2018
Sarri, un finale non all’altezza: le ragioni
Atto finale del triennio di Maurizio Sarri al timone del Napoli? Ecco le ragioni per cui non lascia nel migliore dei modi
Napoli batte Crotone con il risultato di 2-1 e centra la clamorosa quota 91: mai nessuna squadra era arrivata seconda con tale punteggio. Il sapore amaro della beffa resta indelebile nei cuori di chi ci ha creduto e non rende giustizia al lavoro di una squadra che avrebbe meritato il massimo riconoscimento, per qualità di calcio espressa e resilienza mostrata nell’arco del campionato. Non è andata così. Il triennio del Napoli di Sarri è quello dei record, abbattuto ogni punteggio finale riscontrato nella storia del club, ma non ha portato in dote titoli: fattore che soltanto per una mente non disposta a riconoscere quanto di eccellente realizzato può nel caso sottrarre qualcosa al tutto. Si può opinare, se proprio volete, sulla gestione dell’organico e sulla conseguente rinuncia alle coppe (scenario palesatosi in questa stagione), ma non sul risultato complessivo: Maurizio Sarri ha condotto il Napoli oltre ogni limite.
Sarri-Napoli, l’epilogo
Concesso il doveroso spazio ad una premessa che si spera non dover ribadire ulteriormente, l’analisi vuole ora concentrarsi sull’epilogo di questo triennio. Ammesso, come sembra, che gesti e parole di Maurizio Sarri lascino intendere proprio questo: l’inchino ad un San Paolo che lo ha venerato in ogni momento della sua parentesi partenopea, le dichiarazioni che vanno in direzione univoca. Il timore inerente all’indebolimento dell’organico, o meglio alla cessione di alcuni pezzi pregiati della sua scacchiera, più di tutto la volontà di lasciarsi sul più bello – ora che il rapporto con la gente è ai massimi termini, senza il rischio dunque di rovinare tutto successivamente – e tentare una nuova esperienza. Magari all’estero, che dunque lo arricchisca sotto il profilo del patrimonio e del bagaglio culturale. Se il tutto fosse stato gestito correttamente, poco ci sarebbe da opinare: gli allenatori lasciano le squadre e cambiano, tutto nella norma e nella routine del mondo del calcio. Le eccezioni si contano sul palmo di una mano. A maggior ragione poi se si ritiene qualcosa sostanzialmente terminato, da lì quel tutto prima o poi finisce che lascia pensare ad un imminente saluto.
L’addio discutibile di Maurizio Sarri
C’è invece tanto da dibattere sulle modalità di questo eventuale – serviamoci ancora del condizionale di turno – addio. Innanzitutto sulle tempistiche: il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, giocoforza costretto a programmare la prossima stagione per il ruolo che – con i vertici dirigenziali – occupa nel club, a differenza degli allenatori che vanno e vengono, non ha ricevuto risposta in più di un’occasione. La volontà, chiara ed evidente, quella di trattenere l’allenatore all’ombra del Vesuvio: in cambio, nell’arco delle ultime settimane, né un sì né un no. Mai una risposta. Non convincono onestamente le ragioni addotte: da tre settimane il Napoli non gioca per alcun obiettivo, se non ovviamente per ben figurare ed onorare il finale di campionato, ragion per cui Sarri avrebbe avuto modo e tempo per giungere ad una decisione e comunicarla alla società. In modo tale da permetterle di strutturare al meglio il proprio futuro immediato. Sul banco non ci sono soltanto le tempistiche quanto anche le modalità: Sarri non ha perso occasione per manifestare pubblicamente il suo timore verso l’operato futuro del club. Che a suo modo di vedere avrebbe avuto difficoltà nel trattenere in organico i pezzi migliori, pena l’opportunità di un deciso ridimensionamento generale. Considerazioni che al massimo i media e gli opinionisti – eventualmente ritenessero valida la tesi – potrebbero rendere pubbliche, non chi è parte integrante di un progetto: da un allenatore ci si attenderebbe tutt’altro comportamento, sicuramente più a difesa del club che peraltro nel suo caso gli ha permesso di vivere la sua prima esperienza professionale di massimo livello.
Il caso Maggio
Insomma non un comportamento nitido come nitido invece si è sempre definito l’uomo Sarri. Palesemente diverso dal mondo che lo circonda, per storia ed attitudine personale, eppure in questo caso così simile. Ha pensato in primis ai suoi interessi, ed intendiamoci ci sta pure, qui nessuno vuole fare il puritano: ha scelto di attendere una chiamata di spicco e che fosse in linea con i suoi desiderata futuri. Bene, ma perché non essere trasparente con la società? Perché macchiare con questo finale una proficua esperienza in cui le parti si sono scambiate tutto: l’allenatore con il suo sublime lavoro tecnico, la società consentendogli di mettere piede – dopo una carriera tormentata – sulla panchina di uno dei club più importanti del panorama italiano. Incomprensioni di mercato a parte: non ci si è capiti. Quando la società ha optato per allargare l’organico si è ritrovata a dover fronteggiare un minutaggio minimo per diversi componenti, scottata da questi episodi ha poi perso invece l’occasione di adeguare l’organico quando si era in piena corsa per lo scudetto e qualche alternativa in più avrebbe fatto comodo. Sullo sfondo infine il caso Maggio: con ogni probabilità alla sua ultima gara con la maglia del Napoli, dopo un decennio che lo ha visto attraversare tutte le ere. Protagonista di una ricostruzione giunta a meno di un passo dall’ambizione massima dello scudetto. Perché non concedergli neanche un quarto d’ora? Perché non lasciargli il ricordo del saluto del suo pubblico? Il pubblico di Sarri, vero, ma anche quello di Christian Maggio. Dell’inappuntabile Christian Maggio, professionista esemplare in campo e fuori, di quelli che realmente non pronunciano mai una parola fuori posto. Un’occasione persa, figlia di una cocciutaggine che – ieri al San Paolo contro il Crotone, con il nulla in palio – davvero non trova giustificazione. Magari (difficile) Christian Maggio resterà a Napoli ed avrà tale opportunità, ma questa è un’altra storia. Ieri, nell’enorme dubbio sul suo futuro, la passerella era d’obbligo. Guai giungere al paradosso che il Napoli non sia all’altezza di Maurizio Sarri.