2017
Calcio e criminalità, un legame da spezzare
La relazione della Commissione d’inchiesta anti-mafia ha studiato i legami con il calcio: «Troppi presidenti hanno detto…»
Onorevole Rosy Bindi, com’è lo stato di salute del calcio italiano? «Diciamo che il corpo non è abbastanza sano dal ritenersi immune da possibili infiltrazioni criminali – dice la deputata nell’illustrare la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, che ha presieduto in questi mesi –. Le nostre indagini ci dicono che il fenomeno è stato sottovalutato. Da tutti, non solo dalla Juventus».
APPELLO – Undici mesi di lavoro, 30 sedute, 42 soggetti, istituzionali e non, ascoltati: tutto sintetizzato in una relazione di 99 pagine, che raggiunge una conclusione – «La mafia utilizza il calcio per creare consenso sul territorio», scrivono la Bindi e l’altro relatore, il deputato Pd Marco Di Lello –, ipotizza uno scenario inquietante – «Se perfino la più importante società italiana viene raggiunta dalle attenzioni delle organizzazioni mafiose, cosa accade nelle categorie minori?» – e indica una strada: «Ormai c’è un’osmosi tra mafie e tifo organizzato. Serve un patto tra Stato e club: siamo disposti a limitare la responsabilità oggettiva, a patto però che le società facciano la loro parte: recidano qualunque legame con violenti e criminali, neghino l’ingresso a certi soggetti. Abbiamo ascoltato troppi “non so, non ricordo, non mi competeva” dai presidenti di Serie A in questi mesi».
COSÌ FAN QUASI TUTTE – Perché la Juventus si è presa la scena – lunedì è attesa la pronuncia della Corte d’appello federale –, ma il lavoro della Commissione ha fotografato anche altre realtà, scoperchiando legami con la criminalità inquietanti: Napoli, Genova, Lazio, Crotone, Catania, Latina sono le piazze indagate. Certo, a Torino il fatto è stato eclatante, «la ‘ndrangheta – si legge nella relazione – si è inserita come intermediaria e garante nell’ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultrà della Juventus». Vittima o complice,
la società bianconera? «Né l’una né l’altra – risponde la Bindi –: ha sottovalutato il rischio, ma questa incapacità di riconoscere le modalità dell’agire mafioso è un fattore comune a molte società calcistiche». E cita, a proposito del San Paolo di Napoli, «…la procuratrice della Repubblica che ci ha raccontato di come le curve siano nelle mani di due diverse organizzazioni criminali e che finché non entrano in conflitto tra loro va bene… ecco, così non deve più andare bene».
DOMANDE – Difficile accettare che in ogni week-end siano impiegate negli stadi italiani circa 165 mila unità delle forze di polizia. «Ma lo Stato se le può permettere, è giusto? Le società di calcio non vogliono pagare perché non hanno gli stadi? Almeno garantiscano un servizio di steward all’altezza». Risulta poco comprensibile alla Commissione pure quella norma che impone il certificato antimafia solo a chi rilevi più del 10% di un club. «Abbiamo indagato il caso del Mantova, dove personaggi riconducibili ai Casalesi avevano rilevato ognuno il 9%…».
PROVIAMOCI – Finale con proposte concrete, alcune delle quali contenute nel maxi emendamento governativo che sarà inserito nella legge di Bilancio. Le snocciola Di Lello: «Irrobustire il provvedimento del Daspo, introdurre il reato di bagarinaggio, inasprire le sanzioni della giustizia sportiva nei casi di match fixing e di collusioni con la mafia, introdurre le celle negli stadi sul modello inglese, vietare le scommesse nei Dilettanti e in Lega Pro, aumentare il prelievo fiscale alle società di A e B dai proventi di scommesse per creare un fondo di solidarietà». Realistico o utopistico?