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2018

Perché Mino Raiola stavolta ha ragione (nonostante sia Mino Raiola)

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Mino Raiola attacca ferocemente il nuovo corso dell’Italia Di Biagio e… ha ragione! Nulla da ridire stavolta sui giudizi del procuratore italo-olandese spesso preso di mira per ciò che è e non per ciò che dice…

La cattiva fama di Mino Raiola lo precede di parecchio: questa no es cosa buena. C’è da dire però che la ragione non ha opinione: la ragione è ragione e basta, a prescindere da quale parte vada a sedersi. «Dà la verità in pasto ad un’opinione, non conta più il tuo nome, ma cosa ne pensano le persone» recitavano un po’ di anni fa alcuni tra i più importanti intellettuali del nostro tempo: i Club Dogo. Se la citazione non vi pare abbastanza dotta – e no, in effetti non lo è tanto – proviamo comunque a tradurvela: la verità non è di fatto opinabile, è verità e basta. Opinare sull’incontrovertibile significa discutere fondamentale di tutto e del suo esatto contrario in nome di non sa bene quale pietosa e politicamente corretta retorica di fondo. «Altrimenti io tiro fuori che Picasso era uno stronzo, Raffaello era una merda e i poveri soldati sono degli eroi» (cit. del Vate).

Si può discutere di Mino Raiola quanto ci pare insomma e potremmo pure intavolare un dibattito lungo da qui a domani per discettare delle qualità del personaggio (leggi anche: RAIOLA ATTACCA: «LA NAZIONALE FA SCHIFO»). Ciò che ha detto però rimane scolpito nella pietra come verità assoluta in un mondo sempre più imperniato su verità relative o, peggio ancora, supposte: non conta più infatti ciò che ha detto Raiola, ma ciò che le persone pensano di lui. Seguendo lo stesso principio di ragionamento allora, se tra una settimana un criminale di guerra se ne uscisse affermando che è scandaloso che nel 2018 ci sia ancora gente che muore di fame, gli daremmo torto solo perché è un gran briccone, nonostante l’ovvietà dichiarata. Se invece il Papa – ragioniamo chiaramente per assurdo – proclamasse santo Pablo Escobar e dicesse che la madre di Bambi era una poco di buono che se ne andava a cervi in cambio di crack, gli daremmo ragione a prescindere.

Raiola stavolta c’ha preso: l’analisi del testo delle sue parole

No, non può funzionare così e qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dirlo testualmente. Che la verità – per quanto scomoda possa effettivamente essere – si sia manifestata per bocca di Raiola (che comunque non è Belzebù, cerchiamo anche di contestualizzare un attimino il soggetto in questione) sarà pure un cortocircuito mediatico o, se preferite, un bug del sistema, ma non per questo diventa opinabile. Avevamo avuto modo di scriverlo anche noi appena qualche giorno fa tra l’altro (leggi: ITALIA: LE PREMESSE DI DI BIAGIO SONO OSCENE) e un motivo ci sarà pur stato, mondo cane: Di Biagio è un allenatore senza un briciolo di coraggio che, risultati alla mano – ovvero quelli della sua Under 21 – non può meritare di condurre il nuovo ciclo azzurro, quello del (teorico) risorgimento dopo l’affossamento mondiale. Di più: in un certo senso l’attuale c. t. (auguriamoci ad interim) potrebbe anche essere la testa di legno di qualcun altro, una sorta di prestanome, di personalità comoda, messa lì per scaldare il posto senza clamori.

Le sue convocazioni sono state innovative come oggi può essere innovativo andarsene in giro con le Nike Silver e il Nokia 3330 atteggiandosi a guru della moda. Di Biagio non è il rinnovamento, anzi è il suo esatto opposto: è la restaurazione. Questo ha detto Raiola provando a raccontare come, obiettivamente, risultino pure un po’ ridicole le motivazioni addotte dal c. t. nello spiegare la mancata convocazione di Mario Balotelli22 gol in 31 presenze stagionali quest’anno, scusate se è poco – in vista delle amichevoli contro Argentina ed Inghilterra. Se la ragione dell’esclusione non è comportamentale (e nulla lascia pensarlo, considerato il fatto che non si è mai fatta menzione a questioni di spogliatoio e che l’atteggiamento dell’attaccante del Nizza risulti da qualche mese oltremodo costruttivo), bensì prettamente tecnica, andrebbe compreso allora quale sia la base di selezione. Dice bene anche in questo caso Raiola: se non contano i numeri in un mestiere in cui i numeri sono tutto (alzi la mano chi ricorda di grandi attaccante della Nazionale con all’attivo solo tre gol a stagione), allora cos’altro dovrebbe contare mai?

Italia senza futuro: il problema non è solo Balotelli

«Abbiamo una Federazione che lavora dando tutti i poteri i mano al c. t. senza avere un piano, un programma, un’idea per il futuro… Abbiamo solo cambiato il commissario tecnico: per me questa è la strada sbagliata», spiega poi il procuratore italo-olandese e, pure in questo caso, è davvero difficile dargli torto. Non appare ancora nitido il quadro futuro della Nazionale: se a seguito della caduta più rovinosa del calcio italiano dal dopo-guerra ad oggi, di fatto, quasi nulla è cambiato a livello di organico e di giocatori (l’ormai quasi ex Buffon, gli anonimi Darmian Candreva, o addirittura Ogbonna – ripescato da chissà quale pertugio  – senza neanche citare il possibile rientrante De Rossi, a cui Di Biagio non ha chiuso le porte), viene spontaneo chiedersi allora quando sarà il momento delle scelte coraggiose. Se non ora, quando? Una domanda a cui nessuno ha risposto…

«La Nazionale deve rappresentare i migliori calciatori del tuo paese, ma se tu sei tra i migliori e non vieni convocato, vuol dire allora che qualcuno ha cambiato le regole. Ce le spieghino che noi proviamo ad adeguarci. In discussione non è Di Biagio con le sue scelte, piuttosto dove vuole arrivare la FIGC, dove vuole arrivare la Nazionale…», ha concluso quindi Raiola completando un ragionamento, permetteteci di dire, abbastanza sensato. Perché sì: se chi c’era continua ad esserci togliendo spazio a chi meriterebbe qualche chance in più, ma allo stesso tempo tra chi c’era ancor prima – come Balotelli – viene operata una distinzione a monte non meglio razionalizzata per stretta volontà del c. t. che – ci sembra di capire – non ha voluto spiegarla perché probabilmente incapace di spiegare scelte che non appaiono del tutto personali, allora il dubbio su quale sia la direzione intrapresa non solo resta, ma diventa quasi certezza di fallimento. «Fosse per me, io ripartirei dal sistema tedesco: abbiamo un sistema simile a quello inglese, dove il commissario tecnico lavora come un manager, ma Di Biagio non è l’uomo adatto per questo», la chiosa impietosa di Raiola, che evidenzia come in Federazione manchi una figura di livello tecnico – un direttore sportivo – e allo stesso tempo di quanto sia folle pensare che uno come Di Biagio possa svolgere un lavoro che non appare proprio per niente nelle sue corde. Come affidare la direzione di un ospedale ad Hannibal Lecter più o meno. Sì ragazzi: Mino Raiola stavolta ha ragione nonostante tutto. Nonostante sia Raiola.

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