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Atalanta, Percassi: «Costruito qualcosa di importante. Per me da giovane Bergamo era New York»
Il presidente dell’Atalanta Percassi ha parlato al conferimento della Laurea Magistrale Honoris Causa al’Università IULM a Milano
Antonio Percassi, presidente dell’Atalanta, ha ricevuto quest’oggi all’Università IULM di Milano la Laura Magistrale Honoris Causa in Marketing, consumi e comunicazione. Queste le sue parole al conferimento del titolo.
GIOVENTU – «Per noi ragazzi l’Atalanta era il massimo. Non ero mai stato a Bergamo, per me Bergamo era come New York. Il provino andò bene, i dirigenti dell’Atalanta erano rigidi ma fantastici. A 17 anni debuttai in prima squadra contro il Bari. Nell’estate successiva fui aggregato in prima squadra, più tardi divenni il capitano: era meraviglioso».
CALCIATORE – «Quando il mister ci concedeva il riposo uscivo nei centri delle città. Ero un giovane curioso, volevo capire cosa piaceva alla gente e ricercare nuove tendenze. Un lunedì chiamai il centro della Benetton, dissi che volevo aprire un negozio con il loro marchio. Dissi che ero un calciatori importante, esagerai, ma mi chiamarono incuriositi. Ho investito tutto ciò che avevo in un piccolo negozio, Luciano Benetton mi autorizzò. Avevo 23 anni, la mia vita cambiò per la seconda volta. Divulgai messaggi pubblicitari attraverso la radio, distribuivo magliette e cappellini, portai i miei compagni di squadra allo store. Ero allo stesso tempo un calciatore ed un grossista d’abbigliamento. Iniziò la mia vita imprenditoriale».
ATALANTA OGGI – «Oggi l’Atalanta è una tra le prima società in Italia ad avere uno stadio di proprietà. Era importante realizzare un fortino per i nostri tifosi e adeguarsi agli standard europei. Non avrei mai immaginato di giocare in Champions contro Liverpool, Real Madrid, Manchester United e PSG. Sapevo che con passione e programmazione potevamo costruire qualcosa di importante. Un grazie a Gasperini e a tutti i ragazzi. Oggi Bergamo è una piccola città conosciuta in tutto il mondo. Nel calcio il marketing è importante, ma bisogna capire che non si vende un prodotto ma emozioni, un’appartenenza».