione quello che oggi ha pubblicato Massimo Venier su Twitter. Lui è un regista, fra le altre cose di Aldo, Giovanni e Giacomo, un tifoso juventino appassionato e certamente nel corso della sua vita professionale (e non) avrà avuto modo di ragionare sulla figura oggi scomparsa, centrale come nessun altro in Italia sia a livello politico che calcistico. Ho deciso di cogliere la sua sfida, pensando di perderla come certi Juventus-Milan dell’epoca d’oro del Berlusconismo. Quelli nei quali i tifosi bianconeri come me e Massimo andavano al Delle Alpi con una sola speranza, espressa in una frase tra l’amaro e il rassegnato: vediamo se riusciamo almeno a tirare in porta. Quella squadra, guidata da Fabio Capello, era una corazzata, inscalfibile dietro, per certi versi il contrario dell’effervescenza del periodo di Sacchi. Ma anche capace di goleade memorabili, che andavano oltre i punteggi tennistici sui campi di Firenze o di Foggia, per citare un 3-7 o un 2-8, che non sembrano neanche risultati possibili, reali, veri. Ottenuti senza dare l’impressione di divertirsi, esibizione di potenza pura, senza sorriso e senza sentimenti, salvo ritrovare tutto – entusiasmo, felicità, creatività – nel momento in cui ce n’era più bisogno: la finale della Champions League col Barcellona, 4-0 nel giorno in cui Berlusconi da capo del governo incassa la fiducia al Senato.
E allora: si può scrivere di calcio e Silvio senza citare il 18 maggio 1994? C’è una via per non ricordare quell’impasto sentimentale in cui precipitarono molti italiani? Lo ha descritto mirabilmente da Davide Coppo su RivistaUndici: «Forse sui presidenti ho sviluppato una specie di difesa tipo non-voglio-vedere-non-voglio-sentire. Voglio dire: tu, voi, non vi renderete mai conto cosa significa avere come presidente della squadra che tifi, effettivo artefice del ciclo più vincente di sempre, Silvio Berlusconi. E vivere continuamente questa dicotomia da elettore di sinistra e innamorato di una squadra in cui quello lì alza la Champions League». Vi ricordate quella pagina de L’Unità il giorno dopo la sconfitta al Mondiale americano della Nazionale con l’Irlanda, con l’urlo “Forza Italia” su un giocatore azzurro in ginocchio? Chiedendo implicitamente al proprio popolo di tifare per non farsi “scippare” da una parte un bene che doveva rimanere condiviso e comune.
Fino a qui ho descritto cose ovvie, i primi flash della memoria che mi sono apparsi alla notizia di questa mattina. D’istinto ho anche pensato che da grande artefice del Milan si sia ancora visto e gustato la sconfitta dell’Inter a Istanbul, dimenticandomi della sua idea di milanesità, di una quasi simpatia espressa nei confronti dei cugini, persino della vox populi che sosteneva che il nerazzurro fosse il suo primo amore, esattamente come il bianconero lo era per Adriano Galliani. E se non c’era affetto, comunque vi era gentilezza: lo raccontò anche Ernesto Pellegrini che in un momento di difficoltà ricevette un suo biglietto con scritto sopra “Forza Inter!”, tutto vero, tutto documentato.
Infine, mi sono avventurato in un piccolo pensiero che richiede tempi e firme giornalistiche straordinarie e, perciò, non posso che lasciarlo in bozza. E se fosse andata diversamente? Sarebbe stato possibile un Silvio Berlusconi senza il Silvio Berlusconi che ha dominato il pallone? Mi è venuto in mente quando Nils Liedholm, sostituito dal nuovo patron del Milan come primo atto di una rivoluzione da compiere, raccontò a Repubblica: «Io me lo ricordo da giocatore, l’ho visto tante volte quando faceva il centravanti. Oh, sì, era un centravanti velocissimo». E ho accostato questa suggestione a quella scena de L’allenatore del Pallone nel quale si narrano le ardite operazioni di mercato della Longobarda: la cessione di Falchetti e Mengoni per avere la metà di Giordano, da girare all’Udinese per 1/4 di Zico e 3/4 di Edinho; quindi, si trattano Rummenigge e Maradona, per ottenere i 3/4 di Gentile, i 7/8 di Collovati più la metà di Mike Bongiorno. Mentre a Berlusconi – non ancora Presidente del Milan – va l’esclusiva tv dei Campionati del Mondo, alla Longobarda la comproprietà di Maradona, rilevabile fra tre anni, in cambio della cessione immediata di Falchetti e Mengoni alla Juventus. Sarebbe potuta andare così, mi è venuto da sorridere, se si fosse limitato a rimanere Sua Emittenza, invece di decidere che era ora di scendere in campo, anzi in due, anzi in molto del nostro immaginario, comunque la si pensi.
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