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Osimhen: «Mi è esplosa la faccia, ma ora voglio vincere con il Napoli»

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L’attaccante del Napoli Osimhen si è raccontato tra gli obiettivi in azzurro, l’infortunio e la sua vita privata

Victor Osimhen, bomber del Napoli, in una intervista a La Repubblica si è raccontato tra gli obiettivi in azzurro, il terribile infortunio al volto e la sua vita privata.

INFORTUNIO«Infatti ho sentito subito che la faccia mi era esplosa. E appena mi sono toccato sulla guancia sinistra non avevo più sensibilità. Ho avuto problemi anche a dormire, se mi giravo sul quel lato, faceva male. Però ho recuperato le forze, trascinato dalla voglia di giocare e di migliorare proprio sui colpi di testa. Non sono tipo da frenare la mia esuberanza, mai fatto calcoli, anzi ho sempre cercato di rimettermi in piedi subito, senza piangermi addosso. Io salto, scarto, scatto. Non ho paura di farmi male, e se perdo mi arrabbio. Sono molto suscettibile su questo, non mi arrendo». 

CRONOMETRO SUI 100 METRI«No. Però correvo, da ragazzino facevo gare per strada. La Nigeria è una terra di velocisti. Spesso arrivavo secondo, qualche volta primo. Ma la passione era per il pallone. Il primo Mondiale che ho visto in tv è stato quello in Sudafrica nel 2010, tifavo Olanda, per via di Sneijder, per cui andavo matto. Mi piaceva la sua concretezza, sapeva sempre cosa fare, e ci sono rimasto male quando in finale ha vinto la Spagna». 

IDOLO DROGBA«Sì, ma non solo come calciatore. Mi piacciono i trascinatori. E lui lo è e lo è stato anche fuori dal campo, dove conta di più. È il tipo di personalità che ammiro». 

GATTUSO E SPALLETTI«Mi hanno aiutato tutti e due, posso e devo solo ringraziarli». 

ATTACCANTE ITALIANO PREFERITO«Immobile. Lo trovo straordinario. E lo ammiro. Sbuca sempre tra le difese, non si sa come ha il pallone tra i piedi, è sempre lì al momento giusto, magari non lo vedi, eppure eccolo improvvisamente tirare in porta. Fa sembrare tutto facile, soprattutto il gol. Un vero pirata». 

DIFENSORE PIU OSTICO«Romero, ora al Tottenham. Ogni volta che mi ha marcato è stato più veloce di me, abile anche nell’anticiparmi. E Koulibaly in allenamento, che non mi fa mai segnare. Quando è stata eliminata la mia Nigeria, ho tifato Senegal». 

NAPOLI CITTA«E anche se posso passare per ingenuo non mi immaginavo una città così calda e pazza per il calcio. Solo ora mi rendo conto di come possa essere stato difficile per Maradona trovare un po’ di intimità e sopportare la pressione». 

VITA PRIVATA«Ho una fidanzata. E devo anche ad una donna questa mia capigliatura. Ero a Charleroi e non sapevo che lì i barbieri chiudono presto. Così ho iniziato a tagliarmeli da solo, ma ogni rasoiata in più non ha fatto che peggiorare la situazione, allora la mia fidanzata mi ha detto: te li coloro e ci penso io. Quello che è uscito fuori mi è piaciuto». 

SCELTA INSIGNETORONTO«Ne penso bene. È un uomo con una famiglia, avrà valutato, ragionato e scelto quello che è meglio per lui. Sono in una situazione diversa, ma non sono di quelli che dicono: io mai come lui». 

VINCERE«Mi piacerebbe vincere insieme: Napoli, il Napoli e io. Condividere un viaggio. Ma per lo scudetto devo essere molto di più di un individual player. Allora sì che mi darebbe proprio soddisfazione e trovo che per la città sarebbe strepitoso. Il calcio di Serie A lo trovo competitivo, ogni domenica c’è una squadra che può sbatterti fuori. Mi criticano perché sono permaloso, perché non lascio correre, né un’occasione né un commento, ma io sono felice solo se do il mio meglio, il calcio è il 97% della mia vita, e se qualche volta sui social eccedo, lo faccio solo perché cerco leggerezza. Sono un ragazzo di 23 anni, avrò pur diritto a non essere profondo». 

RAZZISMO – «Ho sentito gli insulti. Gente che dice quelle cose non merita di entrare in uno stadio. Ha ragione Thuram, i primi ad uscire dovrebbero essere i giocatori bianchi, perché consapevoli di un’ingiustizia. Ma nello stadio ci sono anche quelli che ti applaudono, che si scusano per gli altri. E a loro dico grazie perché almeno non fanno giocare l’indifferenza». 

NOME«Sì, significa Dio. Vengo da Lagos, Nigeria, ma sono originario di Osun, stato del sud, dove convivono cristiani come me e musulmani. Ho perso mia madre subito, io sono l’ultimo figlio, ho tre sorelle e fratelli. Papà non trovava lavoro, così ci siamo spostati nella capitale: una sorella vendeva arance, un fratello giornali, io pulivo grondaie e tagliavo erba. Tutto, pur di sopravvivere. Mio fratello più grande, Andrew, ha rinunciato a studiare, per mantenere me appena sono entrato nella scuola calcio. Devo riconoscenza a lui e alla mia famiglia. Le radici sono importanti». 

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