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Leonardo: «Sono legato ancora al Milan e a Milano. Su Mbappé, Messi e il Psg…»

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Leonardo, ds del Psg, è intervenuto in diretta sul palco del Festival dello Sport: ecco le sue parole

Il Festival dello Sport, quest’oggi, ha avuto il direttore sportivo del Psg Leonardo tra i suoi ospiti. Ecco le sue dichiarazioni:

INFANZIA – «Sono nato nel 1969, un anno prima del terzo mondiale vinto dal Brasile. Sono cresciuto così, ho vissuto il calcio dentro. Giocavo sempre. Non avevo l’idea di diventare un calciatore, era una cosa lontana. Non pensavo sarei diventato professionista. Ho giocato per tanto tempo senza pensieri fino a che non mi hanno chiamato per un provino. Avevo 14 anni, eravamo in 300 e alla fine siamo rimasti in 2. Non voglio fare l’umile, ma sicuramente non ero tra i migliori in assoluto».

BRASILE – «Mi manca tutto. Sono andato via da lì che avevo 19 anni e ne sono passati ormai 33. Ho superato la lontananza dopo tempo. Con l’età però torna indietro, mi sento colpevole di non aver vissuto in Brasile. Prima o poi tornerò, mi manca molto. Non ho rimpianti nella mia vita, ma è come se avessi qualcosa da vivere ancora».

RUOLI- «Quando mi propongono una cosa, difficilmente dico di no. Così è stato anche per quando giocavo terzino sinistro. Si fece male il terzino del Flamengo della prima squadra, quello della primavera aveva l’epatite e scelsero me. Abbiamo vinto lo scudetto e ho sfiorato la Nazionale. Avevo però la voglia di avanzare sempre verso la mia posizione d’origine. Dopo il 94′ sono tornato avanti».

GIAPPONE – «Non mi sono mai tirato indietro davanti alle sfide. Mi ha convinto Zico, che andò lì nel ’91, quando il campionato non era ancora professionistico. Lui aveva oltre 40 anni, era andato per dare risalto al calcio giapponese. Zico mi propose di andare lì per continuare il suo lavoro. Ho sempre avuto il fascino dell’Oriente e penso di aver azzeccato la scelta. Firmai un biennale, e pensai che alla fine del contratto sarei tornato in Europa. Il calcio è iniziato nelle università. Nella società si viveva anche fuori il calcio, è stata un’esperienza meravigliosa con un popolo di cui ho grande rispetto. Sono molto onesti, vivono in maniera pulita e ho un rapporto profondo con loro».

ZICO – «Giocavo nell’under 15 del Flamengo. La piscina dove faceva le cure lui era dietro il nostro campo. Un giorno perdemmo un pallone nel parcheggio, Zico raccolse la palla sotto una macchina e la ridiede a noi. Lui è la persona più semplice e normale che ho mai conosciuto. In Brasile è un simbolo. Quando mi ha chiesto di andare in Giappone ero già convinto. E’ uno dei simboli più importanti del calcio, rimane in un posto speciale per me».

MILAN – «E’ stato difficile smettere di giocare. Ho avuto un calo prima fisico. Non avevo il fisico di Maldini per giocare fino a 40 anni. Sono stato penalizzato in quello. Il Milan mi ha cambiato sicuramente le prospettive post carriera. Il rapporto con loro è stato bellissimo. Il mio passaggio è stato strano, non ne sono stato un simbolo, ma sono restato nel cuore. Sono stato lì quattro anni, poi dopo sono tornato e ho rifatto tre mesi. Lì Galliani mi chiese di fare il suo assistente e mi ha cambiato la vita. Giocare, fare il dirigente e allenare la stessa squadra è stato straordinario. E’ finita con un po’ di incomprensioni, ma è stato bellissimo. L’Italia mi ha dato molto, il Milan mi ha portato ad alti livelli».

SCUDETTO 1999 – «Nessuno se lo aspettava. Erano stati anni difficili i precedenti con i ritorni di Sacchi e Capello. Un biennio complicato, coinciso con l’apertura del mercato a livello europeo. Non era facile trasmettere una filosofia societaria così esigente a giocatori che andavano e venivano. I giocatori si sentivano piccoli, era complicato da loro esigere un livello alto. Zaccheroni ricompose la squadra e lo spirito e inaspettatamente ci trovammo alle ultime giornate in lotta per lo scudetto. E’ stato meraviglioso, vinto per un punto. Ricordo che rischiai di non giocare il derby. Giocai dopo aver preso una capocciata da Vierchowood e poi feci doppietta. Due gol in un derby li aveva fatti l’ultima volta Paolo Rossi quindi anni prima».

FONDAZIONE MILAN – «A Milano non ho vissuto solo il calcio come giocatore. Milano per me è tutto. E’ stato il mio lavoro per sei mesi contribuire a costruire un reparto pediatrico con più accessi in Lombardia. La mia vita adulta, anche dopo aver smesso, è stata vissuta in Italia. Un’esperienza globale sotto più aspetti di vita».

ALLENATORE – «La stagione iniziò male. Era la mia prima esperienza, ma non ne avevo tanta voglia per una serie di motivi. Era un momento di transizione, forse serviva un’altra persona che capisse quel preciso momento. Per farla breve: giocammo una gara in casa con la Roma. Perdevamo 1-0, spostai gli attaccanti a disposizione, avendo solo due mediani ma adattati. Da lì partì l’idea di fare qualcosa di diverso. La partita dopo giocammo in casa del Real. In aereo con Galliani mi guardò e mi chiese come avremmo giocato. Mi disse “non sarebbe male eh'” senza aggiungere altro. Lo guardai e gli dissi “giochiamo così”. Andammo con il 4-2-4 e vincemmo 3-2. Andammo sotto per un errore di Dida, poi rimontammo con un gol di Pirlo e una doppietta di Pato. Da lì, fino a quasi fine stagione, ci siamo goduti una squadra che gioiva di giocare».

RAPPORTO CON I GIORNALISTI – «Non sono cambiato tanto. Non è che non ho rapporto, ma penso di avere la distanza giusta. Quello che mi piace è avere libertà, se devi parlare male di me non è che non mi chiami più. Ho forse esasperato questo concetto e ho cercato poi di rispettare questo lavoro che per il sistema è molto importante. Ho sempre cercato la distanza giusta che poi è stata interpretata da alcuni come voglia di non parlare. Con gli anni la gente capisce come sei e il punto di vista cambia».

LITIGI CON BERLUSCONI – «Per 13 anni sono stato nel cuore del Milan, ero visto come allenatore della società. Il passato non cambiava, così come il rapporto con i giocatori. Forse in quel momento eravamo incompatibili, ma per lui non era un momento facile. Sapevo quanto potesse essere difficile la sua vita oltre al Milan. Io ho capito quel momento e oggi, guardandolo a distanza di anni, lo capisco ancora meglio. Quello che ha fatto lui è stata una cosa talmente enorme che è normale avere sentimenti contrastanti. Rispetto il passato e penso lo faccia anche lui. Forse in quel momento sono stato testardo, ma pensavo che per il Milan quelle decisioni fossero le migliori in quel determinato momento».

GALLIANI – «Lì sono stato molto tempo, sono stato me stesso a differenza di altre parti. Difficile scollegare Berlusconi da Galliani, di cui ho una stima incredibile. Penso che lui possa fare tutto, così che abbia una visione completa di tutto. Oggi mi ritrovo in situazioni in cui mi tornano in mente gli anni a stretto contatto con lui. Lo ammiro tanto, per me è stato come un professore all’Università Milan».

INTER – «Non pensavo ci sarebbero state tante polemiche. Andare via dal Milan è stato pesante per me. Quando andai all’Inter erano sei mesi che la vita rossonera era finita. In quel momento ero allenatore dopo essere stato dirigente. Moratti cambiò tutto, ma non solo lui. Lo conoscevo da tempo, avevo un rapporto con la sua famiglia per via della Fondazione, lo incontravo spesso. Il suo modo di essere è talmente penetrante che ti porta a stimarlo. Quando mi chiamò mi sembrò stranissimo, ma pensai due cose: se avessi detto di no sarebbe stato come morire, non potevo dire no ad una squadra ce aveva appena vinto la Champions e ad un presidente che sentivo spesso. Sapevo che andavo verso qualcosa di complicato, ma non mi aspettavo a questi livelli. L’ho presa come una specie di stima che ha provocato un sentimento negativo. Mi rendo conto possa succedere, ma prima era successa una cosa simile a Baggio e Ronaldo e non mi aspettavo di causare questo malcontento».

CONTESTAZIONI – «Le prendevo come un modo per esprimere disappunto. Quello che mi colpì fu il clima allo stadio durante il derby. Fu una situazione surreale. Poi ci fu la partita, era una finalina contro gente con cui avevo un rapporto stretto. Lo dissi ai giocatori che mi dispiaceva per quell’atmosfera. Pato segnò dopo tre minuti, poi successe di tutto e di più. Ma è tutto un grande apprendimento».

ADDIO INTER – «Ricevetti una chiamata dalla dirigenza del Psg, per spiegarmi il loro progetto. Moratti lo seppe subito. Ero in Sardegna e mi arrivavano chiamate a ripetizione. Moratti mi spinse ad andare a vedere e io seppi al momento della riunione che volevano la disponibilità a lavorare con loro. Raccontai tutto al presidente e mi chiese cosa volessi. Risposi che mi sentivo più dirigente e lui capii e rispose che avrebbe accettato qualsiasi mia decisione. Fu molto aperto mentalmente e da lì accettai tornando nelle vesti di dirigente».

RITORNO AL MILAN – «Era un momento di transizione. Tornai dopo aver gettato le basi del progetto Psg e la curiosità mi stuzzicò. Arrivò una chiamata da un’agenzia per parlare del progetto con un fondo che voleva cominciare un progetto sostenibile mantenendo il Milan ad alti livelli. Ma il progetto era perso. Feci una riunione con l’agenzia e poi con Elliott. Rimasi stimolato, dicendo tutto quello che pensavo al mio primo colloquio di lavoro. Era il giorno del famoso pagamento che non arrivò. Il Milan aveva bisogno di una persona come Maldini. Io sono una persona che lavora 24 ore al giorno, ma non sono un simbolo del club a differenza di Paolo. Ero stimolato di lavorare con lui. Ha una visione sportiva e non eccezionale, conosce tutto della società dalla A alla Z. Fu difficile mettere insieme quell’assetto dirigenziale. Era un puzzle che doveva prendere forma, ma non era facile. Discutevamo continuamente per il bene della situazione. Forse non ero la persona più indicata e forse sbagliando avrei dovuto capirlo prima. Maldini invece era perfetto perchè capii bene la situazione, mettendosi in una posizione in cui io non sarei stato capace di mettermi».

MESSI – «Arrivare a prenderlo è stata una costruzione negli anni. Si è aggiunto a giocatori come Neymar e Mbappè. Parigi poi crea il tutto. Bisogna equilibrare una grande serie di fattori e se la gente va a vedere non è che il Psg investe più di altri. Altre società hanno ingressi superiori, noi possiamo averne anche meno. Ma gli altri hanno più debiti, noi paghiamo tutti gli investimenti e va capito bene questo. Tornando a Leo, lui era convinto di restare a Barcellona. Avevamo dei contatti perchè le voci iniziavano a girare sul suo addio. Ci siamo mossi, ma non ho mai avuto l’idea che volesse andarsene. I contatti però ci hanno messo in una posizione più facile dopo la fine del loro rapporto. Prenderlo è stato bellissimo ed è stata una sorpresa per il mondo intero. Per lui uscire da Barcellona è una cosa nuova, ma il suo silenzio è impattante. E’ arrivato parlando poco, come fosse l’ultimo arrivato, ma non puoi non ammirarlo».

TEBAS – «E’ il presidente della Liga, noi rispondiamo alla UEFA e alla Liga Francese e non capisco perchè dobbiamo rispondere a lui».

TIFOSO COMUNE – «Perchè uno si metterebbe a fare il presidente dell’ECA se avesse solo problemi? Non porta vantaggi al Psg, non sei dentro l’UEFA ma sei con gli altri per migliorare il tutto. Sarebbe bello avere uno strumento che misura la passione della gente. Il Qatar senza il Psg funziona lo stesso, il club apre solo relazioni. I diritti tv hanno cambiato il calcio, poi è stata creata la Champions dai grandi club che hanno dominato negli anni per quello. I grandi acquisti negli anni li hanno fatti tutti, dal Milan, al Real alla Juventus. Non sono solo i soldi il vantaggio di oggi, ma anche le decisioni veloci e di questa categoria facciamo parte noi».

DONNARUMMA – «Mai contattato prima di giugno, solo dopo l’annuncio del Milan che non avrebbe rinnovato. L’idea di portarlo da noi è nata solo dopo. Era libero, abbiamo parlato ed è successo quello che è successo. Ma non abbiamo mai lavorato per costringerlo ad andarsene, ha deciso lui».

MBAPPE – «Ne parlano pubblicamente come fosse normale. Abbiamo detto tante volte al Real che non siamo contenti di questo, è un comportamento da sanzionare. Non è giusto questo tipo di approccio con uno dei giocatori migliori al mondo. Il Real ha avuto una mancanza di rispetto approcciando così. Noi vogliamo farlo rimanere, la nostra idea è sempre quella. Il tridente con lui sarebbe una grande cosa se iniziasse ad ingranare».

TUCHEL – «La separazione fu naturale. L’anno prima ci furono situazioni complicate che hanno destabilizzato l’ambiente. E’ umano che le vedute siano diverse, è stato difficile tra di noi stabilire un rapporto».

CHAMPIONS LEAGUE – «Ci sono diverse candidate, dal Bayern Monaco al Manchester City. L’impatto di giocatori importanti che sono arrivati è stato favoloso. Giocatori arrivati a zero. L’unico che abbiamo pagato è stato Hakimi. Abbiamo creato una grande attesa ma in questa posizione siamo comodi. Non possiamo nasconderci, ma Parigi è diversa, il contesto è diverso. Vincere qui la Champions sarebbe diverso. Non dico sarebbe meglio, ma portare il calcio a livello di tutto il resto che c’è a Parigi sarebbe una consacrazione».

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